20 anni senza Vittorio: eco ancora rimbombante

“Gassman,… è quello col quale sono più legato… Non magari come attore ma come qualità umana, come spessore, come intelligenza”.

Vittorio Gassman
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Queste parole le riportò in un’intervista Dino Risi, regista cardine del cinema italiano protagonista di un lungo e fiorente sodalizio con Vittorio Gassman, uno dei migliori interpreti che abbiamo avuto e che ha rivoluzionato sia il teatro che il cinema nazionale.

Vittorio Gassman
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Dai teatrini organizzati in casa da giovane, facendo emergere immediatamente che la recitazione per lui era “dopo l’amore, il mezzo più diretto di comunicare col prossimo”, all’iscrizione nel 1941 alla Regia Accademia d’Arte Drammatica: così Vittorio riusciva ad esorcizzare una timidezza che s’è portato dietro per tutta la vita, ben mascherata dal suo istrionismo che gli fece vestire i panni, tra i tanti, di Amleto ed Otello.

Al successo cinematografico approdò tardi, pur avendo debuttato dietro la macchina da presa (da lui inizialmente detestata) nel 1946 diretto da Paolucci in “Preludio d’amore”: il cinema lo annoiava.

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Tuttavia, popolarità e grande occasione nella settima arte gliele diede in due casi sempre Mario Monicelli, uno dei maggiori registi del nostro cinema e rispettivamente ne “I soliti ignoti” (1958) e ne “La grande guerra” (1959). Pugile dal naso un po’ deforme nel primo dei due film, per questo ruolo serio ma comico Gassman venne molto criticato, e così anche il regista.

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Intanto, fu da quel momento che la sua carriera, pur non arrestandosi mai completamente sulle tavole del palcoscenico, attraversò una parabola ascendente che lo consacrò icona del “boom” al cinema col capolavoro risiano de “Il sorpasso” a inizio anni Sessanta e uno dei “mostri sacri” della commedia all’italiana.

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Sempre solenne, espressivo e dotato di immensa cultura, costituendo da questo punto di vista un caso quasi isolato di “intellettuale” in pellicole “leggere”, Vittorio non si può non ricordarlo per un ruolo perfettamente bilanciato tra il comico e il drammatico in una pellicola di Dino Risi del 1974: “Profumo di donna”, da cui deriva il remake successivo omonimo e americano con Al Pacino.

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Gassman ha reso come pochi sullo schermo nell’ambito del cinema italiano relativo alla commedia il ruolo di un non vedente, e se pensiamo solo per un attimo al macchiettismo di Ezio Greggio in “Infelici e contenti” degli anni Novanta, cogliamo subito la notevole differenza tra il primo che era un maestro e il secondo solo un semplice interprete.

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A vent’anni di distanza si resta ancora a bocca aperta quando si vedono film mai invecchiati anche grazie a lui, come i due scolani “C’eravamo tanto amati” (1974) e “La famiglia” (1987), ma allo stesso tempo ci si sorprende di come, attraverso un’impostazione accademica della recitazione che poi ha saputo trovare la propria cifra originalissima, tanto è stata forte l’impronta che ha lasciato quanto nessun interprete italiano di oggi sia stato davvero bravo a coglierla.

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Eppure, escludendo il figlio Alessandro che fa benissimo a crearsi i suoi dignitosi spazi senza mai imitarlo (abbastanza unico in questo tra i figli d’arte), non è da escludere che qualche abile esponente del nostro cinema non faccia tesoro di quello che ormai, oggi esattamente a vent’anni dalla morte, mi viene da definire “metodo gassmaniano della recitazione”.

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D’altra parte, “Non che Gassman sia pazzo, ma può dare una certa grandezza alla pazzia”.

E, sulla base di queste parole pronunciate da Dino Risi, su uno così cosa volete aggiungere o togliere maggiormente?

Guardatevi i suoi film e i suoi spettacoli in rete, e buona visione!

Christian Liguori