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Stop Hate for Profit: la moda si allontana da Facebook

Stop Hate for Profit boicotta Facebook. La piazza virtuale di Facebook è protagonista di un movimento epocale: i suoi più importanti inserzionisti, tra cui Coke, Verizon e Honda stanno disinvestendo dalla piattaforma per cause etiche. Nella la lista degli importanti brand aderenti all’iniziativa della no-profit spiccano anche quelli di aziende di moda americana come Adidas, Colgate-Palmolive, Levi’s, Patagonia, The North Face e Rei hanno aderito, e la protesta si sta allargando a macchia d’olio nell’industria dell’abbigliamento. Ma perché accade? 

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La causa scatenante di Stop Hate for Profit

Durante i tumulti associati agli omicidi di George Floys e Breonna Taylor Facebook è accusato di non aver bloccato la diffusione di messaggi di odio, restando pressocchè inerme ai commenti razzisti e non che hanno riempito la piattaforma nel delicato momento. Mentre tutto il mondo e la community virtuale si riuniva in silenzio attorno alle morti colme di ingiustizia e crudeltà, Facebook ha categorizzato tabloid scandalistici e dichiaratamente bigotti e antisemiti come il Breitbart news ed il Daily Caller “fonte di notizie certe”, colpevoli di incitare la popolazione americana contro le rivolte di Black Lives Matter sui loro canali. Facebook non avrebbe neanche bloccato le inserzioni pubblicitarie, continuando a suggerire prodotti da acquistare tra un post violento e l’altro. D’altronde, Facebook guadagna 70 bilioni di dollari l’anno tramite la pubblicità: in effetti Zuckerberg stesso aveva risposto alla domanda “Come fa Facebook a rimanere gratuito?” del senatore Hatch, con  un freddissimo e stupito “Sir, we run ads” “Signore, noi vendiamo pubblicità”.

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La credibilità per i brand è fondamentale: se un carosello con i prodotti di una marca apparisse accanto ad un post razzista, l’utente assocerebbe automaticamente il nome dell’azienda con l’informazione da lui letta, senza chiedersi perché. Stessa cosa vale per le fake news. Per questo motivo molti brand si sono dissociati dalla funzionalità a comparsa casuale delle pubblicità di Facebook, che non tutelano l’identità intellettuale dei marchi a causa di mancate accortezze nel posizionamento. In un mondo in cui missione, visione e identità sono la chiave per farsi un pubblico e differenziarsi sul mercato, in cui tutti gli aspetti di un marchio sono sotto i riflettori e sempre meno formali, non ci si può permettere di essere associati per caso ad un’informazione fuorviante. 

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Il piano d’attacco

La mancanza di sensibilità di Zuckerberg e del suo team adesso viene ripagata: potenti multinazionali come Coke, Honda, Verizion ed almeno un altro centinaio di brand stanno boicottando Facebook tramite l’hashtag #Stophateforprofit, per distaccarsi dal concetto di guadagnare sui momenti di difficoltà degli individui, disinvestendo tutti i fondi stanziati per la pubblicità sul colosso americano. Stop Hate for Profit, letteralmente “Metti in pausa l’odio” è un’associazione, oltre che un’hashtag di boicottaggio. L’organizzazione punta a chiedere alle aziende aderenti di smettere di pubblicizzare i propri servizi su Facebook per far riconoscere al suo CEO l’impatto sociale che la piattaforma ha sulla vita di tutti i giorni. Stop Hate for Profit ha anche stilato un decalogo di miglioramenti che Facebook dovrebbe utilizzare per implementare i suoi servizi per essere davvero trasparente e utile alla comunità.

La prima richiesta è quella di una presa di responsabilità. Stop Hate for Profit richiede la creazione una posizione lavorativa per un esperto di diritti civili specializzato in discriminazioni e conflitti di interessi, che controlli oggettivamente i contenuti e ne prevenga la diffusione se negativi. L’associazione richiede anche un transparency report ed un fondo rimborsi per gli inserzionisti le cui pubblicità sono apparse accanto a contenuti a loro non graditi. Stop Hate for Profit chiede a Facebook decenza nell’individuare ed eliminare i gruppi in cui sia noto il traffico di incitamenti razzisti, suprematisti e antisemiti. Le loro policy per sradicare il razzismo e accuratamente astenersi dal rendere pubbliche notizie false sulla politica e sui suoi rappresentanti sono da adottare ed implementare.

L’ultimo blocco di richieste va a favore della community. Viene richiesto il sostegno tramite un team specializzato di tutti gli utenti vittima di violenza e scherno basato sull’identità individuale e un’impiegato presente live per occuparsi delle questioni umane, piuttosto che l’intelligenza artificiale.

Stop Hate for Profit boicotta la poca trasparenza di Facebook ed il suo continuo cambio di rotta nei confronti dell’opinione pubblica: le richieste non sono abbastanza, ma sono un inizio. 

Irene Coltrinari