“L’altra città”: a Taranto il carcere diventa un’opera d’arte

Non è una novità che l’arte entri nelle carceri, oltre le sbarre e oltre le celle. Non è una novità che l’arte si unisca al sociale e venga utilizzata come strumento rieducativo e di reinserimento per il detenuto. Non è una novità assistere a laboratori di scrittura, corsi di storia dell’arte e interventi artistici vari anche all’interno di centro di detenzione. Queste sono cose che, ormai, fanno parte della normalità, ma quando il carcere diventa esso stesso un museo, è allora che lo stupore è assicurato.

Si tratta di una novità assoluta, nel panorama delle iniziative culturali e formative realizzate all’interno delle case di reclusione in Italia, quella che si è vista a Taranto, con la trasformazione del carcere stesso in un’opera d’arte, grazie all’apporto di quanti vivono in prima persona la reclusione, a coloro che vi operano e agli stessi visitatori. Si chiama L’altra città. Un percorso partecipativo e interattivo nella realtà carceraria italiana” ed è l’evento in programma dall’8 maggio al 5 giugno nella casa circondariale Carmelo Magli di Taranto con l’obiettivo di presentare l’esperienza detentiva, con tutte le sue criticità e contraddizioni, al visitatore, il quale può capire cosa si prova a stare dietro le sbarre.

Attraverso un percorso plurisensoriale diviso in tappe, si avrà la possibilità di percepire ciò che sono i luoghi della pena e le difficoltà che si incontrano nel percorso detentivo. All’ingresso, infatti, come ogni carcere che si rispetti, il visitatore dovrà fare una foto segnaletica e lasciare le proprie impronte digitali; poi si procederà alla scoperta del carcere attraverso le installazioni delle detenute e si proverà l’esperienza dell’isolamento, chiusi in una cella.

Si tratta di un progetto artistico molto articolato, ideato alcuni mesi e curato dal critico d’arte Achille Bonito Oliva in collaborazione con il comandante della polizia penitenziaria del carcere Giovanni Lamarca, col supporto teorico di Roberto Lacarbonara e Anna Paola Lacatena, l’allestimento di Giovanni Guarino e la partecipazione di alcuni agenti penitenziari. Nulla sarebbe stato possibile senza l’impegno di una ventina di detenute, le quali hanno dato forma all’iniziativa, attraverso laboratori di arte e scrittura creativa tenuti dall’artista e docente Giulio De Mitri.

Come in un gioco di ruolo, quindi, i visitatori si trasformeranno in detenuti e vivranno, se pur per un attimo, l’esperienza traumatica della detenzione. Il Dalai Lama ha detto: “Siamo tutti potenziali malfattori, e nel profondo dell’animo quelli che mettiamo in prigione non sono più cattivi di chiunque di noi. Hanno ceduto all’ignoranza, al desiderio, alla collera, malattie da cui anche noi siamo affetti, per quanto in misura diversa. Il nostro dovere è di aiutarli a guarire.”

Catiuscia Polzella