Intervista all’attore Pietro Masotti: “Recitare è equilibrio”

Pietro Masotti, bello e bravo, è un interprete teatrale, cinematografico e televisivo, che s’è fatto da sé.

Sta spopolando “Il paradiso delle signore”, in onda ogni pomeriggio su Rai 1 e che lo vede coinvolto.

Tuttavia, il giovane pugliese ne ha fatta di strada per arrivare in televisione, e non ha dimenticato, naturalmente, la sua vocazione per il teatro. Che non abbandona mai.

Quando è nata la tua passione per il teatro?

 

Verso i 15 o 16 anni. Da piccolo mi aveva molto divertito fare recite teatrali, ma inizialmente volevo farmi prete. Adoravo l’aspetto ludico dei giochi ricreativi in parrocchia, ma ero al contempo un bambino molto religioso. La domenica mi piaceva recitare al leggio la preghiera che avevo scritto. Verso i 15 o 16 anni mi sono iscritto ad un corso di teatro con mio fratello, col quale da piccolo avevo già partecipato all’edizione regionale dello “Zecchino d’oro”. Inizialmente condivisi, dunque, esperienze artistiche con lui. Non ero un tipo studioso, ma mi sentivo realizzato al corso di teatro.

La passione teatrale si è concretizzata in lavoro, mentre la fede? T’è rimasta?

 

No, mi definisco agnostico, poiché delle volte ho la sensazione che ci sia qualcosa di metafisico, ma non sono credente ecco. Sul teatro ti dico che tutto è incominciato quando i miei insegnanti mi consigliarono di fare un provino per la “Silvio d’Amico” a Roma. Ero ignorantissimo in materia, avevo visto anche pochi spettacoli. Provai all’accademia a Roma e al Teatro Piccolo di Milano, e fui preso per entrambe le realtà. Fu il destino che era la mia strada. Decisi però di andare a Roma.

Hai qualcosa di bello da raccontarmi sulla tua formazione alla “Silvio”?

 

Essendo completamente scevro da ogni tipo di nozione teatrale, ogni cosa che mi arrivava era qualcosa di nuovo, e quindi bello, cioè uno stimolo in più. Ricordo con tanto piacere l’esperienza con Anna Marchesini. È stata un’insegnante preziosa, soprattutto per tutto ciò che riguarda il comico.

 

Lei diceva che “Il comico è matematica”, cioè ha regole numeriche di base. L’accademia mi ha dato tanti mezzi tecnici, ma non mi ha insegnato a recitare.

 

Le accademie non insegnano a recitare in qualche modo?

 

Le scuole non insegnano a recitare, ti danno solo degli strumenti. Poi sta a te, lavorando e sperimentando sul campo, applicarli per capire lo strumento per te più efficace in base al tipo di attore che sei. Come insegnante ho avuto anche Mario Ferrero, regista teatrale che ha diretto molti lavori per la televisione. Un grande insegnante per me è stato Massimo Popolizio, anche se non ce l’ho avuto in accademia.

Alla faccia, un grandissimo caratterista oltre che attore, bravo anche al cinema!

 

Sì, c’ho lavorato tre anni fa in “Ragazzi di vita”. Da lui impari tantissime cose, rubando con gli occhi quel che fa. Lui in una sola battuta riesce a dare mille sfumature per l’utilizzo pazzesco che fa della parola. Dal mio punto di vista è il più grande attore teatrale italiano di oggi.

Qual è allora il segreto per imparare a recitare?

 

Quello o lo sai fare o non lo sai fare, oppure lo apprendi facendolo, con la pratica, sul campo. Anche rivedendosi s’impara. Anche il pubblico è una scuola, dato che influenza per certi aspetti la tua performance.

 

Per recitare bene ci vuole equilibrio tra la coscienza di sé e il pubblico, che è parte fondamentale della comunicazione, dato che recitare è comunicare, senza farsi trascinare troppo né dal pubblico né da se stessi. C’è un filo, e ci devi giocare.

Quindi tu consideri il teatro anche come forma di equilibrio tra comico e tragico?

 

Nella tragedia bisogna sempre tenere un minimo di leggerezza, a mio avviso. Nel comico, invece, bisogna sempre avere quella parte di malinconia.

“Signori, il dramma è dentro di noi!”, scrisse quel genio di Pirandello…

 

Esatto, bisogna sempre tener presente il rovescio della medaglia del comico e del tragico. Cechov, ad esempio, aveva scritto i suoi testi come commedie, che poi sono stati interpretati come testi drammatici.

Passiamo al cinema, che ricordi della tua partecipazione al film “10 regole per far innamorare” di Cristiano Bortone e con Vincenzo Salemme?

 

10 anni fa venni provinato e fui preso. Da grandi attori come Salemme puoi solo rubare. La sua particolarità è che, anche se da scrittura ci fosse una chiusura, con lui la scena non si chiudeva mai, perché lui aggiungeva sempre qualcosa. E ciò che aggiungeva era quasi sempre più interessante.

 

Da Salemme ho imparato una cosa che al cinema funziona molto di più, ma dipende poi dal caso: il non essere troppo attaccato al testo, in modo tale da proporti non solo come interprete, ma anche come autore.

A cosa stai lavorando adesso?

 

Sto lavorando al “paradiso delle signore”, un daily, una sorta di soap. Giriamo 160 puntate a stagione. Per me è un’ottima palestra. In tale contesto vale molto il “buona la prima” rispetto al cinema dove hai molto più tempo. L’opera è ambientata negli anni Sessanta del ‘900, gli anni del cosiddetto “miracolo italiano” che ha molta presa sul pubblico.

 

Interpreto il personaggio di Marcello, un ex detenuto che cerca di rifarsi una vita. Stiamo facendo begli ascolti, e ci fa piacere, offriamo l’opportunità alle persone di evadere con un intrattenimento sano, dando anche messaggi positivi. Che, di questi tempi, può far solo bene. Mi auguro comunque che la voglia di andare al teatro e al cinema diventi sempre di più non di nicchia.

Mamma mia, che splendida conclusione per ribadire la funzione sociale dell’arte!

Quante cose hai fatto e farai sicuramente: ti auguro il meglio!

 

Grazie Christian, è stato un piacere parlare con te.  

 

 

Le foto sono state selezionate dal profilo Instagram ufficiale dell’attore, naturalmente con il suo consenso.

Christian Liguori