Il cinema spagnolo conferma anche su Netflix la sua vitalità. Al contrario che in Italia il genere thriller è una strada largamente battuta dai cineasti spagnoli, che si cimentano spesso con trame articolate, sceneggiature intriganti e ben scritte, le quali puntano sulla tensione psicologica che anima i loro protagonisti.
E’ il caso di due pellicole “sbarcate” su Netflix, “L‘avvertimento” (2018) e “7 Anos” (2016), che vi consigliamo: due film, che, sebbene trattino temi diversi tra loro, hanno in comune interessanti livelli di suspance, in grado di catture presto l’attenzione dello spettatore, che rimane colpito dalle idee che ne costituiscono il punto di partenza. Non stiamo parlando di grandi produzioni, ma di film indipendenti, convincenti perché ben pensati e, soprattutto, creativi, i cui autori sono in cerca di soggetti cinematografici originali e di modalità atipiche nel racconto.
L’Avvertimento, di Daniel Calparsoro, è un bel thriller, narrato su due linee temporali, che presto si scopriranno sovrapposte. La trama: Jon, (Raul Arèvalo, interessante attore spagnolo, già visto nel noir La isla Minima), di ritorno a casa con l’amico David viene coinvolto in una sparatoria all’interno di una stazione di servizio. David viene tragicamente colpito e finisce in coma. Jon, matematico geniale, con forme di schizofrenia, spinto dal senso di colpa per lo stato dell’amico, comincia ad indagare sull’incidente e scopre inquietanti precedenti di sparatorie e morti avvenute in epoche differenti, sempre all’interno della stessa stazione di servizio, con modalità che sembrano comporre una vera e propria sequenza matematica, destinata a ripetersi.
Nel frattempo, in un’altra epoca, un bambino, entrato nella stessa stazione di servizio, trova dentro una rivista un biglietto che lo avverte di non tornare in quel luogo il giorno del suo decimo compleanno, ormai prossimo, perché altrimenti morirà…
Film dalla fotografia prevalentemente lucida e pochi chiaroscuri, L’avvertimento riesce presto, con la propria sceneggiatura e i giusti raccordi tra passato e presente a coinvolgere lo spettatore nel mistero che si cela dietro la serie di assassinii e morti verificatesi dentro la “maledetta” stazione di servizio.
Alla folle e disperata indagine di Jon, ostacolata dai suoi demoni lucidi, allucinazioni che confonde facilmente con la realtà, si accosta, in un altra epoca, la paura della morte da parte di un bambino e di sua madre, la quale a sua volta indaga sul misterioso avvertimento ricevuto dal figlio. Sia nel presente che nel passato i due protagonisti, Jon e il bambino, sono circondati da persone che non credono alla serie di coincidenze che sembrano avvolgerli. Mano a mano che la narrazione prende il largo, il filo che li lega comincia a delinearsi con sempre più forza, mentre la minaccia di un destino ineluttabile, che sembra avere un proprio rigore matematico, incombe su di loro. Ma è reale o è solo suggestione?
E’ chiaro che la sceneggiatura di questo film, così come la regia puntano molto sulla suspance, efficacemente creata, soprattutto attraverso il meccanismo dell’indagine e tramite l’incontro con personaggi reticenti, testimoni quasi succubi di una casualità a suo modo razionale, i quali svelano e non svelano, condividendo ciascuno pezzi infinitesimali di un puzzle geometrico in crescente composizione, che in fondo, potrebbe essere anche il frutto della fervida mente dello psicotico protagonista. Interessante anche il finale, che spinge lo spettatore a districare la matassa ingarbugliata dell’intreccio, comunque logico, del film, che risulta coerente con la mappa temporale e numerica di eventi creata dal regista. Certo, forse, qualche qualche piccola scena in più per chiarire il finale poteva essere apprezzata, ma, a parte questo, il film è d’impatto e la sua originalità rimane ben impressa nella mente dello spettatore, soprattutto per il ritmo e la buona sceneggiatura ad incastro.
7 Anos, di Roger Gual, invece, è un notevole e raffinato thriller psicologico che potremmo definire “One Room”, ambientato in un unico ambiente, lo studio di quattro soci di un importante azienda produttrice di software, riunitisi d’urgenza per far fronte ad un problema di estrema gravità: l’evasione del fisco compiuta da ciascuno di loro è stata scoperta e, secondo un’attendibile soffiata, a giorni, se non nell’immediato, la polizia irromperà nella sede della società sequestrando ogni documento. Non c’è possibilità di eludere i controlli, ma se uno solo dei soci si addossasse la colpa di tutto e andasse in prigione a scontare sette anni (la pena prevista per la frode, come suggerito dal titolo) la società sarebbe salva. Il problema è proprio stabilire chi debba scontare tale pena. Per dirimere la questione i quattro assumono un avvocato, affinché egli effettui una mediazione tra loro.
Sorretto da una sceneggiatura brillante (Jose Cabeza, Julia Fontana), che lo rende simile ad una piece teatrale, e da un ottimo cast, il film vede il progressivo scontro verbale tra i quattro soci fondatori, che creano alleanze tra loro, per poi distruggerle, cercando, a volte più indirettamente, a volte, in modo aggressivo e palese di indurre gli altri a votare contro un’unica persona. Una vera e propria partita a scacchi, fatta di rivelazioni, cinismo, votazioni e sofismi verbali pur di guadagnare la libertà e non incorrere nei sette anni di pena, che attendono chi rimarrà succube nello scontro.
Una lotta di tutti contro tutti, in cui lo spirito di unica compagine, inizialmente decantato dai quattro soci fondatori, mostra presto le sue crepe, e vede l’emergere di egoismi e personalismi, dinnanzi alla necessità di un impellente decisione. Tutti questi elementi sono gestiti egregiamente dal regista, attraverso una regia lineare e scevra da abbellimenti, in cui la macchina da presa si muove intorno agli spazi, seguendo i personaggi che si spostano all’interno degli ambienti dell’ufficio, come se questo fosse un palco teatrale tridimensionale, utilizzando non a caso diversi piani sequenza. L’obiettivo è quello di denudare le reazioni dei personaggi coinvolti, delle loro verità, delle loro reticenze e delle loro menzogne. Il ritmo è davvero incalzante, merito di dialoghi e una recitazione all’altezza da parte degli attori. Si potrebbe pensare a Perfetti Sconosciuti di Genovese, rispetto al quale questo film appare però più convincente per la maggiore armonia con cui gli interpreti interagiscono tra loro, in una buona combinazione di azione e reazione, che non risulta affatto forzata, a tratti il limite del film di Genovese, che alla lunga sembra a tutti i costi voler stupire lo spettatore con sempre maggiori ed eclatanti rivelazioni.
Importante anche la figura del mediatore (un buon Manuel Moron), che placa gli animi dei presenti, scandendo a tutti gli effetti i round di questo difficile e impegnativo scontro, inquadrandolo in una veste giuridica, di proposta, controproposta, accettazione. La struttura del film è quella di un dramma da camera (kammerspiel), genere cinematografico antico (risalente al cinema muto), ripreso anche dal regista Polanski in alcuni suoi film, tra cui Carnage.
Quello che stupisce nella pellicola del regista spagnolo Roger Gual è la tensione emotiva e psicologica che anima questo thriller psicologico da camera. Con abilità registica e giusto equilibrio tra ritmo e pause, l’autore dimostra davvero come sia possibile realizzare un ottimo film con pochi mezzi economici, se supportato da un’idea intrigante, un unico ambiente, cinque bravi attori ( Juana Acosta, Alex Brendemüh, già visto in The German Doctor, sul dottor Menghele , Paco León, Manuel Morón, Juan Pablo Raba, visto anche nella serie tv Narcos ) e una solida sceneggiatura, che non scade nemmeno nel finale, il quale è davvero efficace, preparato con cura e provocatorio, una causa inevitabile del perverso gioco delle rivelazioni, ormai irreversibile…