La ricerca della sede di quella che, comunemente, chiamiamo coscienza rappresenta ancora oggi una delle più grandi sfide delle scienze cognitive. Il progresso scientifico ha descritto sempre con maggior accuratesso il funzionamento del cervello, le sue strutture fondamentali, molti dei sistemi di comunicazione tra i neuroni. Tuttavia, pur riconoscendo che lo stato di coscienza è strettamente dipendente dal cervello, non siamo in grado di indagarne i meccanismi fino in fondo. A cosa si deve tutto questo mistero? Scopriamolo insieme.
Una breve ricerca sul dizionario, ci restituisce questa semplice definizione:
“La facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino”.
Una proprietà straordinaria, dunque, che ci consente di collocare noi stessi all’interno di un contesto complesso, come la società, ma anche nel tempo e nello spazio. Pensando a ciò, non è difficile immaginare che una funzione così articolata non possa essere semplicemente il prodotto dell’attività di una o di un gruppo di cellule. Ci troviamo dinanzi, infatti, a quella che potremmo definire una proprietà emergente del cervello, l’insieme dei nostri neuroni è in grado di collaborare alla costruzione di qualcosa di talmente complesso da non poter essere spiegato semplicemente guardando alla funzione della singola cellula, come appunto la coscienza.
Numerosi studiosi, scienziati e non, hanno tentato invano di dipanare l’intricata matassa, partorendo un gran numero di ipotesi complesse e indimostrate. Tra tutte, una in particolare rappresenta la più accettata e, possibilmente, la più verosimile: la teoria dell’integrazione dell’informazione. Come suggerisce il nome stesso, essa riconduce lo stato di coscienza alla capacità di integrare un gran numero di informazioni. In effetti, se ci si ferma a pensare, ciò che ci rende veramente coscienti è la nostra capacità, dinanzi ad un evento, non solo di comprendere esattamente cosa sta accadendo, ma di confrontarlo con le nostre esperienze passate, dirette o indirette, tanto da riuscire ad immaginare cosa accadrà nel futuro più o meno immediato. Un po’ come se, istante per istante, il nostro cervello scartabellasse ad una velocità impressionante all’interno dei nostri archivi cerebrali, esaminasse suoni, colori, odori, ricordi passati e traesse conclusioni confrontandoli con gli stimoli a cui siamo sottoposti nel presente. Un racconto del genere sembra suggerire una gran confusione, eppure si tratta di un processo altamente ordinato ed efficiente: istante per istante il nostro cervello integra informazioni e questo ci rende coscienti.
Se pensiamo al nostro cervello, tuttavia, difficilmente siamo in grado di individuare una struttura così gerarchicamente superiore da poter integrare il lavoro di tutte le altre. Ci appare, piuttosto, come un groviglio di neuroni, tutti ugualmente importanti e votati al proprio dovere. Recentemente, però, Christof Koch, presidente dell’Allen Institute for Brain Science di Seattle, ha avanzato una nuova ipotesi che, se verificata, potrebbe realmente cambiare le carte in tavola: l’esistenza di tre neuroni “giganti”, in grado di avvolgere il cervello, attraversandone le regioni, e possibilmente integrandone le funzioni. Un’idea originale, ma non del tutto fantasiosa, in quanto frutto delle osservazioni fatte dal suo gruppo di ricerca, intento, in realtà, a mettere a punto una nuova tecnica per lo studio del cervello nel topo.
Il prodotto delle loro ricerche è qui, alla vostra sinistra. Ha consentito di ricostruire per intero, in digitale, il percorso disegnato da ciascun neurone attraverso gli assoni, i prolungamenti che gli consentono di comunicare con il resto del corpo, altri neuroni compresi. È venuto fuori che tre di essi, incredibilmente grandi per essere situati nel cervello, sono in grado di avvolgere il resto della struttura, uno un particolare ne percorre per intero la circonferenza entrando in contatto con le varie regioni funzionali.
Sebbene non si tratti in alcun modo di una spiegazione oggettiva del funzionamento della coscienza, questa osservazione è bastata a far partorire alla mente di Koch l’interessante ipotesi che proprio questi tre neuroni siano responsabili dell’integrazione alla base del concetto di coscienza. Se il cervello nel suo insieme è in grado di registrare informazioni, e di modificare la propria struttura per adattarsi agli stimoli esterni, questi tre superneuroni potrebbero contribuire a tirare le somme, facendo la differenza tra coscienza ed incoscienza.
Al momento, non ci sono dati sperimentali che, in qualche modo, avvalorino l’ipotesi, tuttavia, questo non la rende meno interessante. Di certo, al di là dei risvolti che in futuro potrebbero essere svelati, gli studi di Koch hanno un merito: averci dato una nuova tecnica in grado di seguire per intero il percorso di un neurone e di mostrarci la sua strada.