Il 5 settembre 2017, è stata divulgata la notizia della morte di una bambina di 4 anni a causa di una malattia che credevamo molto lontana da noi: la malaria. Una notizia certamente drammatica, non solo a causa della tenera età della vittima, ma anche perché riporta il paese ad un doloroso passato non troppo lontano, un passato in cui la malaria era all’ordine del giorno. Mentre sul web infuriano le polemiche sull‘origine del contagio, vediamo insieme di cosa si tratta e cosa realmente deve preoccuparci dell’intera vicenda.
Cos’è la malaria?
Nonostante i sintomi possano far pensare il contrario, la malaria non c’entra nulla con influenze o raffreddori. Si tratta, piuttosto, di una parassitosi. Come il termine suggerisce, non è causata da un virus o da un batterio, bensì da un parassita, per quanto piccolo esso sia. Nel dettaglio, la malaria è causata da alcuni microrganismi, dei protozoi, appartenenti al genere Plasmodium. Sebbene le specie più diffuse in grado di causare la malattia siano quattro, la più letale rimane il Plasmodium falciparum.
I sintomi iniziali più comuni, gli stessi che conducono alla diagnosi, sono spesso febbre alta e ingrossamento di milza e fegato. Nei casi più gravi, a questi si associa una postura alterata, mal di testa, debolezza e manifestazioni comuni come nausea e vomito. Tutti i sintomi sono chiaramente associati al ciclo vitale del parassita che, tuttavia, non è in grado di infestare l’uomo in maniera autonoma, bensì necessita di un “aiuto” da parte di una particolare specie di zanzara, animale già noto in quanto responsabile della trasmissione di numerose altre malattie.
Il ciclo vitale del plasmodio
Il ciclo vitale del plasmodio della malaria è piuttosto complicato. Nella zanzara, in seguito alla puntura di un individuo infetto, il plasmodio migra, nella sua forma di sporozoito, fino ad annidarsi nelle ghiandole salivari. Ciò fa si che l’insetto, al pasto successivo, inietti il plasmodio insieme alla saliva nel corpo della “povera vittima”, infettandola.
In seguito all’infezione, la malaria va incontro ad un periodo di incubazione di lunghezza variabile tra i 9-14 giorni, nelle forme più aggressive, e i 18-40 giorni nei casi meno gravi di infezione. Durante questo periodo, gli schizonti si annidano nelle cellule del fegato e qui iniziano a riprodursi per mitosi, come farebbe un batterio, lasciando la malattia pressoché latente. I veri problemi arrivano subito dopo, durante la fase invasiva. A questo punto,infatti, le cellule del fegato infette si rompono rilasciando i merozoiti, derivanti dalla riproduzione asessuata del plasmodio, che possono raggiungere il circolo sanguigno ed infettare i globuli rossi, o eritrociti. Con l’inizio di questa fase, si presentano i sintomi tipici della malattia, dalla febbre alta alla nausea, dai dolori muscolari all’anemia o al mal di testa.
Col sincronizzarsi della prima parte del ciclo con la seconda, si ha una sorta di cronicizzazione della patologia definita come fase tardiva, caratterizzata da episodi febbrili intermittenti e dal rigonfiamento di fegato e milza, a causa dell’elevata attività del sistema immunitario e della replicazione del protozoo stesso.
Il caso trentino
I risultati dell’autopsia sulla piccola Sofia confermano la sua morte a causa di encefalopatia malarica, una grave quanto rara complicanza della malaria. In questi casi, i globuli rossi infetti vengono, in qualche maniera, intrappolati nel microcircolo cerebrale, il sistema di piccoli vasi sanguigni che alimenta il cervello. A causa dell’infezione, però, le cellule del sangue perdono la propria plasticità, che solitamente consente loro di muoversi anche all’interno di vasi sanguigni estremamente piccoli, e tendono ad aderire tanto agli altri componenti del sangue quanto alle pareti dei vasi. L’immediata conseguenza è la formazione di aggregati che tendono ad ostruire i vasi sanguigni responsabili dell’irrorazione del cervello. Questo spiega l’elevata mortalità di questa forma della malattia.
Il contagio a Trento è, con tutta probabilità, avvenuto all’interno dell’Ospedale in cui, nelle settimane precedenti, Sofia è stata ricoverata insieme a due bambini, di ritorno con la famiglia da un viaggio in Burkina Faso. È possibile che, durante il ricovero, il plasmodio sia stato trasmesso dai giovani pazienti a Sofia, sebbene capire il come non sia la cosa più semplice da fare.
Come già spiegato in precedenza, la malaria è causata da un protozoo, non da un virus o da un batterio. Ne consegue che non solo non può essere curata nel modo in cui si curerebbe un’influenza o un raffreddore, ma anche che non segue le stesse vie di contagio. La malaria non si trasmette per via diretta da uomo a uomo, attraverso il respiro o il contatto. Essa necessita di un vettore o di un’inoculazione di sangue infetto. Per questo motivo, fin dal primo momento le ipotesi più accreditate sull’origine del contagio di Sofia sono state l’errore umano o il ritorno in Italia del vettore malarico per eccellenza: la zanzara Anopheles.
Il ritorno dell’Anopheles
Le Anopheles non rappresenterebbero una specie aliena in Italia. Nei secoli, ma anche nei decenni, passati, erano molto diffuse soprattutto nelle zone paludose del Veneto e della Sardegna. Insieme ad esse, anche la malaria ha rappresentato una piaga del nostro Paese per un lungo periodo ed ha richiesto intensi sforzi per essere sconfitta. Attraverso interventi di disinfestazione e bonifica degli acquitrini, le Anopheles sono via via diminuite fino ad essere state dichiarate estinte nel nostro paese.
Se le zanzare sono progressivamente sparite, non possiamo dire lo stesso delle condizioni ottimali per la sua sopravvivenza. Va da sé che una ripopolazione dell’Italia da parte di quest’insetto non è un’eventualità così remota. Ciò nonostante, attualmente non esiste correlazione tra l’immigrazione ed i casi di malaria in Italia. Non a caso, ogni anno l’Italia cura ben 600 casi di malaria, sebbene si tratti di pazienti che sono stati infettati all’estero o in aereoporto. Non di meno, l’insetto potrebbe essere eventualmente portato in Italia da chiunque di noi sia di ritorno da un viaggio in zone tropicali.
Tuttavia, le trappole disseminate all’interno dell’ospedale in cui è avvenuto il contagio non hanno catturato nessuna zanzara appartenente alla specie citata. La pista dell’errore umano, quindi, sembra la più veritiera, ma anche la più spaventosa. Il contagio potrebbe essere avvenuto mediante un ago pungidito, usato erroneamente sui giovani pazienti malarici che occupavano il reparto con Sofia e sulla stessa Sofia. Una disattenzione gravissima che non dovrebbe mai essere commessa in un ospedale.
La prevenzione contro la malaria in Italia
Quale che sia la ragione del contagio, attualmente non ci sono prove inequivocabili. Nessuna ipotesi è, pertanto, esclusa e ci vorrà del tempo per venirne a capo. Tuttavia, non è difficile notare come nell’ultimo periodo stiano facendo capolino una serie di patologie che hanno afflitto il nostro paese, ma che avevamo dimenticato. Cercare la causa lontano da noi è una reazione comprensibile e certamente immediata. Ciò nonostante, un’analisi più approfondita non può non farci notare come stiamo progressivamente abbassando la guardia. Alla luce dei flussi migratori che stanno rivoluzionando il mondo negli ultimi anni e dell’affacciarsi, anche in Occidente, di malattie ritenute tipicamente tropicali, come malaria e chikungunya, mantenere il controllo delle specie vettore ed un’elevata attenzione del Sistema Sanitario Nazionale sono vie obbligate. Anche questi sono effetti del riscaldamento globale e sono sotto gli occhi di tutti.