“Lessico famigliare”: le parole che uniscono

In ogni famiglia esistono legami indissolubili che si protaggono per tutto il tempo della vita, completamente immuni da ogni possibile forma di logoramento. Legami così tanto profondi che nemmeno il tempo riesce a scalfire, che permangono a lungo portando dietro di sé un bagaglio colmo di tutta una serie di sensazioni confortanti: odori, suoni, colori, atmosfere particolari, abitudini, ma soprattutto parole.

Nel 1963 Natalia Levi Ginzburg scrive Lessico famigliare, uno dei capolavori più apprezzati della letteratura italiana del Novecento, così favorevolmente accolto dalla critica da aggiudicarsi nello stesso anno il Premio Strega.

Lessico famigliare non è una storia che nasce dalla fantasia della scrittrice, nasce piuttosto dalla volontà di ricordare e raccontare mettendole per iscritto le vicende della propria famiglia in un momento difficile per la storia italiana, gli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale. Momento difficile soprattutto per coloro che, proprio come la Ginzburg, facevano parte di una famiglia ebraica e antifascista, in una città grande e importante come Torino, in cui il rischio dell’incarcerazione e della deportazione diventava ogni giorno sempre più opprimente.

Questo meraviglioso volume contiene alcuni dei ricordi più famosi della scrittrice, ricordi che riescono a coinvolgerci direttamente perché fanno parte della storia che tutti noi conosciamo. Sono proprio le parole a tenere insieme questi ricordi e a fare da collante tra i membri di una famiglia numerosa e spesso distante: i modi di dire ricorrenti, le manie, i racconti, le memorie più belle che si è soliti raccontare durante momenti dolcissimi di intimità familiare. Partendo da queste espressioni ricorrenti e comuni a tutti i membri della famiglia, Natalia Ginzburg ci mostra quella che è stata la sua vita tra il 1930 e il 1950, presentandoci con estrema precisione i personaggi che l’hanno accompagnata nel corso della giovinezza: un padre autoritario ma benevole, noto docente universitario e antifascista convinto, una madre dolce, protettiva e di temperamento allegro, i fratelli, attivi anch’essi nella lotta antifascista, ognuno alla ricerca di un posto nel mondo, e infine gli amici, tra cui spiccano nomi molto celebri come Adriano Olivetti, Cesare Pavese, Felice Balbo e Leone Ginzburg, letterato antifascista che divenne suo marito, ma che venne presto arrestato e torturato nel carcere di Regina Coeli, in cui morì nel 1944.

Ricche di profondità sono le pagine in cui Natalia descrive Cesare Pavese, uomo dalla sensibilità estrema, perennemente succube dell’amore, ricco di grandi idee e particolarmente ispirato nei primi anni di attività, e completamente disilluso nell’ultima parte della vita, specialmente nei giorni immediatamente precedenti al suicidio, giorni che la scrittrice racconta in maniera davvero molto delicata e toccante.

I ricordi di cui parla la Ginzburg non sono di certo i più significativi: molti eventi importanti vengono completamente ignorati, soprattutto quelli che riguardano in prima persona la scrittrice, come ad esempio la morte di Leone, suo primo marito, o la nascita dei figli. Eppure tutte le vicende narrate sono fondamentali, sono eccezionali frammenti di storia, significativi in egual modo sia per il lettore curioso e attento, sia per la scrittrice, perfettamente conscia dell’importanza della propria famiglia e della testimonianza che essa rappresenta nel contesto storico italiano del Novecento.

Lessico famigliare è lo scrigno in cui Natalia Ginzburg ha rinchiuso per sempre i suoi ricordi, dall’infanzia all’età adulta, delineando non solo la storia tormentata di una famiglia importante in un momento particolarmente difficile, ma soprattutto l’essenza stessa di una famiglia, quella che si costruisce nel tempo poco alla volta, giorno per giorno, quella che si deposita nelle profondità di tutti coloro che ne fanno parte e che hanno, nel bene e nel male, contribuito alla creazione di quell’insieme di sensazioni e dolci ricordi che siamo soliti chiamare “casa”.