Abbiamo avuto la fortuna di partecipare al punto stampa organizzato durante l’Home Venice, avendo la possibilità di fare qualche domanda ad ENSI.
Si ringraziano per la collaborazione durante l’incontro tutti i colleghi presenti, in particolare Radio Ca’ Foscari per la traccia audio dell’intervista fornita.
ENSI, classe ’85, con una carriera quasi decennale, rappresenta una delle pietre miliari del rap italiano. Il 2019 per lui è l’anno del quinto album in studio pubblicato, Clash, uscito lo scorso febbraio, registrando successo tra i fan. Da sempre fedele alla linea rap, è considerato una fonte d’ispirazione per molti aspiranti e non.
Ma scopriamo insieme qualcosa in più su di lui e sulla sua musica.
A febbraio è uscito il tuo ultimo disco a più di dieci anni dal tuo primo disco da solista: cosa è rimasto e cosa è cambiato?
Allora, cosa è rimasto è l’attitudine con cui mi affaccio nel fare questa musica, che sono sempre passione e amore per questo genere musicale. Questo non cambia la scelta che ho fatto anni fa, quando questa musica non viveva il momento di felicità che vive ad oggi e mi sta dando tante soddisfazione e questo è importante. Da questo punto di vista non credo che cambierà nulla in generale; dall’altra, sicuramente, ho acquisito molta più esperienza, non solo a livello di live, ma a 360°, per quello che è il gioco del rap in Italia. Quindi sicuramente c’è stato un upgrade, però l’attitudine che mi ha premiato è il fatto di essere rimasto sempre connesso all’ambiente che ha generato la mia musica, che mi permette ad oggi di rimanere con uno status consolidato in quello che è il rap italiano. Questo è un grande orgoglio per me.
Quanto è attuale ancora fare rap in Italia, in un momento storico di grande cambiamento dei generi musicali?
Secondo me questo è un momento super punk della musica in generale. Credo che il nostro genere musicale, il rap, in Italia, abbia contribuito tantissimo anche alla diffusione di altri generi che si sono affermati tanto, che derivano da una radice simile alla nostra, e non parlo solo di una nuova wave di rap, ma anche dell’indie italiano che ha preso molto dal nostro ambiente, relativamente a scrittura, linguaggio, ma anche come attitudine. Credo che il rap italiano abbiamo rivoluzionato ed influenzato tutta la musica italiana negli ultimi 10 anni. Quello che però non bisogna dimenticare è che questo è un genere solido, che ha una storia, è sempre quello. In questo grande albero della musica urbana, in cui anche il rap è finito dentro, ci sono tanti rami che delle volte si allontano anche un po’ e magari le mele cadono anche lontano dall’albero. A me quello che interessa è continuare a rappresentare quello che ho sempre rappresentato ed in un’epoca di camaleonti musicali mi sembra anche un segnale forte.
Anche l’ultimo album, Clash, con coraggio va in questa direzione. Dall’altro lato ti posso dire che per quanto siamo fuori da una logica di streaming pazzeschi, e quindi il chiacchiericcio della musica legato solo al mero risultato, e per questo il rap italiano non è stato mai così forte. Vedo il rap come un grande fiume e gli altri generi come affluenti, che a seconda di come vanno portano più o meno acqua, però alla fine esiste il rap, ma chi è partito da qui, come me, non ha senso nel cambiare.
Ho fatto sempre rap e questo è quello che mi piace fare. Questa è la mia visione, magari non tutti la pensano come me, però questo sono io.
Hai origini catanesi, ma sei cresciuto a Torino: questo mix di culture quanto influisce sulla tua musica?
Sì, ho origini catanesi, ma sono nato a Torino. Da più di 10 anni vivo a Milano, quindi sono anche io un immigrato a modo mio. Alla fine credo che questa musica abbia da sempre il concetto del rappresentare, penso anche alle nuove scene che stanno uscendo che tengono molto alla territorialità, dicendo che noi veniamo da qui, mangiamo questo, siamo di qua. Nas nel ’94 diceva “Represent”, parlando di New York, parlando della gente che è come me e rappresento.
Io rappresento la gente che è come me, appunto, indipendentemente dalle origini. E’ normale che nelle mie canzoni dico “sono di Torino”, perché il mio imprinting musicale è nato lì, arrivo da lì, però al contempo nella mia musica dico che sono figlio di meridionali e parlo delle mie radici. Quindi credo che, al di là di tutto, rappresentare in maniera onesta e trasparente le proprie radici, fa comunque parte della nostra musica. Non ho mai avuto nessun rallentamento e nessuna accelerazione, quindi 0 a 0. Non importa da dove vieni, né lo status sociale, né la posizione geografica, quello che cambia è la storia che hai da raccontare e come la racconti.
Quanto credi sia importante e pesante il messaggio che mandi alle nuove generazioni attraverso la tua musica?
Io credo che relegare compiti importanti alla musica sia sbagliato. Come abbiamo detto questa è musica fatta di concetti, di parole, che in altri luoghi del mondo ha cambiato gli eventi storici, a testimonianza della sua forza. Dall’altra io sono uno di quelli che ha fatto sempre attenzione a quello che dice, ma non per paura di essere additato, ma semplicemente perché so benissimo di avere un’arma fra le mani e quindi non sparo mai nell’acqua, ma al contempo non mi risparmio nell’espriemere concetti forti o nel lanciare messaggi forti che ho piacere di lanciare. Non si può salvare il mondo con la musica, se non c’è l’ha fatta Bob Marley direi che non ce la faremo noi, però quello che ci tengo a dire è che il rap viene sempre visto come una musica che parla i giovani, ma io non sono così giovane, non sono vecchio, ho 33 anni, questa è una musica con storia che ha un pubblico fatto da 40 enni con i figli, ma anche dai ragazzini di 16 anni, quindi è nromale che devi calibrare quello che fai, calibrando ciò che si dice.
E’ una musica diretta, non si può fare la prosa del rap, quindi bisogna sempre leggere tra le righe, portando a possibili fraintendimenti. L’attenzione a non dire qualcosa è sbagliata, perché questa è una musica senza regole, in cui si può dire ciò che si vuole. Però pensare all’artista che debba franarsi in alcuni momenti è sbagliato, perché l’artista è il punto di contatto per alcune questioni. Se relegate i rapper al ruolo di educatori, state sbagliando alla grande. Non faccio il pezzo per temi, non prevedo di fare un pezzo contro la TAV, pro migranti, contro Salvini, contro il sistema scolastico, ecc, io scrivo a seconda di quello che filtro attraverso la mia vita. Ho ascoltato sempre musica che in maniera forte parlavano di droga o morte, ma non è che sono diventato così no? Quindi state tutti un po’ più easy raga, questo è il mio consiglio.