Modelle. Ragazze bellissime, dal fisico perfetto, sotto tutti i riflettori e sulla bocca di tutti, frequentatrici dei locali più esclusivi e degli eventi più rinomati, icone di eleganza e sensualità, oggetto di invidia da parte delle altre ragazze che, purtroppo, non hanno ricevuto da Madre Natura lo stesso trattamento.
Insomma, siamo sempre stati abituati ad associare al termine “modella” il termine “perfezione“, pensando che l’avere così tanta visibilità e popolarità sia la massima realizzazione che si possa raggiungere.
A chi non è mai capitato di restare ammaliato alla visione di una campagna pubblicitaria in cui una sensualissima Gigi Hadid ci conquista e convince a comprare un profumo nettamente al di sopra delle nostre risorse finanziarie solo perché ha saputo soggiogarci col suo miglior sguardo?
(Oltretutto – piccola postilla informativa al lettore – quello sguardo ha proprio un nome tecnico, ovvero “smize“, l’unione del termine “smile” “sorriso” in italiano e “eyes“, “occhi”; quindi letteralmente “sorriso con gli occhi“).
Ma non è tutto oro quel che luccica. Esiste l’altra faccia della medaglia in tutte le cose – il vero e proprio “upside down” alla Stranger Things – ed esiste anche nel mondo della Moda.
Molteplici sono state le critiche fatte a questo grande meccanismo, come per esempio l’estrema magrezza delle modelle, o l’utilizzo di pellicce animali; il tasto più dolente – e preoccupante – di questo ambito, però, riguarda la pessima condizione in cui si trovano a dover vivere le modelle. Sfruttate, costrette a orari lavorativi disumani, lontane da casa e trattate come veri e propri manichini.
La cosa più grave è che a volte queste ragazze si ritrovano inghiottite in questo meccanismo più grande, più forte e più cinico di loro, e che non dovrebbe essere ammesso. Non dovrebbe essere assolutamente ammesso che Vlada Dzyuba, a soli quattordici anni, sia morta da sola e lontana da casa dopo aver sfilato per dodici ore ininterrotte, soprattutto quando le era ufficialmente permesso di lavorarne solo tre a settimana.
Secondo le prime ricostruzioni, Vlada non aveva un’assicurazione medica e il decesso è stato causato da una meningite cronica, aggravata da un esaurimento nervoso. La giovane modella da tre mesi era arrivata in Cina dalla città di Perm, capoluogo dell’omonima provincia russa degli Urali.
Vlada purtroppo non è la prima vittima di questo terrificante meccanismo; soprattutto nel Paese asiatico sono soliti reclutare ragazze straniere alle quali è promesso un roseo futuro di successi e popolarità in copertina. Una volta arrivate sul luogo, però, le modelle – che sono ancora giovani donne ingenue e fiduciose – si ritrovano in una condizione di semi schiavitù, costrette a ritmi serrati e poca umanità. È anche per questo che la morte della giovane ha provocato grandi polemiche in Russia: Mosca, attraverso l’ombudsman Pavel Mikov, difensore civico dei diritti umani di stanza a Perm, sta indagando sulla vicenda e vuole appurare se siano stati commessi reati.
Molte ragazze hanno sofferto, e soffrono, come ha sofferto Vlada. Ogni volta che vediamo il volto di una modella, o il suo esile corpo sfilare in passerella, pensiamoci due volte prima di avere un moto di stizza e di invidia nei suoi confronti. Il mestiere della modella, anche se ovviamente comporta più successo e visibilità, non è solo vestiti alla moda e lusso sfrenato; fare la modella è sacrificio, è impegno ed è grinta, e va rispettato.