Monica Vitti: la mattatrice del cinema italiano

“E i ricordi, i ricordi gettati in fondo al mare”. Non possono più dondolare in superficie sulle onde della memoria. Vengono irrimediabilmente appesantiti dal ristagno del pensiero che poco alla volta si trasforma in dimenticanza del proprio passato alla fine cancellato da un terribile elettroshock: la memoria degenerativa. Una malattia subdola e crudele capace di allargare un piccolo buco nero della mente trasformandolo in breve una voragine infinita, quella che da tempo ormai avvolge una grande e assoluta protagonista dello spettacolo italiano all’alba del suo ottantaseiesimo compleanno. A prescindere dalle sue irreversibili condizioni, sarà lo stesso festeggiata, omaggiata e ricordata come merita e tutti noi che le vogliamo bene spereremo che almeno per un attimo, solo per un attimo, un lampo riesca a penetrare gli oscuri meandri della sua mente, una piccola scintilla che possa illuminare di luce riflessa qualche trascorso: quel brivido blu del sussulto dell’anima provocato da gocce di memoria.

È la vita bellezza e quando non si sceglie si vive. L’anonima Maria Luisa Ceciarelli ne sceglie un’altra quando  diventa un’altra, ben diversa da una ragazzina problematica, fragile e difficile e quando scopre che a volte è bello essere qualcun’altra, di conseguenza trasforma quella donna consapevole, colta e autorevole in un’attrice intensa, brillante e completa: Monica Vitti appunto, nata a Roma il 3 novembre del 1931, ancora ultima degna e inimitabile rappresentante soprattutto di un certo tipo di cinema erede di una formativa carriera teatrale e figlia di un altro mondo e di un altro pensiero.

“La nemica” di Niccodemi, il suo primo exploit tra le tavole del palcoscenico avviene a soli 14 anni nella parte di una madre di 45 anni che perde un figlio in guerra. Accortosi della sua versatilità, Sergio Tofano la prende sotto la sua ala protettrice dopo che la giovane si è appena diplomata all’Accademia nazionale di arte drammatica nel 1953. Le consiglia di trovare nome e cognome più consoni a un artista e il frutto del cambiamento in un nome d’arte, porta fortuna e successo a questa promettente e talentuosa attrice che sulla ribalta teatrale si distingue in recite di indubbio valore.

Notata anzitempo da Michelangelo Antonioni, uomo introspettivo e regista colto, la Vitti oltre a intrecciare con lui una profonda relazione sentimentale, stabilisce anche un ottimo sodalizio professionale da cui scaturisce la celeberrima tetralogia di film legati al tema dell’alienazione. Per quanto diverse le storie di queste quattro donne: Claudia di “L’avventura”; Valentina di” La notte”; Vittoria di “L’eclisse” e Giuliana di “Deserto rosso”, si scompongono per poi sovrapporsi, si aggrovigliano per poi allontanarsi e in definitiva si caratterizzano nel difficile rapporto con uomini anch’essi problematici, quindi sfuggenti e per dipiù egoisti sullo sfondo di paesaggi insoliti dove si compie la quotidianità del vivere una dimensione comune: quella dell’incomunicabilità’. Questo singolare tragitto che va dal 1960 al 1964 caratterizza una pagina indelebile della cultura italiana.

L’eccellente risultato di questa simbiosi cinematografica, propone in primo piano la figura di un’attrice di qualità, ma è ancora una volta Mario Monicelli a scoprire quel certo non so che nascosto fra le pieghe della sua anima libera ironica e selvaggia. Ecco che dopo l’interpretazione in una serie di film molto interessanti, di cui alcuni a episodi, diretta da Tinto Brass, Franco Rosi, Joseph Losey, Luciano Salce, Pasquale Festa Campanile, quel mattocchio di regista le assegna la parte della protagonista del film “La ragazza con la pistola”, un approdo poco consueto propedeutico però all’interpretazione di un personaggio che la consacra “mattatrice” della Commedia Italiana. Nei panni di Assunta, l’attrice interpreta il ruolo classico della giovane siciliana sedotta e abbandonata, ma che in questo caso si riscatta sia sul piano della dignità umana che su quello della crescita culturale e sociale.

E cosi la giovane attrice comincia un percorso straordinario fino a diventare l’assoluta protagonista della commedia italiana al femminile, non disdegnando però curiosità e voglia di nuove esperienze con rapide incursioni a effetto nel cinema internazionale. Una ridda di titoli quali, “Dramma della gelosia, tutti i particolari di cronaca” di Ettore Scola; “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa” di Marcello Fondato; “La Tosca” di Luigi Magni e “Polvere di stelle” di e con Alberto Sordi: primo film che illustra con acume e leggerezza tutta una serie di ritratti della coppia italiana di quei tempi, vengono intervallati con opere di diverso prestigio diretta da famosi registi internazionali Miklos Janko, Luis Bunuel e Andrè Cayatte tra i tanti.
Proiettata nel clima rovente dei rampanti anni ottanta, Monica Vitti con un opportuno ritorno di fiamma ritorna a lavorare col suo primo mentore Michelangelo Antonioni nel film: Il mistero di Oberward, poi con infinita grazia  e naturale disinvoltura, oltre il cinema, si divide equamente tra sceneggiatura, teatro e televisione dove ribadisce la sua versatilità condita da grande eleganza e notevole senso dell’umorismo che nel 1988 si concretizza anche in un video clip con Orazio Orlando sulle spiritosissime note della canzone di Mina: “Ma chi è quello lì”.

Dopo aver curato la regia di Scandalo segreto da lei anche scritto e interpretato, appare in una miniserie tv accanto a Johnny Dorelli e fa parte del cast di Domenica In e nel 1995 riceve il Leone d’oro alla carriera alla mostra internazionale del cinema di Venezia.

Già da tempo ritritatasi dalle scene per cause di salute appare per l’ultima volta in pubblico nel 2002. Da quel momento a oggi vive nel silenzio ovattato di una clinica svizzera un’esistenza solitaria, malgrado l’affettuosa presenza fisica dei suoi cari. Solo futili ombre sostituiscono i messaggeri d’amore del passato: i suoi uomini, la sua città, le sue ferventi passioni, i suoi espressivi e vivaci personaggi e le incredibili sfide contro sé stessa, molte delle quali vinte per distacco. L’attrice, da sempre simbolo di una moderna romanità, è stata una donna a tutto tondo capace sempre di ribaltare, sia nella vita privata che sul lavoro, lo stereotipo che la vorrebbe protagonista di un ruolo infarcito di luoghi comuni.

Auguri cara Monica, che la festa cominci al brillio di tante candeline sulla ribalta di un immaginario e fantastico set dove le sue abbaglianti lampade illuminino questo giorno. Un ulteriore pretesto per raccontare la lunga e fulgida storia di una carriera inimitabile, purtroppo finita nel buio del silenzio più assoluto: quello della mente.

Vincenzo Filippo Bumbica