The Laundromant: su Netflix la satira da paradiso fiscale

E’ indubbio che coi tempi che corrono i film e le serie tv siano delle valide alternative per distrarsi, intrattenersi e usufruire piacevolmente dello stare a casa. Alcuni possono anche farci imparare qualcosa che non sapevamo, rendendocelo noto o farci approfondire aspetti che fino a quel momento ignoravamo su vicende realmente accadute.

E’ il caso di The Laundromant di Steven Soderbergh, regista sperimentatore, di comprovato talento (Ocean’s Eleven, più recentemente La truffa dei Logan, Unsane girato interamente con un iphone)  che nel suo ultimo film, per Netflix, ci intrattiene e ci illustra con toni sarcastici la vicenda americana dei cosiddetti Panama Papers: si tratta dei fascicoli riservati redatti da un celebre studio legale, il  Mossack Fonseca, fornitore di servizi finanziari fondato nel 1977 dal tedesco Jürgen Mossack e dal panamense Ramón Fonseca, rispettivamente interpretati da Gary Oldman e Antonio Banderas.

Sono proprio questi due ricconi e furbastri avvocati, vestiti con abiti sgargianti e luccicanti a interloquire direttamente con lo spettatore per raccontare in cosa consistano i loro affari. Da narratori onniscienti, quasi fossero presentatori di uno show, lo show del denaro, del suo linguaggio e del suo potere, cercano (invano e ciò è voluto ironicamente dal regista) di convincere lo spettatore della bontà dei loro propositi spacciandosi per mediatori finanziari che agevolano il proliferare e il libero circolare delle enormi ricchezze dei miliardari loro clienti, tutto in modo necessario perché ” è così che va il mondo”…

Diviso in ironici e sagaci capitoli The Laundromant  svela con sarcasmo le “magiche” truffe che fanno tutte capolino allo studio Mossack Fonseca: truffe che causano danni profondi e irreparabili. Ne è un esempio la creazione di inesistenti società di Assicurazioni che giunto il momento del risarcimento si dileguano nel nulla dimostrando la loro inconsistenza e lasciano sul lastrico chi su di esse avesse fatto affidamento, assicurandosi contro gravi eventi, come ad esempio un disastro in mare con decine e decine di morti.

Con costruzioni narrative sopra le righe, che indubbiamente sono vicine al registro dei film di Adam McKay (si vedano Vice e La Grande scommessa) The Laundromant svela passo passo come lo studio Mossack Fonseca abbia assistito i propri clienti nel costituire società offshore, fondi, società controllate da altre società che potessero facilmente migrare da un luogo all’altro del pianeta, non essendo altro che  “gusci vuoti“, con altisonanti denominazioni senza sostanza, dietro i quali i ricconi potevano mettere al riparo i loro risparmi per evitare di essere “delapidati” dalla tassazione. Paradisi fiscali “trasportabili” (in alcuni casi con azioni al portatore) che una volta scoperti potevano essere facilmente trasferiti da tutt’altra parte. “Porte che danno su case apparentemente vuote, le cui finestre si affacciano in realtà su altre case, situate in tutta altra parte del mondo”.

I Panema Papers non sono altro che gli immensi archivi e fascicoli della Mossack Fonseca, la quale vendeva essenzialmente privacy ai propri clienti, concedendo a tutti di creare società fittizie, dietro compenso, e garantendo l’inaccessibilità di altri ai reali contenuti e soprattutto alle reali identità celate dietro queste società fittizie, spesso utilizzate per coprire affari legati alla criminalità e ai traffici illeciti.

Ma se The Laundromant adotta il racconto dei due burloni truffaldini,  avidi e sentenziosi Mossack e Fonseca, (gli spassosi Oldman e Banderas), i quali confessano tutte le loro bricconate con eccentrico compiacimento, al punto da risultare palesemente ridicoli agli occhi dello spettatore, allo stesso tempo, il film ci narra di alcuni dei miliardari coinvolti nella realizzazione delle società. E’ tramite questi personaggi dalla moralità più che dubbia, che Soderbegh ci descrive la tipologia di persone imbarcate in questi affari: da un miliardario africano che farebbe qualsiasi cosa per comprare il silenzio della sua famiglia su uno scandalo da lui stesso provocato, a un politico cinese coinvolto in scambi illeciti di case e proprietà.

Giri di soldi protetti in teche sicure, lavanderie self service (il significato del titolo) in cui sciacquare i propri panni sporchi; ma il film di Soderbegh ci racconta anche l’epilogo di queste vicende col divertente paradosso che Mossak e Fonseca vengono colpiti proprio nella privacy, prodotto che essi vendono agli altri, con la pubblicazione giornalistica dei loro Panama Papers, un resoconto di tutti i loro “pasticci” con le società.

Allo stesso tempo però il film fa riflettere su come il sistema delle società -specchietto per le allodole sia ancora vivo in America e rimanga in realtà impunito, garantendo ai ricchi di far proliferare illecitamente le proprie ricchezze a scapito dei più poveri.

Sorretto da ottimi interpreti tra cui anche Meryl Streep, il film di Soderbergh, che ricorda lo stile di The Informant dello stesso regista, è un divertessment di denuncia, che usa la didascalia con toni ironici, volendo denunciare l’inarrestabile sistema dei gusci vuoti da miliardi e miliardi di dollari.

Francesco Bellia