I pazienti ipertesi e che soffrono di malattie cardiache, sono a maggior rischio rispetto alla popolazione non cardiopatica nel momento in cui entrano in contatto con il virus.
Una recente analisi su oltre 1000 pazienti cinesi, effettuata da Jae-Waan Guan pubblicata sul New England Journal of Medicine riporta che il 24% dei Covid positivi aveva problemi di cuore. E la percentuale sale al 58% tra quelli intubati o deceduti. Tra i problemi cardiaci il più frequente era l’ipertensione (15% del totale, 36% dei più gravi) seguito dal diabete (7,4% del totale, 27% dei più gravi).
Dati della National Health Commission cinese del 5 marzo dimostrano che il 35% dei Covid positivi era iperteso ed il 17% aveva malattia coronarica.
È chiaro quindi che le problematiche cardiovascolari sono comuni nei pazienti con Covid-19, e che questo rende i pazienti ad alto rischio. I motivi ipotizzati sono vari (età, sistema immunitario non efficace, elevati livelli di ACE2) ma per nessuno di questi abbiamo chiara evidenza scientifica.
Altro problema è che questo virus, come altri, può a sua volta causare un danno cardiaco. In uno studio di Dai Wang effettuato sulla popolazione di Wuhan e pubblicato sul Journal of American Medical Association il 7% dei positivi aveva segni di importante danno cardiaco (percentuale che saliva al 22% nei pazienti ricoverati in terapia intensiva). Le ipotesi formulate per la spiegazione del rialzo enzimatico anche in questo caso sono varie, anche se la più probabili è una infiammazione del muscolo cardiaco (miocardite acuta) provocata dal virus.
In sintesi per i soggetti cardiopatici che hanno sviluppato l’infezione, è molto probabile l’insorgenza di un evento acuto con conseguente scompenso grave o come danno progressivo che si sviluppa col proseguire dell’infezione pregiudicandone la prognosi.