La musica al tempo del vintage: come funziona un vinile

Nell’era del digitale, mentre vengono ideati supporti sempre più capienti e veloci per la riproduzione della migliore musica di tutti i tempi, il vinile non ha perso il suo fascino. Anzi, a dirla tutta, sembra averlo rispolverato, conquistando giovani e giovanissimi oltre ai vecchi intenditori.
Ma cosa rende il suono del vinile così “unico”, almeno all’apparenza? Paradossalmente è l’irregolarità della superficie, una sorta di disturbo che ha l’insolita capacità di far apparire più calde le tonalità del vinile.

Indossiamo un paio di superocchiali ed addentriamoci nel mistero. L’immagine in basso, prodotta da Applied Science, vi mostra la puntina di un giradischi ingrandita di circa mille volte da un microscopio elettronico.

A vederli così, i solchi non hanno un andamento che definiremmo, comunemente, rettilineo e, pertanto, costringe la puntina ad “ondeggiare” assecondando le asperità e le curvature dell’incisione sul disco in vinile. La vibrazione della puntina è la naturale conseguenza della sua passeggiata, il giradischi non farà altro che tradurre quella vibrazione in suono, non uno qualunque: quello della musica che vi è incisa.

L’incisione su vinile è un processo che conserva molto della tradizione del passato. Si parte da una registrazione, di qualità notevole, su supporto magnetico. Questa, opportunamente amplificata ed equalizzata, guiderà la testina di un fonoincisore, un tornio particolare adibito proprio a questo compito, nella sua opera di incisione su un disco di cera o guttaperca, un tipo di gomma simile a quella naturale. Questa prima copia dell’incisione è ancora ben lontana dall’essere pronta per la stampa!
Attraverso un procedimento elettrolitico, si depositerà su di essa uno strato di nichel che andrà a ricoprire ogni segno presente sul disco costituendo, così, la prima copia in negativo che viene chiamata matrice. Per essere certi che l’incisione sia andata come si deve, dalla matrice in nichel verrà stampata una prima copia in positivo, che quindi potrà essere “suonata”,  in metallo: la madre Essa, identica nell’incisione alla copia master in guttaperca, è destinata a tutti gli effetti ad un controllo di qualità; viene ascoltata ed esaminata per accertarsi che la prima incisione sia andata a buon fine. Se tutto è a posto, si procede al passaggio sucessivo: la matrice viene sottoposta ad un nuovo bagno galvanico allo scopo di ispessirla e, per tanto, renderla adatta a sopportare la pressione del processo di stampa senza subire danni. Solo adesso sarà pronta per la stampa vera e propria del disco il PVC.

E prima del vinile?


Nel 1877 Thomas Edison decise di inventare un dispositivo adatto a registrare e riprodurre musica. Lo battezzò con il nome di fonografo e, in effetti, non si trattava che di un foglio di stagno, arrotolato per creare una struttura di forma cilindrica, sul quale, in precedenza, venivano incisi alcuni solchi guidati dalla vibrazione della voce registrata. La qualità del suono di questo primo apparecchio era a dir poco pessima, ma come primo passo dobbiamo ammettere che la falcata fu decisamente ampia. Inizialmente, il fonografo era concepito come uno strumento di lavoro, più che di svago.

Dieci anni dopo, o poco più, tale Emilie Berliner diede alla luce il primo disco, detto disco grammofonico, ed il dispositivo adatto alla sua riproduzione: il grammofono. Nel giro di qualche decennio, i cilindri fonografici non furono altro che un ricordo e nel 1925 nacque il primo standard in gommalacca del disco: il 78 giri, in grado di compiere per l’appunto 78 giri al minuto.
I dischi in vinile simili a come li conosciamo videro la luce solo nel 1945, con la nascita dei 33 giri, detti anche LP (Long Playing) in grado di riprodurre circa 25 minuti di registrazione per facciata, e dei 45 giri, solo 5 minuti per facciata a vantaggio di un formato più compatto.

Anche ai giorni nostri i dischi in vinile possiedono un vanto non da poco: la capacità singolare di rendere la musica qualcosa di ancora terribilmente durevole e materiale. Ricambiano la cura necessaria al loro mantenimento ed alla riproduzione con una durevolezza senza pari ed una buona dose di romanticismo. Ascoltare ed apprezzare la musica su vinile richiede pazienza, gli appassionati più attenti lasciano spesso trascorrere anche 24 ore tra un ascolto ed il successivo del medesimo supporto e si dedicano con cura alla rimozione di ogni traccia di polvere, per preservare il più a lungo possibile la struttura del supporto e la qualità del suono.

Se siete curiosi di scoprire il mondo del vinile, dunque, dimenticate la fretta e la musica usa e getta dei nostri giorni per esplorare un mondo, forse, a tratti anacronistico, ma denso di fascino.

Silvia D'Amico