Intervista a Maurizio Rosazza Prin: il podio a Masterchef non è mai stato tutto

Medaglia d’argento alla seconda edizione di Masterchef Italia,  Maurizio Rosazza Prin continua la sua avventura professionale come  cuoco con la Q (come ama definirsi). Pittore e copywriter, appassionato di disegno e di scrittura,  Maurizio arriva dalla pubblicità che gli ha permesso di esprimere quello che ha nella pancia ma soprattutto nella testa, senza  dimenticare il suo ingrediente preferito, la casualità, con la  quale danza e con la quale gioca: una filosofia che si ritrova anche nella sua cucina e nella  sua pittura.

In linea con la sua filosofia da sperimentatore, ha dato vita a  “Chissenefood”, una filosofia e un brand che come obiettivo ha  restituire il lato diverte della cucina alle persone, il lato conviviale. Chissenefood è un concetto, uno stile, un modo di essere. Perché la cucina sta diventando ogni giorno di più una cosa seria,  anzi troppo seria. E con Chissenefood vuole darci idee, ricette,  prodotti selezionati, ma soprattutto un pizzico di piacere, di  gioia e di divertimento. E perché no esplorare cosa è fashion in  cucina oppure no, parlarvi di viaggi ed esperienze da ricordare. Perché in cucina, come nella vita, non bisogna mai aver paura di sbagliare. E se si sbaglia: Chissenefood!

Oggi, tra i tanti progetti, lo ritroviamo come protagonista di una nuova e divertente trasmissione: Football’s Kitchen, in onda su Gambero Rosso Channel. Quali sono le più  grandi passioni degli italiani se non il calcio e la cucina?  Insieme all’amico e giornalista Massimo Ugolini, Maurizio entra nelle case dei calciatori scoprendo cosa amano mangiare, con cosa  amano viziarsi a tavola e soprattutto le loro belle mogli e il  loro stile di vita fuori dal campo. Inoltre, Maurizio continua a stupirci con show cooking unici  dall’impronta “fusion oriental”.

Ti conosciamo attraverso la TV per aver partecipato alla seconda stagione di Masterchef. Ma chi è nella realtà Maurizio e come è nata la passione per la cucina?

Ma di che Maurizio parli? E che ce ne sono un po’ qui dentro. C’è uno che scrive, uno che viaggia, un preciso, l’altro pazzo. Uno ama la cucina, l’altro la trova stressante. Credo di avere un principio di disordine da personalità multipla per questo mi piace spaziare tra varie cose. Ma alla fine disegno e cucino da sempre. Scrivo da quando ho imparato dai libri a scrivere e sono curioso e fusion di testa. La mia non è una passione ma un necessità nata per caso a casa. Mia mamma non è esattamente una super cuoca, diciamo che brucia 53 arrosti su 54 domeniche. Faceva una pasta scottissima e per dieci anni la sera siamo andati a vanti con le tre “P” pastina, prosciutto cotto, piadina, quella da banco frigo. Per ribellione a questo deserto culinario che mi circondava ho deciso di prendere in mano le pentole e di fare la prima pasta a 7 anni. Non mi venne male. E poi da lì leggevo, guardavo le riviste ma diciamola la cucina ce l’ho dentro di mio. Mi è sempre venuta naturale, quindi non la considero una passione, la considero una cosa che so fare. C’è chi sa tirare calci al pallone, io so spadellare. Semplice. La mia passione è magnare , quella si che è una passione.

Sei stato ad un passo dalla vittoria di Masterchef, posizionandoti al secondo posto. Ti aspettavi  di raggiungere il podio?

Sinceramente? Ne avevo vinte un sacco. Ma quel giorno non ero io, cucinavo male. Non mi usciva nulla. E l’ho persa. Capita nella vita di sbagliare per questo ho creato Chissenefood per dire a tutti che in cucina come nella vita non bisogna aver paura di sbagliare e se si sbaglia….

Oltre ad essere uno chef, sei anche un copywriter: come riesci a combinare questi due lavori?

Oramai sono 5 anni che vivo di espedienti intorno al food. Faccio tv, show, blog, viaggio: non ho mai abbandonato il lavoro di copy. Scrivo tutti i miei video e anche le trasmissioni che faccio. Inoltre vi svelo un segreto. Quest’anno sono stato chiamato per fare l’autore delle prove nell’ultima stagione di Masterchef.
Sono stato dall’altra parte ad aiutare il team autoriale che necessitava di una mano e un po’ di sana pazzia che mi porto dietro dal mondo della comunicazione. Quindi diciamo che non ho mai smesso di fare il copy, anzi.

Sia il lavoro dello chef che quello del copywriter richiedono una buona dose di creatività. È questo il tuo segreto?

Sì. Io adoro piatti bianchi da riempire. Fogli bianchi su cui scrivere e disegnare. E’ la creatività che domina il mio percorso. Oggi vedo un sacco di persone che fanno mestieri social copiando gli altri, per me è un sacrilegio. L’idea deve essere al centro, concepirla è il vero brivido. Essere differenti ed originali la difficoltà e la vera sfida. Io sono sempre quel bambino con la testa fra le nuvole che cerca una fuga dalla realtà e usa la fantasia per farlo. Vi faccio un esempio, quando aprivo la mistery box scartavo la prima idea perché era ovvia, la seconda perché qualcuno ci poteva arrivare, la terza per snobismo e usavo la quarta. La quarta idea è sempre quella più difficile perché non ha bordi, contorni, ma è nuova. Rischi tutto ad essere creativo ma se la imbrocchi hai vinto anche se perdi.

 

Parlaci del tuo progetto “Chissenefood”: che cos’è e cosa vuol dire per te?

Per me è mettere in connessione la gente con il cibo. Siamo nell’era del food, dove tutto è giudizio, recensione, stelle. Io voglio divertire, avere un linguaggio ironico, parlare di cibo facendo pensare e facendo venir voglia di curiosare. Non voglio dare manuali o ricette. Ma ispirare. E liberare un po’ da quest’ansia da prestazione. Non pretendo che segui una mia ricetta ma capisci il perché la sto facendo, perché unisco gli ingredienti. Perché amo quello chef piuttosto che l’altro. Sono stufo dei giudizi, delle caste gastronomiche, dei blog copia e incolla. Voglio essere libero di esprimere il mio mondo e parlare a quelli come me che si divertono ancora ad andare a mangiare. E che non parlano ossessivamente di cibo ma lo amano. A me piace il processo creativo dei piatti, trovo noioso parlare della consistenza di una salsa o quei discorsi che si fanno a tavola. Ognuno si sente legittimato ora giudicare il piatto e non capisce nulla dell’idea, del contesto, della storia. E io voglio divertirmi altrimenti torno a fare il copywriter o apro un ristorante e lascio andare lo chef perfezionista e rompi balle che c’è in me.

Sei anche protagonista di una interessantissima e divertente trasmissione “Football’s Kitchen”, in onda su Gambero Rosso Channel.

Calcio e cucina: cosa accomuna questi due mondi apparentemente così diversi? Sono semplicemente le passione degli italiani. Unite. In questo paese si parla di cibo e di calcio. E mi è piaciuto creare qualcosa che le unisse insieme al team di autori. E poi è anche un modo di parlare della vita vera dei calciatori che sono visti come delle divinità pagane in questo paese di calciofili ma in realtà sono persone normali, che amano molto mangiar bene e bere bene quando possono permetterselo. E poi volevo dare uno stile ai piatti semplice ma chic che tutti possono replicare. Andate a vederla dal 4 aprile su Gambero Rosso.

I tuoi show cooking sono unici e particolari con un’impronta “fusion oriental”: da dove nasce questa passione? Com’è possibile riuscire a creare armonia in cucine così diverse tra gusti e profumi?

La mia parte fusion nasce dalla mia voglia di assaggiare. Il mio palato curioso mi ha permesso di conoscere molti cuochi stranieri che mi hanno insegnato molto. Non ricette ma il modo di combinare i gusti. Il modo di usare l’umami quel sesto gusto che ti picchia nel cervello e crea quell’effetto “wow”. Non ci deve essere armonia in cucina ma rottura col passato modernità alternata a tradizione. E poi esiste la tradizione? Vi siete mai chiesti da dove la pasta? Oppure l’idea di pizza? Non esiste il concetto di fusion. La nostra cucina italiana è fusion, frutto dei cambiamenti, della cultura del momento e delle culture che hanno contaminato la nostra. Lo spaghetto al pomodoro è fusion: viene dalla Cina, raffinato dagli italiani con un pomodoro che prima non c’era che viene dall’America. Quindi la zia marina è fusion di testa come me. E questa cultura che dobbiamo capire, studiare e vedere: non difendere in maniera estremista i piatti italiani. Pensate alla carbonara, che viene dalla razione K cappa dell’esercito americano e dallo spago e dal pecorino portato dalla bella mora italiana. La cucina è fare l’amore con gli ingredienti, e più fai l’amore più ti viene voglia di provare ingredienti diversi.

Infine, una domanda sul futuro: cosa ti aspetta nei prossimi mesi?

Mi aspettano i viaggi. Il mio blog da curare e la mia pagina Instagram che è il mio piccolo orto. I miei video Fusion di testa e il progetto Chissenefood video. Andate a vederli e ditemi che pensate. E poi un paio di progetti in cucine segrete dove porto dallo schermo i miei piatti fino a tavola. E mi piacerebbe che questo progetto rimanesse puro, così e diverso. E forse ho trovato la strada, quella del video. In cui posso far parlare tutte le mie personalità e farle giocare con il cibo. Perché a differenza di quello che vi dicevano da piccoli il cibo è un gioco, con cui nutrirsi star bene ma anche una cosa serissima che però non deve creare ansie in cucina. Quindi avete visto Masterchef, ora invece di cercare di emulare i giudici e giudicare cercate di capire. Cercate di capire il cibo della nonna, del cinesino di fronte a voi, cercate qualcuno che abbia storie da raccontare e non solo quelli più votati sulle classifiche. E cercati mangiare più cultura possibile. E se bruciate l’arrosto come la Marisa –ndr mamma di Mauri- chissenefood!

Alessia Cavallaro