“Sulla terra vi sono due gemelli, uno dei due parte per un viaggio di andata e ritorno per una stella lontana…”
Potrebbe iniziare così la storia di Mark e Scott Kelly, due astronauti americani con una particolarità: essere gemelli omozigoti. È già curioso pensare ad una coppia di fratelli impegnati in un’attività così particolare, lo è più ancora saperli totalmente identici. È proprio questa loro peculiarità ad averli resi protagonisti di uno dei progetti più originali della NASA: il Twins Study. 12 Università, i NASA Biomedical Laboratories ed il National Space Biomedical Researc Institute Consortium, queste le forze in gioco in questo nuovo ed ambizioso progetto, a sua volta parte del più grande Human Research Program, di cui vi parleremo in breve.
Nati nel 1964 e selezionati come astronauti nel 1996, i fratelli Kelly non sono propriamente dei novellini. Sono entrambi piloti ufficiali della Marina americana con esperienza alla guida della passata generazione di “navicelle spaziali”, gli shuttle. Per Mark ci sono all’attivo ben quattro voli shuttle e 54 giorni nello spazio.
Scott, che abbiamo conosciuto grazie alla grande attività di divulgatore attraverso Twitter, è stato protagonista di due missioni shuttle prima di partire, nel 2010, per la sua prima missione di lunga durata nello spazio: ben 5 mesi e mezzo.
In vista del prossimo obiettivo dell’Odissea dell’uomo nello spazio, ovvero la prima missione umana sul pianeta rosso, Marte, l’Agenzia Spaziale si sta adoperando in una serie di studi volti a capire in che modo una lunga permanenza nello spazio possa influenzare il corpo e la mente degli astronauti. Mentre nell’Arcipelago delle Hawaii prosegue il progetto S-MARS, e sulla Stazione Spaziale internazionale ci si adopera per imparare a coltivare ortaggi in assenza di gravità, Mark e Scott si adoperano per comprendere cosa succede a due uomini dotati di un identico DNA esposti a condizioni totalmente differenti, quale l’ambiente terreste o la ISS, per un anno.
Scott è tornato sulla Terra il 3 marzo 2016 dopo 342 giorni nello spazio, il primo americano a fare un viaggio spaziale di questa durata, insieme all’astronauta russo Kornienko. Suo fratello Mark, rimasto a Terra, rappresenta il controllo per i più di 30 esperimenti a cui Scott ed il collega russo sono stati sottoposti in orbita e che hanno coinvolto numerosi aspetti della fisiologia umana quali l’efficienza cardiovascolare, ossigenazione e volumetria del sangue, densità ossea ed invecchiamento cellulare.
Lo scopo di questo studio ambizioso è migliorare le conoscenze biomediche a disposizione della NASA per rendere maggiormente efficace ed applicabile la medicina personalizzata. Non solo, è importante comprendere l’effetto che la prolungata assenza di gravità può avere sul nostro corpo sia da un punto di vista metabolico che fisiologico. L’uomo, infatti, si è evoluto all’interno di un complesso sistema in cui la gravità gioca un ruolo fondamentale: possiamo realmente farne a meno così a lungo e con così tanta facilità?
Il primo dato interessante è l’aumento di statura di Scott che, in un anno in orbita, ha guadagnato ben 5 cm di altezza, sebbene solo momentaneamente. Il ritorno a Terra, infatti, ha riportato i dischi vertebrali alla loro consueta condizione di compressione dovuta alla forza di gravità e, quindi, l’astronauta ha riavuto la propria statura in poche ore.
Non resta che attendere le numerose risposte che potrebbero arrivare da questo studio, sotto forma di indicazioni di nuove domande da porci.