Originario di Roma, Andrea Di Donna è molto più di un semplice cantautore. Noi di Socialup abbiamo avuto la possibilità di conoscerlo meglio in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo “Cadillac”, disponibile dal 16 aprile. Amante dell’arte in qualsiasi sua forma, vi assicuriamo che è una piacevole scoperta nel panorama musicale emergente. Lasciatevi condurre nel suo mondo, attraverso le sue risposte: non ve ne pentirete.
Oltre ad essere un cantante, sei un musicologo. Ci spieghi in cosa consiste questa professione e come sei riuscito a diventare musicologo?
Non mi piace solo cantare ma anche parlare, scrivere e studiare. Da questo punto di vista la musica non è necessariamente al primo posto. Essa convive con un universo di interessi a cui appartengono anche il teatro, il cinema e a lettura. Però alla base di tutto c’è comunque lei: il ritmo, il gesto, la voce, lo strumento, il colpo, il grido, lo stacco, il soffio, il sussurrato, il lento e il veloce. Ogni arte, anche quella statica è regolata da questi binari. Già all’epoca della camerata Bardi, nella seconda metà del ‘500, gli ambienti intellettuali lo avevano ben chiaro. Già allora venivano riconosciute alla musica proprietà comuni anche ad altre arti. E’ così che lei si è andata nobilitando, a poco a poco sottraendosi alla schiavitù della parola. Questo traguardo venne tuttavia davvero raggiunto secoli dopo. Mi appassiona conoscere i vari livelli da cui l’oggetto musica, così come la storia di questo oggetto sono costituiti. Non mi accontento del saper suonare o cantare, anzi proprio non mi interessa. Ad incuriosirmi è più lo sguardo d’insieme. Inizialmente non avevo ben chiara la definizione di musicologo. Ma grazie a lezioni tenute da docenti brillanti mi sono reso conto che questo studio era esattamente quello che mi occorreva per capire qualcosa di più di me stesso. In particolare a colpirmi è stata l’area di studi legati alla storia delle mentalità: cioè studiare un compositore non in quanto autore delle sue opere e basta, ma in quanto attore indissolubilmente legato al suo tempo, al suo contesto. E così in quel dato tempo riscontriamo che quei contenuti che lui esprime attraverso la musica possiamo ritrovarli anche in altri aspetti di quella stessa epoca, a loro volta connessi tra loro da quelli che vengono detti “contenuti impersonali”.
“Cadillac” è il tuo brano d’esordio, come nasce?
Nasce di sera, a fine agosto, nel 2020. Ero tornato da una vacanza un po’ difficile con la mia ragazza. Ci lasciammo. Io avevo solo un desiderio: andare a casa e buttare su carta la mia vita una volta per tutte. “Cadillac”, così come altri brani scritti l’anno scorso, sono la mia voce.
In questo singolo racconti il tuo punto di vista musicale rispetto alla vita contemporanea, fatta di ascolti, amori, conflitti, dolori, separazioni, gioie, collisioni, rivolgendoti a qualcuno. Chi si cela dietro al tuo interlocutore?
Non lo so. Forse me stesso. Forse sono io che chiedo a lei di dirmi chi è perché voglio sapere chi sono io. Credo che la vera interlocutrice sia la partecipazione vigorosa alla vita. Alla fine non ne so molto più di voi. Ma se vi è piaciuta allora vuol dire che capiamo entrambi qualcosa.
Musicalmente parlando, chi ti piace ascoltare?
E’ una domanda a cui è difficile rispondere perché o faccio un elenco oppure la vedo davvero dura. Sicuramente tutti i generi raccontano la storia di chi li ha imposti nel mondo. Poi esistono le copie, e quelle non mi interessano.
C’è qualche artista in particolare che è per te fonte di ispirazione?
Pablo America, Bertolt Brecht, Gyorgy Ligeti, Marcello Mastroianni e Emma Nolde. Si limitano a mostrarci quello che vivono, e lo fanno con un talento strepitoso. Attraverso loro vediamo qualcosa che può essere anche nostro, e quindi non abbiamo ragione di perderci nell’inutile vortice dell’invidia. Li ringraziamo per essere così intensi nell’evidenziare le infinite incongruenze della vita. Dicono cose che capisco. Sono contento se capisco; non sono contento, al contrario, se vengo indotto a illudermi di poter essere per anche solo un istante quello che non sarò mai, cosa che mi capita quando mi accosto a tanti artisti che non mostrano altro che se stessi, in maniera assurdamente peculiare, e la comunicazione decade.
Come ben sappiamo, il mondo della musica dal vivo è fermo. Cosa ti manca di più dei concerti?
Il cuore che batte forte prima di salire sul palco. Il cuore che batte forte quando è la serata giusta e la voce è ok. Il cuore che batte forte quando è la serata giusta e dopo il concerto senti di aver svolto un ottimo lavoro.
Ci sveli i tuoi progetti futuri? Stai lavorando a qualche altro singolo o ad un album?
Ho scritto e autoprodotto più o meno già tutti i brani che farò uscire quest’anno. Poi uscirà l’album, spero. Inoltre sto già pianificando alcune parallele collaborazioni interessanti che mi consentiranno, spero, di mantenere vivo il proposito di restare libero sul piano espressivo. Rifiuto categoricamente l’atteggiamento di venerazione nei confronti del dato “genere” musicale. Non voglio assolutamente cadere in questa trappola.