Olio di Palma: è così pericoloso?

Il 2014 ha ufficialmente aperto la guerra all’olio di palma, un grasso di origine vegetale largamente impiegato nell’industria alimentare e, pertanto, presente sugli scaffali di tutti i supermercati. Prima di allora, infatti, non era obbligatorio specificare quali oli vegetali fossero impiegati negli alimenti, ragion per cui per molto tempo la presenza dell’olio di palma è passata inosservata. Nonostante l’impiego alimentare dell’olio di palma risalga a qualche secolo fa, nell’ultimo periodo, l’opinione pubblica si è divisa riguardo all’effetto che il suo consumo potrebbe avere sulla salute, complici le dicerie riguardo ad ipotetiche proprietà cancerogene della sostanza nonché ad un altrettanto ipotetico ruolo del suo consumo nella predisposizione al diabete.

Ma cos’è l’olio di palma in realtà? Un grasso di origine vegetale dalle proprietà adattissime ad un impiego in campo alimentare a livello industriale e la cui produzione ha un costo decisamente basso. È, infatti, insapore, non irrancidisce e resiste discretamente alle elevate temperature, senza produrre sostanze tossiche e senza bruciare.
Si ricava principalmente da alcune specie di palma da olio Elaeis guineensis in prevalenza seguita da Elaeis oleifera e Attalea maripa. Pur essendo semisolido a temperatura ambiente, a differenza della margarina, non ha natura artificiale né contiene grassi idrogenati. Esso è composto, infatti, per il 50% da acidi grassi saturi (in prevalenza acido palmitico), per il 40% da acidi grassi monoinsaturi, come l’acido oleico, e per il restante 10% da acidi grassi polinsaturi (acido linoleico). Si tratta di acidi grassi presenti anche nell’olio d’oliva, sebbene con percentuali del tutto differenti, sbilanciate a favore dei più sani grassi polinsaturi. Prima della raffinazione, processo che lo renderà più chiaro, l’olio di palma si presenta di colore rosso e, insieme alla parte grassa discussa sopra, può beneficiare di un discreto contenuto di carotenoidi e vitamina E, ragion per cui si propone come un modo per integrare questi elementi nutritivi nelle popolazioni sottonutrite.
A vederla così, non sembra poi il mostro terribile di cui abbiamo sentito parlare nell’ultimo periodo, ma la guerra all’olio di palma ha origini ben più antiche di quanto si possa pensare. In effetti, ha avuto inizio intorno agli anni ’80 per mano dell’ American Soybean Association (Asa) che han ben pensato di combattere il principale rivale sul mercato, rappresentato dai così detti “oli tropicali”, nel pieno spirito della “concorrenza spietata”. Una battaglia economica è stata trasformata, per così dire, in una battaglia ideologica attraverso una intensa campagna di disinformazione a discredito degli altri oli vegetali.

Anche per tranquillizzare il Bel Paese, da sempre molto attento al tema dell’alimentazione, il Ministero della Salute ha richiesto un parere sull’argomento all’Istituto Superiore di Sanità (ISS). L’ente di ricerca, rifacendosi ai numerosi studi condotti in tutto il mondo riguardo all’effetto dell’olio di palma sulla salute, ha messo in chiaro alcuni punti fondamentali di cui cerchiamo di rendervi conto.
Non sembrano esserci prove che l’olio di palma abbia specifici effetti negativi sulla salute che sono, invece, estranei ad altri grassi con una simile composizione. Le eventuali proprietà negative dell’olio incriminato sono, infatti, paragonabili e riconducibili all’elevato contenuto di grassi saturi rispetto agli altri oli vegetali, tendenzialmente più ricchi in grassi insaturi.  Gli organismi sanitari nazionali e internazionali i principali raccomandano di assumere acidi grassi saturi in quantità non superiore al 10% delle calorie totali. Gli Italiani superano di poco il limite, con un consumo medio dell’11,2%. Non si tratta quindi di abolire il consumo di olio di palma quindi, bensì di ridurre complessivamente l’apporto di acidi grassi saturi alla nostra dieta!

Rimane aperta la questione ambientale, la coltivazione di palma da olio al ritmo necessario a soddisfare la crescente richiesta del mercato richiede, in effetti, un ampio spazio agricolo. C’è un progressivo passaggio dell’industria alimentare dall’impiego di burro e margarina a quello dell’olio di palma e questo può portare al disboscamento incontrollato, all’uso di roghi che potrebbero distruggere ecosistemi delicati come quelli tropicali. Ma ci sono luoghi, come la Malesia, in cui si cerca di coltivare la palma da olio secondo la tradizione ed in maniera sostenibile. Se portata avanti secondo i giusti criteri e nel rispetto dell’ambiente, la coltivazione della palma è di per sé molto più produttiva di quella delle altre piante da olio.

Qui è possibile consultare il parere completo dell’ISS.

Silvia D'Amico