Tony Curtis il bello dal sorriso magico

Fisico prestante, bellezza malandrina e un sorriso irresistibile: tra i tanti bei volti che spopolavano nella Hollywood del dopoguerra, si distingueva eccome quel ragazzo di strada proveniente dal Bronx.

Era nato a New York il 3 giugno del 1925 e in una intervista del 2009 propedeutica al suo libro di memorie, un anno prima della sua morte, l’ottantaquattrenne Tony Curtis, in preda a uno strano presentimento, fa il bilancio della propria vita rivelando anche alcuni particolari inediti:” Sono stato sposato sei volte, ho avuto sei figli e credo a occhio e croce di essere stato con mille donne, perché ero insicuro del mio fascino – dice convinto – così volevo andare a letto con tutte. Ero insicuro perché ero un povero ragazzo ebreo (il suo vero nome è Bernie Schwartz), figlio di un sarto immigrato ungherese cresciuto tra le tante bande di giovinastri violenti nelle strade di quel malfamato quartiere. “Pensavo che Hollywood non mi avrebbe mai ritenuto degno di un Oscar”. Gli inizi di Curtis non erano stati molto più fortunati di quelli di Marilyn Monroe con la quale avrebbe condiviso un destino comune: prima professionale e benevolo nella condivisione dello splendente successo cinematografico di” A qualcuno piace caldo”? e poi passionale per via di una irrefrenabile liaison amorosa che lascia sgomento il marito Arthur Miller, lo scrittore non voleva accettare l’idea che sua moglie avesse un figlio da un altro, ma i due erano sicuri che il padre non era lui. A dicembre di quell’anno la Monroe perse il bambino. «Quello che ho vissuto con lei è indimenticabile – sottolinea il fedifrago, all’epoca sposato con l’attrice Janet Leigh che aspettava la loro bambina Jamie Lee, diventata poi anche lei attrice -. Quando ero a letto con lei non sapevo mai dove fosse la sua mente. Era un’attrice. Sapeva recitare un ruolo. Sapeva farti sentire esattamente come un uomo vuole sentirsi in certe situazioni. Io non ho mai chiesto di più». I  focosi amanti non riusciranno a superare del tutto il trauma per la gravidanza della fragile biondona ad opera di quell’accanito e impenitente donnaiolo, sedicente vittima di un distorto rapporto con le donne. “Io sono Edipo – afferma con la consapevolezza dei suoi trascorsi ancor più deciso Tony – avevo una compulsione ad andare a letto con qualsiasi donna. Non le vedevo come persone ma solo come tette, sedere, sesso. Volevo provare qualcosa a me stesso. E poi ero così carino, tutte mi volevano”. E in effetti più che carino era bello. Di una bellezza diversa dai divi vecchio stampo che affollavano la mecca del cinema, resa particolare dalla vivacità di un volto gradevolissimo attorniato dai capelli neri in aperto contrasto con gli occhi blu da cui poi si spiegava in un sorriso a mezza bocca che valorizzava ancor di più l’ammaliante luccichio dei suoi denti.

Il ritratto sputato di chi la sa troppo lunga perché consapevole del suo fascino: un passaporto speciale che alla fine non può che proteggerlo dalle insidie della vita e spianargli la via del successo. A chiudere il cerchio della loro simbiosi Tony e Marilyn erano anche accomunati dall’avere avuto una madre gravemente schizofrenica:” Era pazza. Mi picchiava in continuazione. Mio fratello minore morì a nove anni colpito da un camion. Io ero distrutto ma a lei non importava niente”, rivela fremente e mal rassegnato l’anziano attore.

Succede nel 1938 quando giovanissimo Bernard avendo ben presto imparato a cavarsela da solo in ogni situazione e a prendersi cura di sé stesso e di suo fratello Julius, non può impedire che questi muoia tragicamente travolto da un camion. I genitori che prima li avevano abbandonati affidandoli alle cure dello Stato perché incapaci di mantenerli, dopo poche settimane ritornano sui loro passi e si convincono del fatto che il loro figlio non possa più trascorrere le giornate in strada ma debba avere un’opportuna educazione scolastica. Lui si ribella e nel 1942 si arruola nei Marines dove fa le prime apparizioni sul palco. Al suo ritorno a casa, decide di diventare attore e nel primo dopoguerra inizia a studiare Arte Drammatica a New York dove debutta nei teatri con lo pseudonimo di James Curtis. La svolta arriva grazie all’incontro con la giovane agente teatrale Joyce Selznick, nipote del famoso produttore che gli procura un contratto di sette anni con la Universal Picture.

A 23 anni lo sfrontato giovanotto dal sorriso magico è a libro paga di una delle più importanti case di distribuzione cinematografica: “Mi odiavano tutti perché ero ebreo ed ero bellissimo. Non è una paranoia, è vero. Poi, siccome ero così carino iniziarono i pettegolezzi sul fatto che fossi omosessuale”. Per far tacere i pettegolezzi nel 1951, Tony Curtis sposa Janet Leigh. «Aveva un bellissimo seno, ma era infedele. del resto lo ero anche io, ma solo perché lei mi si rifiutava continuamente. Quando tentò il suicidio capii che il matrimonio era finito». Nei primi Anni 50 ci fu anche la storia d’amore con la Monroe: «Eravamo giovani e relativamente inesperti. Eravamo molto innamorati ma lei era praticamente frigida». Quando si ritrovarono insieme sul set del film di Wilder, qualche anno dopo “lei aveva quasi completamente perso la fiducia in sé stessa, era strana, svagata, assente”. Curtis si sposa con l’attrice tedesca Christine Kaufmann («finì perché era antisemita») e poi con la modella Leslie Allen da cui ebbe un altro figlio, Nicholas morto per un’overdose di eroina. “Non ci si rimette più da un dolore come quello. Sono tutti morti: mio figlio, le mie amanti, i miei amici. A volte mi sento così solo”.  A fargli compagnia rimarranno per periodi più o meno brevi altre due mogli: Andrea Savio e Lisa Deutsch, ma sarà l’ultima Jill Vandebergh di 45 anni più giovane di lui, sposata nel 1998, a restargli accanto sino alla fine.

Un rapido flash back per ritornare all’inizio quando per ragioni prettamente professionali il nostro eroe aveva già cambiato il suo nome in Anthony Curtis poi abbreviato in Tony, ed ecco che dopo il debutto accanto a Jerry Lewis e alla moglie nel film”How to Smuggle a Hernia Across the Border”, nello stesso anno il regista Robert Siodmark, gli offre la parte di un gigolò in “Doppio gioco” un film, con protagonista Burt Lancaster, denso di violenza soprattutto psicologica che ottiene un una grande successo al botteghino e gli fa ottenere un riconoscimento economico di 100 dollari alla settimana. Appare poi in due particine nei western “Sierra”, interprete principale il prode Audie Murphy e “Winchester 73” di Anthony Mann, in cui troneggia un superbo James Stewart, prima del suo esordio come attore protagonista nel film del 1953 “Il mago Houdini”, azzeccata partner femminile la moglie Janet Leigh. Continua a essere avvincente nelle audaci acrobazie di “Trapezio” assieme alla conturbante Gina Lollobrigida e al ritrovato Burt Lancaster, ancora suo partner eccellente con cui condivide l’anno dopo il successo di “Piombo rovente”, un film che rappresenta una spietata denuncia sul mondo dell’informazione, poi nella parte del baldo Eric tiene testa, sia in amore conquistando le grazie della bella Morgana (ancora Janet) che in guerra come vincitore dell’aspro e spettacolare duello finale, al tracotante guerriero Einar (Kirk Douglas), figlio del re Ragnar (Ernest Borgnine), nell’epica vicenda raccontata dal film “I vichinghi”(1958).

Nei film successivi: uno a  sfondo bellico nella Francia della seconda guerra mondiale “Cenere sotto il sole” di Elmer Davies, in cui Tony, nei panni di un vacuo e belloccio soldato americano, diventa antagonista del romantico Frank Sinatra illudendo la bella Natalie Wood, mentre nell’altro “La parete di fango” assieme all’ottimo Sidney Poitiers, interpreta un evaso dai contenuti prettamente razzisti che all’inizio non riesce proprio a liberarsi fisicamente e moralmente dalla scomoda compagnia del suo nero compagno d’avventura. In questo frangente  Curtis mette ben il rilievo le sue notevoli e ancora disconosciute capacità artistiche.

Anche se è soprattutto la commedia brillante il genere dove quel bel tomo riesce fino in fondo a bucare lo schermo e infatti la sua consacrazione avviene nel 1959 con lo strepitoso successo del film di Billy Wilder in cui travestito da donna rivaleggia col suo alter ego, l’irresistibile Jack Lemmon e conquista i favori della splendida Marilyn Monroe. L’anno prima era cominciata la proficua collaborazione con Blake Edwards con” Licenza a Parigi “, seguita a ruota da “Operazione sottoveste” al fianco di Cary Grant e conclusa nel 1964 con “La grande corsa” ancora con partner d’eccezione quali Jack Lemmon e ancora Natalie Wood con la quale nello stesso anno interpreta” Donne vi insegno come si seduce un uomo”, intervallato dal pirotecnico via vai femminile gestito dalla formidabile Thelma Ritter in Boeing Boeing con Jerry Lewis. Siamo negli anni sessanta cominciati alla grande con la stupenda performance nel kolossal di Stanley Kubrick” Spartacus”, dove nella parte di Antonino lo schiavo filosofo inquieta non poco il pragmatico e ambizioso Crasso (Laurence Olivier) e sposa la causa dello sfortunato schiavo tracio raffigurato col suo temibile ghigno dall’incontenibile Kirk Douglas. Un tuffo nelle fresche acque dell’amenità con “La cintura di castità”, di Pasquale Festa Campanile con partner femminile la brillante Monica Vitti, cui segue l’inquietante “Lo strangolatore di Bostondi Richard Fleischer (regista de I vichinghi) che gli vale la candidatura al Golden Globe come attore drammatico a smentire una volta per tutte la nomea di bravo interprete solo di ruoli vacui e leggeri. A seguito di quella designazione desta dunque sorpresa la sua decisione di lasciare il cinema per dedicarsi alla televisione impersonando il ricco playboy americano Danny Wilde che in combutta con Roger Moore, l’aristocratico inglese Brett Sinclair, risolve intrighi dipinti di giallo nella serie “Attenti a quei due”. Un’azzardata decisione che però gli regala tanta popolarità. Ritorna al grande schermo con “Gli ultimi fuochi” un film di Elia Kazan che lo annovera in un cast stellare in cui recitano da par loro Robert De Niro, Robert Mitchum, Jeanne Moreau e Jack Nicholson e mai titolo fu così profetico. Di lì a poco infatti con alcune dignitose ma malinconiche apparizioni come in “ E io mi gioco la bambina” (1980);” C’è qualcosa di strano in famiglia” (1983); “La signora in bianco” e “Ritorno a Berlino” (1988), Tony Curtis avrebbe bruciato i suoi residui avanzi di carriera.

Problemi di salute al cuore intervallati dai palpiti amorosi allo stesso organo, caratterizzeranno la fase finale della sua vita, fino a che un infarto fatale nel 2010, fermerà per sempre la verve dell’eterno ragazzo dal sorriso pronto che la gioia di vivere e soprattutto quella di sopravvivere non avrebbero mai spento.

Ascoltare la sua storia è stato come se in una sera fredda e oscura ci si fosse seduti presso il fuoco del camino per sentire raccontare le fiabe da quello che potrebbe essere anche un nostro caro nonnino.

Vincenzo Filippo Bumbica