Bette Davis: donna senza tempo e diva per tutte le stagioni

Non era quel che si dice una gran bellezza. Per questo, nonostante avesse vinto il premio di miglior attrice giovane dell’anno 1930, l’ostinato Samuel Goldwyn, affermato produttore cinematografico dell’epoca, rifiutò categoricamente di scritturarla. Eppure lei l’anno seguente debuttò lo stesso, sotto l’egida della Universal Picture, al fianco di Humphrey Bogart come protagonista del film: The Bad Sister. Ci voleva ben altro che questa superficiale considerazione, a scalfire la sua sicurezza.

Né tanto meno si scompose al momento della firma su un contratto per sette anni con la Warner Bros, di fronte al suo riluttante proprietario Jack che ritenendola, anche lui, priva di qualsiasi fascino, la scritturò quasi esclusivamente per la sua bravura. Infatti a quei tempi, siamo ai primi vagiti degli anni trenta, folleggiavano perlopiù sul grande schermo sinuose figure di donne imbellettate: bambolone bionde, vamp patinate e bellocce vaporose, ma quella tenace signorina, espressiva, fresca, vivace e soprattutto moderna, possedeva tanta, troppa personalità oltreché uno smisurato talento.

Si chiamava Bette Davis e con questo bagaglio di simili qualità non ci mise tanto a scuotere quell’ingessato ordine costituito, molto in voga a Hollywood, che prevedeva appunto i soliti copioni per stereotipati ruoli femminili. Mirabile nella sua interpretazione di una spietata cameriera nel film del 1934 “Schiavo d’amore”, si propose all’attenzione generale. Qualche tempo dopo ecco il meritato riconoscimento tributatole dal mondo del cinema: per le superbe interpretazioni di “Paura d’amare” del 1936 e  ”La figlia del vento” del 1938, vinse infatti ben due premi Oscar come miglior attrice protagonista. L’apoteosi della sua debordante personalità arrivò a tal punto da costringere gli sceneggiatori del film” Tramonto” del 1939, a coniare apposta uno slogan che le calzasse a pennello: ”Lei è tutto ciò che una donna può osare di essere”.

Gli inizi degli anni quaranta confermarono in assoluto la sua crescente fama: cominciò con la pregevole immedesimazione in una moglie fedifraga e assassina nel noir: ”Ombre malesi” per poi catapultarsi nel perfido ruolo di una donna avida e venale in: ”Piccole Volpi”, entrambi diretti da William Wyler, e infine chiuse questo entusiasmante trittico trasformando la bruttina aristocratica insicura del romanzesco: “Perdutamente tua”, in una affascinante e vogliosa ereditiera. La dolce ala della sua giovinezza cinematografica chiuse di fatto le ali e nel 1942 la pretenziosa Bette smise la collaborazione, durata ben diciotto anni, con la Warner incapace, a suo parere, di proporle ruoli più allettanti. In quel periodo girò una decina di film, cui resta traccia solo per il suo nome, come aspettando la sua occasione.

E dopo questa grigia parentesi eccola, in tutto il suo splendore di vera diva la Davis diede vita a uno dei suoi personaggi più indimenticabili e rappresentativi: la famosa Margo Channing di “Eva contro Eva”, regia del maestro Joseph L. Mankiewicz. Uno dei classici più apprezzati e non solo degli anni cinquanta.

Ancora un paio di film con una menzione particolare per:” La diva “dal contenuto vagamente autobiografico e benché oltre alla soglia dei quaranta anni l’attrice americana continuò la sua professione con entusiasmo e passione ritornando a calcare le scene teatrali. Le sue ceneri artistiche ancora una volta come l’araba fenice risorsero e risale agli inizi degli anni sessanta il suo parziale rientro con l’impeccabile ritratto cinematografico di una stracciona, la mendicante Annie trasformata in nobildonna nella favola moderna diretta da Frank Capra:” Angeli con la pistola”.

Oltre a girare film, raccogliere premi per ogni dunque e in ogni dove, la bisbetica Bette collezionò ben quattro mariti, una lunga sfilza di guai giudiziari e rimase per qualche tempo disoccupata: memorabile la sua ironica richiesta d’impiego su un quotidiano all’inizio degli anni sessanta. Inoltre si attirò un cospicuo numero di reciproche antipatie soprattutto fra gli addetti ai lavori. Giurò eterno odio nei confronti di Joan Crawford: chissà quanto si divertì nel tentativo di strapazzarla oltre la finzione scenica nel film” Che fine ha fatto Baby Jane” del 1962 e dieci anni dopo definì Alberto Sordi antipatico, maleducato e provinciale, durante le riprese del film:” Lo scopone scientifico”. Qui, nella parte di una vecchia eccentrica a prima vista benefica, l’ormai ultrasessantenne diva riuscì magnificamente a esprimere la malefica cattiveria di una riccona nei confronti di due poveracci baraccati. (Sordi appunto e la Mangano).

Nell’intervallo tra queste significative interpretazioni l’inimitabile diva, in piena sintonia con il sopravvenuto ruolo, aveva da par suo girato: “Piano piano dolce Carlotta” del 1964 e ”L’anniversario” del 1968.

Nel corso di ottantuno anni di una vita movimentata che ha attraversato intere generazioni e di una lunga e leggendaria carriera durata novanta film, l’inossidabile Ruth Elizabeth Davis nata a Lowell nel 1908, si è sempre ritrovata nei ruoli giusti perché era l’attrice giusta al posto giusto stante, a suo dire, il giusto modo di essere donna.

Sprezzante, altera, autorevole, ma anche vera, coraggiosa e a modo suo umana, quest’attrice straordinaria ha quasi sempre preferito interpretare ruoli scomodi: capricciosa e irriverente fanciulla della buona società, donna cinica ma anche gelosa e fatalista; signora emancipata, colta e disincantata; attrice languida e disillusa sul viale del tramonto; grottesca zitella schizzata e infantile; vecchiaccia decrepita e sottilmente cattiva,  

In questo caleidoscopio di ruoli uniti dal fil rouge del coraggio di essere sé stesse, emergono tantissime figure di donna che lei seppe, come fossero abiti, prima impeccabilmente disegnare e poi disinvoltamente indossare.

Oltre i film, ricordi, immagini, canzoni e aneddoti raccontano la sua storia: dai suoi celebri occhi penetranti alla decisa postura, agli innati atteggiamenti e dunque comportamenti decisamente anticonformistici.
Bette Davis è stata donna, attrice, personaggio e diva con qualcosa in più: il fascino del mito che travalica il classico concetto di brava, buona e bella. Lei era più che brava, quasi mai fu buona e in quanto ad essere bella sedusse tanti con l’idea di esserlo.

Vincenzo Filippo Bumbica