Intervista a Simone Sartini: “Vi presento Periferie a sud dell’anima!”

Il 4 marzo 2020 è uscito il primo album di Simone Sartini dal titolo “Periferie a sud dell’anima”.

Dopo sei anni di concerti con “Il Sinfonico e l’improbabile Orchestra”, Simone Sartini decide di iniziare la canzone da solista, nonostante lo stesso avesse fondato la band nel 2012.

Nel 2015 viene premiato al MEI nel 2015 come miglior voce emergente e inizia ad aprire molti live di artisti quali: Bandabardò, 99 Posse, Modena City Ramblers, Dubioza Kolektiv, Kutso, Il Muro del Canto, Roberto Billi, Area765, Meganoidi, Edoardo Bennato e Marlene Kuntz.

Nel 2018 rilascia il suo primo singolo dal titolo “Rugiada” con cui partecipa al talent su Radio Rai Live “Dallo stornello al Rap”, classificandosi secondo.

“Periferie a sud dell’anima” è il suo disco d’esordio: undici tracce in cui il cantautore racconta storie di persone emarginate toccando temi come lo sfruttamento della prostituzione, il vagabondaggio, l’influenza negativa delle mafie nella quotidianità dei luoghi dove si ramificano e di un tema forse mai toccato fino ad ora nelle canzoni ovvero della violenza psicologia che molti uomini subiscono dalle donne senza mai sfociare nella negatività.

Del disco, della musica e del futuro ne abbiamo parlato direttamente con Simone Sartini che ci ha svelato retroscena e progetti che presto saranno pubblici.

Simone, quando hai capito che la passione per la musica doveva trasformarsi in un lavoro?

Ti dico la sincera verità, spero non lo diventi mai.

Perché, se dovesse diventare un vero e proprio lavoro, allora finirei per fare anche cose che non mi piacciono, questo per dover risolvere il problema di pagare il mutuo, le bollette fare la spesa.

Invece, vorrei non dover dipendere economicamente dalle mie canzoni e continuare a scrivere solo per me e per fare quello che mi piace.

A marzo è uscito il tuo primo progetto discografico dal titolo “Periferie a sud dell’anima”. Perché questo titolo? E perché questa cover?

Questo titolo prima di tutto perchè non volevo che portasse il titolo di una delle canzoni e poi perchè mi sono reso conto che nessuna delle canzoni singolarmente poteva rappresentare al meglio l’album mentre tutte insieme potevano sicuramente rappresentare un qualcosa.

Quel qualcosa sono appunto le periferie, le persone e le storie che racconto nelle tracce.

“A sud dell’anima”, invece, perchè volevo appunto localizzarle in qualcosa di apparentemente molto lontano.

La cover di Fabrizio De Andrè c’è prima di tutto perchè me lo dovevo nel senso che mi ero ripromesso da anni che se avessi mai fatto un disco sicuramente avrei dovuto omaggiarlo in qualche modo e “La città vecchia” secondo me è un brano che sta molto bene in mezzo al resto dei miei brani.

Ho cercato di modernizzare un po’ l’arrangiamento inserendo sinth e chitarre elettriche ma senza snaturarlo troppo dall’originale. Mi è sembrato rispettoso.

Ci parli di questo disco attraverso tre aggettivi?

Sudato, demodè e anche un po’ maledetto dato che è uscito dopo 3 anni che era stato registrato e pochi giorni dopo il nostro paese è stato invaso da questa epidemia di coronavirus!

Andiamo alla sostanza del disco. Ci racconti com’è nato? Qual è stato il processo di realizzazione? E soprattutto qual è il suo messaggio?

Le canzoni sono nate piu o meno tutte tra il 2015 e il 2017 e in realtà facevano parte del repertorio della mia ex band Il sinfonico e l’improbabile orchestra, una band che ho fondato nel 2012 e alla quale devo tanto.

Poi il progetto è finito ma il disco è rimasto per cui abbiamo deciso di comune accordo con il resto della band di pubblicarlo a mio nome così da avere una base per continuare il mio progetto come solista.

C’è un lavoro certosino negli arrangiamenti di tutte le canzoni. Da dove è nata l’idea di combinare così tanti generi insiem e soprattutto di far rivivere la musica tradizionale?

Guarda in realtà non è stata proprio un’idea. E’ nato tutto in maniera molto spontanea. Dentro agli arrangiamenti e al sound dei miei brani c’è un po’ il mix dei generi che ascolto e che mi piacciono e che sopratutto mi hanno formato, per cui andiamo dalla musica cantautoriale al combat folk con molta disinvoltura.

Effettivamente ci sono diversi generi ma comunque credo che il modo di scrivere i testi sia il filo comune che lega un po’ tutti i brani.

Il disco ha undici canzoni. Qual è stata la più difficile da scrivere? Quella a cui sei più legato? E quella in cui avresti visto bene un feat con un artista italiano di cui magari ci sveli pure il nome?

La piu difficile da scrivere è stata forse “Un po’ de fresco” che è un brano molto toccante, uno di quei brani che quando lo ascolto o lo ricanto è un po’ come una mano che ti prende lo stomaco e te lo stringe.

Quella a cui sono piu legato è “Qui va tutto bene” perchè è stata la prima che ho scritto per Il sinfonico e l’improbabile orchestra e mi ricorda molto il periodo in cui abbiamo iniziato a suonare in giro per l’Italia.

Avrei visto bene un duetto con Cisco dei Modena City Ramblers in “Quando muore un fiore”, con Matteo Gabbianelli dei Kutso in “La fuggiasca” e con Nek in “Un salto”.

Lo so me ne avevi chiesta una, ma me ne sono venute fuori tre! E so anche che sono 3 artisti e 3 brani completamente diversi tra loro ma è quello che sento in estrema sincerità!

Simone, siamo alle battute finali. Cosa riserverà il futuro, musicalmente parlando?

Il futuro molto prossimo mi riserva l’uscita di un nuovo videoclip che è già pronto per essere pubblicato, un’estate in giro a suonare questo disco ma sicuramente anche tante nuovi canzoni perchè (e te lo dico come anticipazione) ho già molti brani pronti per realizzare un nuovo disco e spero di rientrare in studio dopo l’estate per inciderlo.

Sandy Sciuto