Nato circa un anno fa per dare una risposta concreta al dilaniante incremento dei casi di violenza di genere, Chayn Italia mira a rappresentare un supporto nonché punto di riferimento per migliaia di donne che ogni giorno sono costrette ad affrontare situazioni di maltrattamenti e soprusi. Spesso e volentieri, soprattutto in Italia, le donne sono costrette a dover fare i conti con pericolosi vuoti di tutela soprattutto a livello informativo e nell’universo della rete, ormai punto di raccordo per eccellenza. L’obiettivo di Chayn consiste proprio nel riempire questo vuoto con una piattaforma open source, fornendo servizi e contatti utili a portata di clic e a tal proposito abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere con il team di Chayn Italia ed Elena Silvestrini, coordinatrice del progetto, per farci raccontare qualcosa in più sulla loro iniziativa.
Dove e quando è nata l’idea per la creazione di un portale tutto italiano come strumento per combattere la violenza di genere?
L’idea di Chayn Italia nasce nel 2015 a Londra, quando Elena Silvestrini incontra Hera Hussain, fondatrice di Chayn Pakistan e ideatrice di questo progetto che ormai conta numerose volontarie in tutto il mondo. Dato il forte interesse personale e professionale di Elena per iniziative femministe e la sua crescente attenzione per progetti di tecnologia con finalità sociali, il modello Chayn le sembrò subito potente, innovativo e soprattutto necessario anche in Italia dove le donne che vivono relazioni violente spesso incontrano un vuoto informativo che non aiuta a metterle in contatto con centri di supporto. Nel corso di un anno, più di 50 volontarie sono entrate a far parte del team. La maggior parte di queste vivono in Italia ma molte sono emigrate all’estero e, grazie a Chayn, possono contribuire al cambiamento positivo delle questioni di genere nel nostro paese.
Chi fa parte di questo progetto?
Creare un progetto così ambizioso è stato possibile solamente grazie alla determinazione, alle capacità e alle competenze di un team di oltre 50 volontarie. Chiave è anche la collaborazione con centri anti-violenza sul territorio italiano, a cui si aggiunge il supporto internazionale che ci arriva da Chayn HQ, Pakistan e India. La nostra età media è 30 anni. Il progetto è quindi il punto di incontro di una generazione di donne che hanno deciso di collaborare al cambiamento sociale delle questioni di genere in Italia, ovunque si trovino e con tutte le risorse che hanno a disposizione.
Chayn è stato lanciato precedentemente in India, Pakistan e Gran Bretagna. Come si inserisce Chayn Italia nel panorama internazionale?
Chayn Italia è uno dei “capitoli” di Chayn nel mondo, che collaborano strettamente fra loro. Siamo in stretto coordinamento, infatti, con la piattaforma madre “Chayn HQ” e con gli altri progetti in India e Pakistan. Quando abbiamo deciso di fondare Chayn per l’Italia, sapevamo che ci sarebbe stato un grande lavoro di adattamento al nostro contesto socio-culturale. Per quanto molti aspetti della violenza domestica siano costanti, altri necessitano di risposte e prevenzione specifica. Inoltre, sebbene in Italia esista un’ottima rete diffusa di Centri Anti Violenza, i tagli costanti alle loro risorse e le poche risposte a livello istituzionale costituiscono un ostacolo molto forte nell’affrontare la violenza di genere. Un adattamento specifico per ogni paese è necessario quanto la confluenza di esperienze e conoscenze provenienti dai Paesi in cui le nostre volontarie vivono.
La violenza di genere deriva e dipende molto dai ruoli imposti dal contesto socio-culturale. Quali differenze intercorrono da questo punto di vista tra i vari Paesi in cui il portale è attivo?
La violenza di genere è un fenomeno globale che come giustamente dici assume forme diverse. Visto che come Chayn ci adattiamo al contesto in cui operiamo offriamo contenuti che siano il più possibile rilevanti. Una cosa che tutti i ‘capitoli’ di Chayn hanno in comune sono contenuti che aiutino a riconoscere cos’è la violenza, come si manifesta e quali sono i diritti di una donna alla propria salvaguardia. Per quanto riguarda il contesto di India e Pakistan ci sono informazioni riguardo a pratiche culturali specifiche come i matrimoni forzati in minore età e le varie leggi sul divorzio a seconda che si sia hindu o musulmane. In Italia riconoscere la violenza rimane una questione critica, come anche capire che opzioni si fanno nel momento in cui si voglia lasciare un partner violento. Questa è la sezione ‘Che Cosa Posso Fare’, che abbiamo lanciato recentemente. Per tutti i contesti la violenza online, come il cyber stalking, sta emergendo come un problema critico. Per questo Chayn ha redatto una guida fai da te alla sicurezza digitale, disponibile in 8 lingue.
Attraverso uno sguardo rivolto agli strumenti attualmente a disposizione per arginare il fenomeno in questione pensate possano considerarsi sufficienti? Cosa potrebbe essere modificato o migliorato?
Possiamo affermare che finalmente qualcosa si sta effettivamente muovendo nella costruzione di strumenti volti a contrastare la violenza di genere, ma molto c’è ancora da fare. Sicuramente se parliamo del contesto italiano, gli aspetti su cui concentrarsi per un progressivo e imponente cambiamento sono principalmente tre.
- Cambiare la narrazione mediatica della violenza. È fondamentale contribuire ad una nuova narrazione del fenomeno della violenza domestica che viene generalmente raccontata dai media italiani con sensazionalismo e superficialità. Rappresentare la violenza di genere come motivata da raptus di gelosia o follia, difficoltà economiche, abuso di alcol o droghe, piuttosto che come fenomeno radicato nel tessuto sociale, è molto dannoso. La rappresentazione dell’uomo violento come un “mostro” fa sì che la violenza venga percepita come un fatto isolato e lontano dalla nostra vita quotidiana, facendo risaltare esclusivamente le responsabilità individuali senza inquadrare il fenomeno nel suo insieme.
- Creare un piano nazionale che grazie a fondi pubblici finanzi a dovere i centri anti-violenza che erano presenti e quelli che sono tutt’ora attivi, ma costretti ad agire con difficoltà sostanziali nel sostegno a favore delle donne.
- Permettere a figure professionali formate dai centri anti-violenza di entrare nelle scuole per inserire finalmente anche nel nostro programma educativo, come da anni avviene in Germania e in altri Paesi del nord Europa, un’educazione che si occupi di tematiche come: violenza di genere, educazione sessuale, pratiche contro la discriminazione per orientamento sessuale, etnia e religione.
Quanto pensate possa incidere a tal proposito la comunicazione? Un racconto a volte frettoloso e superficiale dei media credi possa spingersi tanto da estremizzarne alcuni aspetti?
Il potere e l’influenza che i media hanno oggi sulla nostra società è indiscutibile. Con assoluta certezza riteniamo che la gran parte del giornalismo attuale e tutto ciò che lo circonda (tv e social media) stiano navigando contro la nostra corrente e contro quella di tutti coloro che lavorano per distruggere i ruoli di genere imposti dalla società che definiscono cosa deve voler dire essere “donna” e essere “uomo”.
Quale rapporto potrebbe instaurarsi tra strumenti provenienti dal mondo dell’Internet rispetto a tipologie di supporto più concrete e tangibili per contrastare il problema della violenza di genere?
Crediamo che sia la diffusione di informazioni chiare e pratiche attraverso internet possa fungere da complemento all’assistenza e al supporto fornito dai CAV e altri servizi. I CAV ad esempio, nati dal movimento delle donne, sono depositari di conoscenza e pratiche che hanno aiutato migliaia di donne a uscire da relazioni violente. Spesso questa conoscenza rimane però limitata a poche persone. Crediamo che la filosofia open source possa aiutare a diffondere queste conoscenza in maniera più ampia facendole arrivare non solo alle donne che ne hanno bisogno, ma anche facilitando scambi tra CAV che hanno specialità e campi di interesse diversi. Un altro aspetto che ci interessa riguarda la fruibilità di queste informazioni e soprattutto di informazioni salvavita come quelle sui servizi disponibili sul territorio in caso di emergenza. Un nostro sogno nel cassetto e quello di sviluppare un’app che possa offrire alle donne che ne hanno bisogno informazioni immediate sui servizi che possono trovare nelle immediate vicinanze, come raggiungerli eccetera. Al momento in Italia non esiste un modo facile, veloce e in continuo aggiornamento per consultare queste informazioni.
Ad un anno esatto dalla nascita del portale italiano quali progetti sono stati portati a termine? Se invece doveste proiettarvi verso il futuro quali obiettivi vorreste raggiungere?
Innanzitutto il portale stesso! I nostri contenuti sono stati elaborati con input diversi, soprattutto con l’esperienza insostituibile delle operatrici dello sportello “Una stanza tutta per sé” di Roma e hanno quindi richiesto molte stesure e adattamenti. Siamo in particolare molto felici di aver recentemente lanciato la sezione “Che Cosa Posso Fare” e la versione italiana della guida fai da te alla sicurezza digitale. Un altro progetto di cui siamo fiere è il MOOC (Corso online gratuito) sulla violenza di genere lanciato sulla piattaforma EMMA in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli a Novembre 2016. Il corso ora è terminato ma i contenuti saranno nuovamente disponibili a breve sul nostro sito. Per quanto riguarda il futuro vogliamo continuare a collaborare con i media e soprattutto con giornaliste e giornalisti per cercare di cambiare il modo in cui si parla di violenza sulle donne, incluso il femminicidio. Stiamo sviluppando contatti per creare una sezione che fornisca risorse e strumenti a donne e ragazze trans. Infine, stiamo anche pensando a un secondo corso online e continuiamo con il nostro proposito di voler mappare i servizi esistenti sul territorio italiano.
Per le immagini presenti nell’articolo si rimanda al sito ufficiale del progetto chaynitalia.org.