La scomparsa del lago d’Aral, l’economia che distrugge l’ambiente

Se prima era possibile ammirare il quarto lago del pianeta per superficie, oggi possiamo ammirare vecchie navi arrugginite in pieno deserto. La causa? L’egoismo umano.

Il lago d’Aral, un lago salato di origine oceanica posto al confine tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, dal 1960 a oggi ha ridotto la sua superfcie del 75%, e dei 68.000 km quadrati originali oggi ne restano poco più del 10%. Il restante 90% è sabbia, tutto il resto dell’acqua si è prosciugato. Annualmente, ad agosto, il satellite Terra della Nasa punta i suoi strumenti sul lago d’Aral per documentare il ritiro delle acque.

La motivazione di un così importante disastro ambientale è da imputarsi alle modifiche che l’uomo ha fatto nel corso degli utlimi 50 anni. Ai tempi della guerra fredda, per incrementare la produzione di cotone in una regione arida come l’Uzbekistan il regime sovietico attuò un progetto di deviazione dei due fiumi che si immettevano nel lago tramite l’uso di canali. L’acqua prelevata venne utilizzata per irrigare i campi delle neonate colture intensive delle aree circostanti. Senza i fiumi che lo alimentavano, il lago d’Aral si è via via prosciugato nel corso degli anni, lasciando il posto a un deserto di sabbia salata e tossica in cui sopravvivono solo gli scheletri arrugginiti delle navi che un tempo solcavano le sue acque. Per far posto alle piantagioni di cotone, infatti, vennero utilizzati enormi quantità di diserbanti che inquinarono irrimediabilmente il terreno circostante, tanto che ancora oggi le polveri inquinanti vengono sparpagliate ovunque dalle frequenti tempeste di sabbia, fino ai lontani ghiacciai dell’Himalaya. Non a caso quanto successo al lago d’Aral è stato definito il più grande disastro ecologico della storia.

Il cotone è diventato la base economica dell’Uzbekistan, una sorta di “oro bianco” ormai indispensabile per la crescita del Paese. Dal 1991, cioè da quando è diventato indipendente, il Paese di Tamerlano è il sesto produttore al mondo del settore, benché sia solo il 56⁰ per superficie. Ogni anno le campagne uzbeke forniscono un milione di tonnellate di fiocchi: 50 chili per abitante. E se invece del cotone prodotto consideriamo quello esportato, questo Paese balza al secondo posto in classifica, preceduto solo dagli Stati Uniti.

Un miracolo economico che ha distrutto un intero ecosistema. Oggi sulle rive del lago ci sono barche e battelli arenati a chilometri dal bagnasciuga: anni fa erano usati per la pesca, oggi sono spettrali cimeli di un disastro ambientale. Il dramma dell’Aral è aggravato dal fatto che oggi i fiumi portano con sé fertilizzanti chimici e pesticidi, usati dall’agricoltura. Probabilmente la densità di inquinanti nei corsi d’acqua uzbeki non è più alta di quella registrata in certi fiumi europei come Po e Danubio. Ma solo “probabilmente”, perché in realtà nessuno la misura… Inoltre, poiché il lago non ha emissari, tutti i veleni si accumulano in modo irreversibile. La riduzione dell’invaso fa il resto, perché aumenta fatalmente la concentrazione delle sostanze tossiche.

Claudia Ruiz