“Sono Lucia, ho 24 anni e 2 mesi fa ho avuto un attacco di panico. Da allora ho paura di uscire da casa. Nella mia auto mi sento sicura e vado al lavoro, ma dopo circa 5 ore ho bisogno di tornare nei miei spazi e sentirmi protetta. Al supermercato preferisco non andare; le mie amiche non capiscono perché io non voglia più uscire con loro”
Questa testimonianza spiega alla perfezione come possa sentirsi una persona che soffre di agorafobia. È un termine che sentiamo pronunciare spesso, ma sappiamo davvero di cosa si tratta?
Il termine agorafobia deriva dal greco “αγορά” e “φοβία”, ovvero “paura della piazza”. Gli agorafobici non temono solo gli spazi aperti e la folla, ma temono di sperimentare un attacco di panico in luoghi a loro estranei, da dove è impossibile scappare. Non a caso, spesso l’agorafobia rappresenza un problema che insorge successivamente al presentarsi dei primi attacchi di panico, condizione psicofisica assimilabile ad uno stato di paura intensa associata a sintomi acuti quali palpitazioni, sudorazione, tremore, dolore al petto, nausea, brividi o vampate di calore e derealizzazione, ossia la sensazione che la realtà esterna sia strana ed irreale.
La paura più grande per gli agorafobici è il trovarsi da soli in situazioni e luoghi non abituali, in mezzo alla folla, con la paura di non poter gestire un possibile attacco di panico; per tale motivo cercano di evitare gli spostamenti o di essere accompagnati da persone fidate.
La loro vita, di conseguenza, costantemente e pesantemente è condizionata sia dall’ansia anticipatoria, a causa del timore che si presentino nuovi attacchi di panico, sia dagli evitamenti e dai comportamenti protettivi che mettono in atto per far fronte alla propria condizione. Spesso però, tali atteggiamenti non sono risolutivi, al contrario non fanno altro che peggiorare la situazione.
Il DSM-5 (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) classifica l’agorafobia tra i disturbi d’ansia. I criteri diagnostici per il disturbo includono una paura intensa in due o più delle seguenti situazioni:
- utilizzo dei mezzi pubblici
- trovarsi in spazi aperti e affollati
- trovarsi in spazi limitati e affollati
- essere soli, lontani da casa
Sono elencati, poi, altri criteri secondari tra cui la tendenza ad evitare le situazioni temute ed una compromissione della vita socio-lavorativa.
Come è possibile intervenire per aiutare il paziente a fronteggiare una condizione che, è abbastanza chiaro, può diventare gravemente invalidante?
La terapia cognitivo-comportamentale sembra essere il migliore trattamento per l’agorafobia; prevede che il paziente e il terapeuta si impegnino attivamente nella comprensione del problema con l’obiettivo di modificare il comportamento e le credenze disadattive del paziente. Quest’ultimo prende pian piano consapevolezza dei suoi schemi disfunzionali ed impara a liberarsene mediante comportamenti più funzionali: imparerà a sostituire i dialoghi interni autodistruttivi (avrò un attacco di panico in metro) con auto-istruzioni positive (sarò in grado di gestire la situazione).
Nei casi in cui sia necessario, è possibile ricorrere alla terapia farmacologica, che prevede l’uso di medicinali che producono un effetto ansiolitico immediato, ma che con il tempo possono dare problemi di dipendenza e sintomi di astinenza che ne sconsigliano l’impiego prolungato. Mentre gli psicofarmaci sono indicati per un trattamento a breve termine, quindi, la psicoterapia risulta fondamentale nella cura dell’agorafobia, poiché il terapeuta aiuta il paziente a gestire l’ansia educandolo al pensiero positivo.
Più che una fobia vera e propria, l’agorafobia sembra quasi paura della paura stessa. Se affrontata nel modo corretto, tuttavia, rappresenta una condizione facilmente risolvibile. Affrontare se stessi con l’aiuto dello psicoterapeuta è di certo la via per ricominciare a vivere.