Si chiama Kabir Mokamel è un artista di Kabul cresciuto in Australia che nel 2010 ha deciso di tornare in patria e di mettere la street art al servizio della sua città. Probabilmente il suo nome non dirà molto, ma a fargli da portavoce sono i numerosi graffiti realizzati sui muri della capitale afghana devastata da continui attacchi terroristici, che gli hanno valso l’appellativo del “Nuovo Bansky” in onore dell’artista inglese da cui prende ispirazione.
Nei Paesi di guerra la gente non è abituata all’arte, né tantomeno a vedere colorati quei muri che hanno continuato a crescere indisturbati negli ultimi anni. Ed è proprio da questi luoghi che Kabir ha deciso di partire per esprimere al meglio il suo messaggio: se è estremamente difficile abbattere queste mura, sarà sicuramente più semplice cercare di farle sparire ricoprendoli di colori, disegni e messaggi. Il suo primo graffito ritrae lo sguardo intenso di una donna dal fascino mediorientale, libero dall’imposizione del burqua. Ma non è tutto, sullo sfondo giallo si intravede un messaggio: “Ho visto la vostra corruzione che non è nascosta agli occhi di Dio, benché voi cerchiate di nasconderla alla gente”. L’Afghanistan è al secondo posto tra i paesi più corrotti al mondo, e per quanto il nuovo presidente Ashraf Ghani, un economista della Banca Mondiale, si sia messo di impegno per sradicarla, sembra un’impresa quasi impossibile in un paese dove tutto gira intorno ai soldi, alle mazzette e ai favori.
Un altro graffito da lui realizzato ritrae un uomo armato di carriola che trasporta un cuore, seguito da una mappa geografica dell’Afghanistan dipinta di rosso, come il sangue che scorre quotidianamente, con sopra un grosso cerotto, a voler rappresentare un paese devastato ma desideroso di guarire dalle innumerevoli ferite inferte. Attualmente Kabir è impegnato nella realizzazione di una nuova opera dal titolo “Eroi della mia città“, per celebrare e rendere omaggio alla gente comune. Gli eroi raffigurati non sono quelli di propaganda governativa, i cui ritratti giganti sono distribuiti in tutta la città, ma le persone comuni: netturbini con la loro tuta arancione, soldati che muoiono sotto le pallottole dei talebani e innocenti uccisi in attacchi suicidi. Inoltre, l’opera assume in sé un significato particolare proprio perché Kabir e il suo staff hanno spesso coinvolto dei passanti, degli agenti di polizia, o perfino dei venditori ambulanti, nella realizzazione dei loro murales. Attraverso la sua arte, Kabir ha attirato numerosi seguaci non a caso di recente ha creato il gruppo di artisti soprannominati “Arts Lords“, ossia i signori dell’arte, in netto contrasto con coloro che si sono sempre proclamati i signori della guerra, ossia i talebani.
Tutti sanno che i dipinti sui muri per quanto belli possano essere non fermeranno la violenza, non cancelleranno con un colpo di pennello la corruzione, né cambieranno la vita degli afghani ma, grazie al contributo di Kabir e del suo team, ogni volta che qualcuno si fermerà ad ammirare i graffiti si vedrà restituita la speranza in un futuro migliore.