Intervista a Peter White: “Vi presento il mio Primo appuntamento”

Dopo i successi ottenuti con i primi singoli, Narghilè, Lollipop e Birre Chiare, che hanno superato rispettivamente i 2,8 milioni ed il milione di ascolti su Spotify, Peter White ha deciso di pubblicare “Primo appuntamento”, il suo primo album prodotto da Niagara.

Peter White è romano, ha ventitrè anni, è studente di Architettura ed ha tutte le carte in regola per essere una straordinaria novità della scena indie rap italiana.

In “Primo appuntamento” ci sono pensieri, azioni e descrizioni di vita quotidiana di Peter White: ci sono sentimenti misti, le persone che da sempre credono nel progetto e quelle che sempre hanno spinto per continuare questo percorso. I brani sentono molto della scrittura e della giovane età di Peter White che si dimena e prova a districarsi tra le relazioni e le necessità delle emozioni.

Coinvolti e piacevolmente colpiti dal suo primo progetto discografico, abbiamo scambiato due chiacchiere con Peter White che si è raccontato tra felicità per la sua musica e progetti per il futuro.

Classe ’96, romano, studente di Architettura e cantante. Per descrivere Peter White, c’è qualcos’altro che merita di essere raccontato?

È sempre difficile categorizzare una persona dando cinque elementi importanti per descriverla. Una persona sta nelle sfumature. Al momento sto in part time con l’Architettura perché mi sto concentrando sulla musica. Cerco di fare qualche esame perché è una passione che non voglio abbandonare.

 

Ti sei fatto notare da subito con Narghilè, Lollipop e Birre Chiare. Ad Aprile è uscito il tuo primo album dal titolo “Primo appuntamento”. Com’è nato? Quali sono i suoi punti di forza e quali secondo te i suoi talloni di Achille?

Prima di pubblicare “Primo appuntamento”, la musica era un hobby. Poi ho avuto riscontri positivi, non solo in termini di visualizzazioni, ma anche di gente entusiasta per la mia musica e che chiedeva concerti. Lì capisci che sta succedendo qualcosa. Il mio primo album è nato dalla voglia di darmi un vero “primo appuntamento” col pubblico e quindi di prendermi anche più sul serio. Con il produttore Niagara siamo stati più di un anno a lavorare al disco in studio. All’interno di questo progetto ci sono tante persone perché è bello avere pure freschezza mentre si lavora. Sono davvero soddisfatto di come è uscito fuori perché non è facile darsi dei ritmi soprattutto quando si è indipendenti, ma ci siamo riusciti. Il tallone d’Achille di “Primo appuntamento” è sicuramente questa lotta contro la burocrazia che non conoscevamo troppo bene e i meccanismi di questa macchina.

L’album è impreziosito da illustrazioni e dalla copertina realizzata da te. Come hai scoperto questo talento? Perché questa copertina?

Qua c’è da precisare. Io faccio disegni. Disegno da sempre donne che sono un elemento caratteristico di tutte le mie cover. Invece, insieme a un mio caro amico, Giacomo De Franchis – fotografo molto bravo – abbiamo avuto l’idea di scattare foto e di fare illustrazioni personalizzate su ogni canzone. Abbiamo realizzato nove cover in tre giorni ed è venuto un lavoro molto bello. La copertina è opera mia e abbiamo deciso di mantenere questo stile.

Come nasce una tua canzone? Da dove trai ispirazione? Quali sono i tuoi riferimenti musicali e letterari?

Non si può dire effettivamente quando arriva l’ispirazione. Per esempio, a me è venuta quando stavo in macchina da solo dalla Calabria fino a Roma e canticchiavo ciò che poi è diventato il ritornello di “Saint Tropez”. Sono uno che scrive molto velocemente anche se poi il lavoro di cernita sulle basi è molto lungo. Quasi sempre parto da un elemento musicale perché amo stare in studio e partecipare. I miei riferimenti musicali sono De Gregori ma anche Dalla, Battiato, Battisti, Guccini e De Andrè ossia il cantautorato italiano. Tra i riferimenti letterari invece, ci sono Pennac, Benni, Ammaniti, Vargas. Mi piacciono pure molto le poesie. Mi piace Prevert, Hikmet, Bukowski.

La musica italiana è stata invasa dall’indie rap della scena romana di cui fai parte. Penso a Gazzelle, Franco126 e Carl Brave. È una casualità  o è Roma che ispira i giovani talenti?

In generale non mi piacciono le etichette, però Roma è importante per me. È una città molto varia. Ha questa bellezza indiscutibile rovinata però dal traffico e da altre realtà. È la città eterna che ti lascia quella malinconia da fine estate. Ci sono artisti che ne fanno un emblema. Io ne traggo spunto però non è un mio caposaldo nell’approccio alla scrittura o alla musica.

Cosa pensi dello stato di salute attuale della musica italiana? Cosa cambieresti? C’è qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare?

È un discorso da collegare ai social perché è una sorta di lama a doppio taglio. Grazie ai social, la musica può avere più visibilità, però è anche vero che è venuto meno anche quel gusto un po’ retrò di comprare il cd o di cantare ai concerti. C’è ancora questa cosa, ma si è un po’ persa. Ciò ha portato a non fare più questa distinzione tra chi vuole vivere la musica come lavoro e chi come hobby. L’uso dei social con la musica, però, è anche vero che dà modo di far musica a tutti.

Se dobbiamo sognare, mi piacerebbe collaborare con De Gregori o il cantante degli Arctic Monkeys. Mi piacciono molto anche Calcutta e Mecna. Noto pure che c’è anche molta scena interessante.

Quali sono i progetti futuri?

Vale il detto “partita per partita” che nel mio caso diventa “canzone per canzone”. Vedremo. Personalmente crescere sempre di più e mettermi in dubbio, fare un miglioramento sui testi e valutare. Fare ciò fin quando mi piace, non dare per scontato nulla.

Sandy Sciuto