Versipellis: i racconti dell’orrore di Petronio Arbitro

I lupi mannari esistono: ce lo dice Petronio, scrittore della prima età imperiale nel suo “Satyricon“. Ma come è possibile che i lupi mannari esistessero nell’antica Roma? Petronio diceva il vero in merito al “versipellis”?

In realtà anche quella di Petronio sembra essere una storia del tutto inventata: il versipellis, o lupo mannaro, è una creatura fantastica che non ha origine nella modernità con i romanzi gotici prima e horror poi. E’ proprio in Petronio che si attesta una delle prime novelle sul lupo mannaro della latinità. Più tardi, il medico Claudio Galeno descriverà nell’Ars medica, o Arte medica, i dettagli di una malattia schizofrenica che rende lupo un umano. Accanto all’infezione del “morbo lupino“, Galeno propone una serie di sintomi con tanto di cure! Egli descrive i lupi mannari come malaticci d’aspetto, con gli occhi incavati, la lingua secca e dalle gambe storte. La cura, dite? Secondo Galeno si poteva tagliare una vena fino alla perdita dei sensi (sempre ammesso non morisse verrebbe da pensare…), nutrire lo svenuto con frutti succosi, fare il bagno in acqua dolce o avvalersi di un siero di latte per tre giorni.

Il termine “versipellis” significa letteralmente “rovescia-pelle”: i lupi mannari erano concepiti come dei veri e propri “mutaforma” nell’antichità: secondo le leggende avevano uno strato di peli nascosto sotto la pelle che veniva rigirata come un calzino per mostrare gli orrori nascosti sotto la cute quando queste creature venivano esposte alla luce della luna piena. Ma cosa dice Petronio di questa creatura mostruosa nel “Satyricon”? L’episodio correlato alla novella del versipellis è quello della famosa cena di Trimalchione, uno schiavo liberato che organizza per i suoi convitati pranzi pacchiani e a dir poco esagerati. In questa occasione, i personaggi del Satyricon (Gìtone, Ascilto ed Encolpio) possono ascoltare molte storie terrificanti e macabre fra cui quella di Nicerote, che ha assistito alla trasformazione di un lupo mannaro in un cimitero deserto.

Ecco dunque la storia. Nicerote e un suo amico decidono di fare una passeggiata di notte, alla luce di una luna piena che brilla così tanto da sembrare il sole. Ad un certo punto giungono in un cimitero e, mentre Niceronte fischietta allegramente contando i sepolcri, il suo compare inizia a fare pipì dietro ad uno di questi. All’improvviso Niceronte assiste ad una scena raccapricciante, più di quanto non lo fosse pisciare sulle tombe: il suo amico si sveste, rimane nudo, butta i suoi vestiti per terra, ci orina attorno e all’improvviso diventa un lupo. Il versipellis inizia ad ululare e scappa. Niceronte, basito dalla scena, raccoglie i vestiti dell’amico (CHE SCHIFO!) ma questi sono diventati di pietra. Con il cuore in gola, il povero sventurato sguaina la spada e, facendosi strada fra i boschi, arriva alla casa della sua amante Melissa. La donna lo avverte che un lupo ha sbranato tutte le pecore nel suo recinto. In compenso, Melissa confessa che un suo servo ha ferito il versipellis al collo con una lancia. Il povero Niceronte non riesce a dormire per tutta la notte e, all’alba, fugge via per ritornare a casa del suo padrone Gaio. Quando arriva nel luogo dove il compare aveva bellamente disonorato le tombe pisciandoci sopra, altro non trova che sangue. Tornato a casa, Niceronte trova sdraiato sul letto, dolorante, l’amico che era assistito al capezzale da un medico. Da quel momento promette di non volere avere più nulla a che fare con quella mostruosa persona…

L’atmosfera è inquietante, prima ancora che quasi ridicola vista la presenta di un soldato piscione. Il chiaro di luna, l’orina attorno ai vestiti e la stessa ubicazione della vicenda rimandano a qualche rito misterioso, forse a qualche festa dei fauni che, secondo la mitologia antica, si mettevano a ballare nudi.

Cosa ancora più importante è che il versipellis ha la possibilità di tornare umano: ce lo dice Petronio. Il cerchio di pipì non è solo un distratto modo di compiere un rito poco igienico, ma sancisce il ritorno alla vita umana, condizione simboleggiata proprio dai vestiti perché,
nell’antichità, ma forse ancora oggi, il concetto di nudità era legato fortemente al concetto di animalità. Ecco quindi il significato della magia pietrificante: il versipellis non è condannato a rimanere lupo per sempre ed è egli stesso l’unico che può rompere l’incantesimo impossessandosi dei propri vestiti che, “per sicurezza”, ha trasformato in pietra con la pipì per evitare che qualcuno possa impossessarsene.

In realtà, il rapporto con il lupo a Roma era un rapporto positivo. A parlar chiaro, sarebbe stato un paradosso denigrare l’animale su cui si sarebbe fondata la civiltà più potente del Mediterraneo antico! Infatti, il 15 febbraio venivano festeggiati i Lupercalia in onore del dio Luperco (ovvero Pan per i Greci) nei quali il sacerdote si vestiva da lupetto e passava un coltello insanguinato sulla fronte di due adolescenti. Gli antichi Romani credevano che le loro virtù di grandi combattenti e cacciatori derivassero proprio dal lupo. Non solo: i vexillifer (letteralemnte “i portatori di bandiera”) indossavano una pelle di lupo che copriva elmo e parte della corazza!

La fama del lupo mannaro ha affascinato la letteratura successiva fino a giungere ai giorni nostri con la trasformazione di Michael Jackson in “Thriller” e quella del professor Lupin di “Harry Potter”, per non parlare poi di Jacob Black della saga “Twilight”. Lo sapevate che nel ‘700 un terribile lupo mannaro terrorizzò la città di Milano ed è ancora oggi uno dei misteri irrisolti nel nord Italia? A dir poco da brividi…