“E’ migliorato, è peggiorato, è morto” in tribunale a Bergamo le prime 50 denunce dei parenti delle vittime del coronavirus

Sono ben agguerriti e decisi i componenti del comitato, “Cercare la verità su quello che è accaduto in Lombardia per poter identificare i responsabili e avere giustizia”. Così Luca Fusco, presidente del Comitato “Noi denunceremo -verità e giustizia per le vittime del Covid-19”, ha illustrato il senso del “Denuncia Day”, l’iniziativa che vede decine di parenti dei morti per coronavirus riuniti davanti alla procura di Bergamo per consegnare ai magistrati le loro denunce.

“Presentiamo le prime 50 denunce che siamo riusciti a preparare. Siamo tutti volontari e abbiamo bisogno di tempo. Abbiamo ancora 150 denunce da elaborare che saranno presentate al più presto”. Sono tutte denunce “contro ignoti”, ha precisato il presidente del Comitato delle vittime: “Non puntiamo il dito contro nessuno, raccontiamo ciò che è successo. Poi sarà la procura, con tranquillità e serenità, a individuare ipotesi di reato. Sarà un’indagine lunga e difficile”. Le maggiori responsabilità sono da attribuire al mondo politico che ha decretato errori e manchevolezze,  “La prima è quella di non aver chiuso la Valseriana quando doveva essere chiusa, cioè il 23 febbraio, lasciando trascorrere 15 criminali giorni fino all’8 marzo, cioè quando la Regione Lombardia è diventata zona arancione.

Per 15 giorni noi bergamaschi abbiamo viaggiato, lavorato, bevuto il caffè e fatto gli aperitivi. A quel punto il virus ha circolato senza problemi. Se ci fosse stata la chiusura tempestiva della zona rossa nella provincia di Bergamo, forse non avremmo dovuto chiudere tutta la Lombardia. E probabilmente avremmo evitato il lockdown italiano”.  “Su zona rossa ci fu inerzia” affermano “Quindici giorni di assoluta inerzia che hanno permesso al focolaio della media Valle Seriana di espandersi liberamente e in modo incontrollato, diventando un incendio di proporzioni devastanti”.

E’ questo uno degli argomenti piu’ ricorrenti nelle denunce dei parenti delle vittime di coronavirus depositate in procura a Bergamo. Mi sembra che non ci sia altro da aggiungere, speriamo che i giudici non dimentichino la sfilata dei carri dell’esercito per il trasporto delle salme. Dove nessuno sapeva chi e molti non sapevano nemmeno che il proprio caro non c’era più ed era già sepolto in qualche cimitero. Pietro e Diego Federici, bergamaschi, due fratelli hanno perso madre e padre nel giro di pochi giorni, sono entrati senza grossi sintomi e poi il nulla, sono morti.  Ci sono anche loro tra le persone in fila davanti alla procura di Bergamo per presentare denuncia.

“Non ha funzionato niente, dalla comunicazione con gli ospedali alle cure”, spiegano. “Nostro papà è salito sull’ambulanza con le proprie gambe – raccontano -, nel giro di due giorni ci hanno detto: “è migliorato, è peggiorato, ‘è morto”. “Con nostra madre è stata la stessa cosa. Ci hanno detto: ‘Stiamo cominciando a darle la morfina’. La state accompagnando a morire? ‘No, la aiutiamo a non soffrire’, ci hanno risposto e in poco tempo non c’era più”. “Ora siamo qui per dare loro giustizia e fare in modo che queste cose non accadano ad altri”, spiegano: “Nessuno ci ha ancora fatto il tampone”.

Alessandra Filippello