Intervista a Giorgio Moretti: “Il disco Quasi mai è un gioco di opposti”

Vi auguro di potervi imbattare nell’ascolto di “Quasi mai”, il disco d’esordio di Giorgio Moretti. A me è capitato di scoprirlo per caso, mentre smistavo le mail nella casella di posta e la curiosità mi ha spinta a premere play nella cartella nomenclata con il titolo sopra.

Giorgio Moretti, ventiquattro anni, romano, è uno dei nuovi nomi della fucina autoriale romana. Canta la propria età in maniera lucida e lineare, con tutti i sogni e le speranze ma anche con le amarezze proprie della sua generazione. Tre anni a Torino a studiare scrittura creativa e sceneggiatura gli conferisce la ricchezza di immagini con cui costruisce le proprie storie fatte di testi diretti e mai banali. Il resto lo fa una formazione musicale ampia che si concretizza in nove brani con un gusto per la melodia, dai sapori contemporanei, contaminati di elettronica gentile, chitarre a disegnare contrappunti e una ritmica essenziale.
Un viaggio in nove canzoni nella musica e nella poetica di Giorgio Moretti che per il suo primo album si impone con una sua cifra stilistica ben delineata.  Si è già fatto notare anche da chi veicola la musica: Giorgio Moretti è tra i 10 finalisti selezionati del Contest collegato al Concerto del Primo Maggio.

Quando è nata la tua passione per la musica e la voglia di farne un lavoro?

La passione per la musica è iniziata durante gli anni del liceo perché il mio compagno di banco suonava il pianoforte mentre io non suonavo ancora niente. Capitava di passare le giornate insieme finchè un giorno lui mi ha esortato a suonare la chitarra e da lì è iniziato tutto quanto.

Il tuo primo album è “Quasi mai”: perché l’hai intitolato così?

Mi piaceva trovare una frase, un’espressione che riassumesse il gioco di opposti che ci sono nell’album. È un gioco di parole che rimanda a tutto quello che c’è dentro l’album ossia emozioni contrapposte che si vanno a incontrare o a scontrare, a seconda dei casi.

Il disco ha come cover un bambino al mare. Perché questa idea? Chi l’ha realizzata?

È una foto che ho scattato io quando un giorno sono andato al mare. È avvenuto in una delle primissime volte che si poteva uscire dopo la quarantena. Avedo deciso di andare da solo al mare di Ostia. C’era davanti a me questa immagine e l’ho catturata perché mi evocava qualcosa. Con il tempo ho capito che quella sarebbe stata l’immagine del disco perché riprende il gioco di contrapposizioni dato che c’è un bambino in primo piano, ma sullo sfondo c’è un tramonto.

Il disco contiene nove canzoni: quale lavoro lavoro è stato fatto sui testi e sugli arrangiamenti?

Ho sempre cercato di lavorare sui testi nella maniera più personale possibile. Adesso, ho scoperto che per me la scrittura musicale significa trasformare delle immagini in musica. In questo centra anche la copertina. Ci sono stati dei momenti che ho vissuto in questo periodo che sono rimasti dentro me come dei fotogrammi e avevo bisogno di restituire quelle immagini precise nei testi. A livello musicale, sugli arrangiamenti ho lavorato con Meiden che è anche il produttore del disco. Abbiamo sperimentato molto e, sound dopo sound, abbiamo trovato delle sonorità che fossero vicini ai mondi che raccontavo nelle canzoni.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali?

Sono un appassionato dell’arte in generale, però penso che ci sia anche qualcos’altro che ha ispirato questo album. Per me c’è tanto cinema dentro quello che scrivo perché l’altra mia passione parallela è proprio il cinema. In un modo o nell’altro so di essere influenzato dai film che vedo, dal modo di interpretare la realtà di alcuni film. Sono anche un grande ascoltatore di musica straniera e di grandi cantautori italiani che conosco a memoria, ma di più ascolto il folk americano.

La tua musica e la pandemia.

L’idea originaria del disco c’era, ma era una bozza. Prima dell’inizio della pandemia avevo scritto due dei brani che si trovano nel disco, ma i tre mesi del lockdown in cui ho avuto tempo per collezionare idee e canzoni, mi ha fatto capire che era davvero realizzabile l’idea di un album organico e completo e che potesse avere quella varietà di temi e di situazioni di cui deve essere composta un’esperienza.

Hai 24 anni e credo tu stia avendo gli stessi problemi della tua generazione. Come sta influendo la pandemia sulla tua vena artistica?

Adesso che stiamo facendo i conti con gli effetti della pandemia, i problemi che credo stiamo affrontando tutti sono legati alla scarsa libertà, nel senso positivo di pensiero. Il dover stare fermi o non avere ciò che avevamo prima e ci permetteva di sperimentare la nostra età ha un impatto molto forte su di me e sui miei coetanei. Mi rendo conto che quanto mi impegno a produrre c’è quella difficoltà dovuta a questo periodo che indirettamente entra in quello che faccio anche se non voglio.

“Quasi mai” sono due opposti mi hai detto e che non si legge insieme. Cosa è “quasi” e cosa è “mai” per te?

Per me “mai” è tutto ciò che non riguarda un’emozione. Il “quasi” sono tutte quelle parti di me che in alcuni momenti cerco di nascondere, ma escono fuori quando qualcosa provoca dentro di me un’emozione. Di solito cerco di essere più freddo e chiuso. A volte c’è qualcosa che mi colpisce e da lì nasce una canzone.

Sandy Sciuto