Quando la tela è il paesaggio urbano, la vera arte è quella di far rallentare i passanti frettolosi, fermare le corse dei bambini e regalare un sorriso agli anziani soli. Danilo Pistone, in arte Neve, è uno street artist diventato uno degli esponenti più rinomati del neomuralismo in Italia. Torinese di nascita, dipinge i muri della sua città da quando ha solo 8 anni, imparando più dalla strada che dall’Accademia. Ha dipinto a mano libera muri iperrealistici alti più di 20 metri, lasciando il segno nelle città di tutta Europa ed ha esponendo opere ovunque nel mondo.
Il tuo talento è grande quanto i muri di titaniche dimensioni che dipingi. Ma come si passa dall’essere ”vandali” incappucciati che imbrattano muri nel cuore della notte a stimati muralisti che lavorano su commissione di grandi aziende di fama internazionale come Ikea, Disney, Campari, Fabriano e Michelin?
Penso che la differenza sia solo nella percezione esterna: personalmente non ho mai concepito il dipingere di notte “incappucciato” come un atto vandalico o come una forma di imbrattamento fine a se stessa. Per me gli obiettivi erano, anche allora, pressoché identici: sfogare l’esigenza di comunicare qualcosa, compiacere l’ego e dare forma estetica alla propria visione. Quello che è cambiato sono i tempi, i mezzi e i messaggi. Se prima mi prendevo da solo gli spazi e avevo a disposizione pochi minuti di tempo, oggi gli spazi mi vengono dati e con molti giorni e materiali a disposizione: è chiaro che i risultati siano diversi. Dipingere in strada insegna tantissimo e si vede molto la differenza tra chi possiede questo background e chi si è improvvisato street artist o muralista, solo quando il fenomeno è salito alla ribalta. In strada si imparano a gestire i tempi, gli spazi e l’impatto estetico, in un modo che non si può insegnare, ma si studia solo facendolo. Relazionandoti abitualmente con il paesaggio urbano, impari ad inserirti nello spazio con più o meno efficacia, coinvolgendo un pubblico sempre più ampio che, aggiunto a quello della rete, raggiunge davvero numeri enormi; cosa che fino ad un decennio fa era un privilegio esclusivo della comunicazione pubblicitaria.
L’arte sa raccontare; quando un brand ha il coraggio di farsi raccontare dall’arte e trova un artista intelligente nell’interpretarne i valori, può nascere qualcosa che arricchisce tutti: una sorta di mecenatismo allargato di cui gode anche il passante casuale. Per quanta riguarda il mio percorso artistico, preferisco vedere questo sviluppo come una sorta di crescita naturale, anche intrinseca alla crescita anagrafica. Non avevo pianificato nulla, è successo e basta.
Ombre da cui fai emergere solo le luci e i colori, dando vita ai protagonisti delle tue storie su muro. Un ottimo escamotage per lavorare in modo più veloce superfici di grandi dimensioni, proprio come il Caravaggio. Come si è evoluto il tuo stile negli anni?
Portare la luce nelle tenebre è nato più come un’esigenza concettuale che come una scelta stilistica. Ho sempre visto il processo di studio ed elaborazione dell’immagine come parte integrante dell’opera stessa, come se ogni gesto compiuto a tal fine fosse una linea di costruzione e come se ogni scelta tecnica dovesse necessariamente riflettere il concetto in ogni sua manifestazione. Ho iniziato a disegnare sul nero per portare solo la luce e per delineare i punti d’ombra senza mai affrontarli direttamente, semplicemente lasciandoli meno illuminati. Inizialmente non volevo citare Caravaggio, pensavo più a Goethe, ma poi inevitabilmente mi sono dovuto confrontare con la percezione comune della similitudine stilistica e ammetto di esserci rimasto un po’ intrappolato. Dipingere sul nero non è necessariamente la scelta più comoda o più rapida, si può “tracciare” di meno e si hanno meno punti di riferimento; inoltre se la tematica affrontata non richiede la giusta dose di solennità, si rischia di risultare semplicemente cupi. A prescindere dal colore di sfondo, lavorare a mano libera su superfici di grandi dimensioni in poco tempo è solo una questione di concentrazione ed esercizio. Fatico a vedere evoluzioni nel mio stile, perché è difficile notare cambiamenti vissuti troppo da vicino, però credo di sapere in che direzione sto andando.
Nelle tue opere c’è un comune denominatore: che siano di uomini o di donne, vecchi o bambini, i veri protagonisti sono gli occhi negli sguardi della gente. Perché?
Ogni mio lavoro parte dall’esigenza di portare un contenuto allo spettatore, e penso che il ritratto sia un ottimo veicolo per un messaggio, dal momento che tendenzialmente siamo portati a riconoscerci nella figura umana, tendiamo anche ad empatizzare con essa. Il contenitore più ampio e potente di un ritratto è sicuramente lo sguardo del soggetto. Negli occhi è possibile codificare un numero enorme di informazioni, come ad esempio emozioni o intenzioni. Se l’intreccio di sguardi tra più soggetti è ben calibrato, si può creare un forte dinamismo o, se supportato da altri elementi, può addirittura dare l’impressione che il soggetto osservi lo spettatore.
Quando dipingo gli occhi, tutto il disegno prende vita – anche se il resto non è ancora finito – e sono di gran lunga la parte del lavoro che mi diverte di più.
Hai affermato spesso che ami lavorare in luoghi pubblici perché vuoi che la tua arte sia fruibile a tutti, senza biglietto d’ingresso. Dopo gli accesi dibattiti sulla mostra di Banksy al Mudec di Milano sulla privatizzazione dell’arte pubblica, qual è la tua posizione su questo tema?
Dipingere in strada dà modo di comunicare con tutte le tipologie di persone, dà accesso ad un “carotaggio sociale” completo, nel bene e nel male. Quando si lavora in pubblico si deve tenere presente che l’unico diritto che si mantiene è la potestà dell’opera, non la sua proprietà: l’opera diventa di chi la guarda, di chi la usa come punto di riferimento e di chi la interpreta. Appropriarsi della proprietà comune, rendendola privata, è solo una manifestazione di una tendenza umana molto comune e quando cedi al mondo qualcosa, devi tenere presente che l’uomo ha anche dei lati di pochezza. Se non vuoi farci i conti, puoi benissimo fare come Blu e privare l’ intera collettività dei tuoi lavori. D’altro canto trovo ironico che un’arte che nasce nell’appropriazione indebita degli spazi visivi e che si basa su una ridiscussione del rapporto tra proprietà pubblica e privata, si trovi a fare i conti con una tendenza opposta e complementare, che non aveva messo in conto.
Dipingere in pubblico vuol dire donare un pezzo della tua anima al mondo e quando doni qualcosa non ti puoi preoccupare di cosa ne viene fatto dopo, al massimo puoi rattristartene.
Le tue opere sono in esposizioni a Cannes, Parigi, Londra, Singapore e New York e hanno fatto parte di numerose mostre collettive come (con)Temporary art a Milano, la Biennale di Venezia, la mostra a Dusseldorf con le opere di Giorgio De Chirico, la bipersonale con Peeta alla Galo ArtGallery. Cosa ti attende per questo 2019? Che progetti hai?
Non amo particolarmente parlare dei miei progetti futuri…parafrasando Nikola Tesla: Il mio presente è vostro; il futuro, per il quale sto realmente lavorando, è mio.
Una risposta a tutti i giovani street artist che stanno leggendo la tua intervista: perché dovrebbero inseguire questo sogno e farne il loro pane quotidiano?
Non penso che vivere d’arte debba essere un sogno cui puntare, bisognerebbe ambire a far vivere l’Arte. Se come obiettivo primario ci si pone il monetizzare qualcosa di sacro, si ottiene solo una farsa; bisognerebbe aspettare che sia il pubblico a dare un valore a ciò che gli si presenta e non avere fretta di attribuire prezzi.
Un tempo si faceva molta gavetta prima di poter mostrare le proprie opere dinnanzi alla gente ed era un traguardo importante. Dipingere sui muri fa sì che chiunque possa esporre qualunque cosa, davanti a chiunque. Nell’euforia collettiva si sottovaluta spesso la responsabilità che questo comporta, le aspettative che questo crea, la fatica insita nel continuo rinnovarsi, il dolore che si prova a spremere la propria anima nei momenti in cui non si è ispirati. Se si è molto caparbi, talentuosi, intelligenti e fortunati però, si posso vivere esperienze stupende e gratificazioni inimmaginabili, quindi, in fondo, ne vale davvero la pena. Il consiglio che mi sento di dare ai giovani street artist è questo: i muri sono solo il supporto, quello che ci mettete sopra dovrebbe sfidare l’intera storia dell’arte, il pubblico, e soprattutto voi stessi. Senza una domanda, senza una sfida o senza il dolore, potreste solo ambire a diventare dei buoni decoratori. E di quelli ce ne sono già a sufficienza. La società, in cui viviamo, tende a facilitarci la vita con mille trucchi e scorciatoie e molti ottengono attimi di gloria solo in questo modo. Voi cercate di essere fieri di ogni linea che avete tracciato, anche quelle sbagliate, perché se le avete fatte, solo con i vostri occhi saprete correggerle. Comunque sia, buona strada.
Viaggia nel mondo magico di Neve attraverso il suo account Instagram @neve._