Valerie – Diario di Una Ninfomane: tanto intrigante quanto censurato

Valerie – Diario di Una Ninfomane (2008) di Christian Molina
Il Diario e l’argomento in questione non possono che far rammentare uno dei film più irritanti della storia del cinema italiana come Melissa P. Se poi ci si aggiunge il fatto che entrambe le protagoniste erano aizzate da una nonna modernista e libertina che aiuta le proprie nipoti a vivere liberamente la propria sessualità allora il paragone ne risulta ancor più evidente.

Ma questo film è molto più famoso per la notizia della censura  della sua locandina considerata scandalosa che ritraeva la protagonista che osava scender la propria mano dentro le mutandine. Christian Molina prova a portare sullo schermo la storia di Valèrie Tasso ( Belèn Fabra), tratta dalla sua stessa autobiografia che è stata un vero best seller. L’intento sarebbe quello di inserire il romanticismo e la  passionalità all’ interno di una deviazione sessuale come la ninfomania che viene tristemente “liquidata” in poche parole dalla saggia nonna (una incartapecorita Geraldine Chaplin) come un’ invenzione degli uomini. Ma per una abbondante prima ora Molina riesce solamente a intervallare scene della protagonista supina sul letto con innumerevoli uomini che usa come soddisfacimento delle sue pulsioni e che non fanno assolutamente una bella figura. E tra questi è compreso anche colui che le dovrebbe far scoprire il cosiddetto vero amore: Jaime, un ricco spagnolo munito di Jaguar, che così dal nulla si tramuta come per magia in un solo cambio di scena da un uomo romantico e affettuoso (e che inoltre non fa mancar nulla alla propria donna, regalandole addirittura una convivenza in una casa lussuosa sul mare) a un barbaro e ossessivo picchiatore e urlatore. Tutto questo con il solo scopo di far affogare le illusioni d’amore della pseudo-perversa Valerie in lacrime fino a quel fastidioso (per me spettatore)  sguardo in telecamera della sua masturbazione. Un’inquadratura che se da sceneggiatura avrebbe il senso di segnare la rinascita delle sue pulsioni ninfomani e il ritorno alle vecchie “abitudini” sessuali, fatta in quel modo così sfrontato quasi a cercare un contatto e una complicità con lo spettatore diventa estremamente invasiva quanto fastidiosa. E dopo questo fondo indecorosamente toccato ci si aspetterebbe un miglioramento, che in parte c’è. Perchè la sua “evasione-sfogo” in una casa di prostitute per dar sfogo alla sua solitudine attraverso la sua unica passione (il sesso per chi ancora non lo avesse capito) potenzialmente apporta uno stravolgimento al plot melodrammatico fino ad allora espresso. Ma purtroppo anche questo sfruttato male perchè finisce inevitabilmente a ricadere sullo smielato e triste quando lei cede ancora, innamorandosi di uno dei clienti della  “casa aperta”.

Peccato per un’occasione mal sfruttata ma che potenzialmente avrebbe potuto avere parecchi spunti interessanti e rammarico va anche espresso per l’utilizzo sprecato della fotografia, molto ben efficace, ma che finisce solamente per essere un estetismo fine a se stesso. Un film che vorrebbe dire che anche le donne hanno i loro istinti , le loro perversioni, come gli uomini. Ma finisce solamente per far vedere che gli uomini hanno solo una necessità di possedere le donne che impotenti, anche se passionali, inevitabilmente cadono vittime del loro stesso amore. Anche se alla fine scelgono la strada di essere se stesse e seguire le loro perversioni in barba a tutto il resto.

redazione