Riceviamo e pubblichiamo integralmente:
La mia recente residenza presso il Mana Contemporary di New Jersey, è stata per me un’esperienza unica. L’impatto con gli Stati Uniti e sopratutto con New York, mi ha permesso di confrontarmi con una realtà immensa e con una grande fucina di tanti talenti e di diversi linguaggi. Quegli stessi linguaggi che esteticamente corrono in binari differenti, ma mirano a contemplare un unico concetto. Penso che tramite l’arte si possa curare l’anima.
La mia scultura fatta di materia, non vuole essere una rappresentazione della realtà, ma parte dalla realtà per creare un mondo onirico e fantastico, dove la natura e il fare umano si mescolano insieme, per creare un’idea di mondo nuovo.
Nelle mie sculture la presenza dell’invisibile è fondamentale, quasi più importante della materia stessa. Prediligo sempre più opere ambientali che si relazionano con gli spazi naturali e architettonici, ponendomi con rispetto e attenzione. Mutando il rapporto con lo spazio un’opera non può essere sempre la stessa, ma varia e si tramuta in una continua metamorfosi.
La scultura è tatto prima che vista. È una sensazione di superfici interne ed esterne. Forme che si contrappongono con forza e con energia e che solo la percezione visiva non basta. La scultura andrebbe tutta toccata.
Di natura c’è solo l’essenza, diventa per me il pretesto per iniziare un percorso. Una traccia della presenza dell’uomo con la sua storia, le sue narrazioni e le sue leggende. Mi interessa parlare dell’umanità attraverso la sintesi concettuale dell’arte contemporanea, partendo da radici arcaiche, partendo dalla terra. Nella mia ricerca miro a un’idea di natura e non ad una rappresentazione di mimesi. Un’astrazione che libera il concetto di peso specifico e di volumetria della materia stessa, quindi una percezione ribaltata.
Provare a spiegare un’opera è sempre qualcosa di particolare, poiché è un percorso intimo. Molto spesso capita che l’idea originale dell’artista cambia in altri feedback. L’opera intitolata “Forma interiore” parte da un bisogno introverso dell’essere umano, cercando di relazionarsi col mondo intero. Qui nasce il fiume di cavi, che si diramano come tentacoli, in tutto l’ambiente della cavallerizza di Palazzo Sant’Elia. Rappresentano delle connessioni neuronali di tutto il mondo, legato al progetto One Voice. L’epicentro della connessione ritorna con l’opera, come fulcro di raccolta di tutti i pensieri, uniti in un’unica forma.
La tecnica di realizzazione è stata lunga e complessa, realizzata prima in argilla, fino a raggiungere la realizzazione in resina.
Queste linee di colore amo definirle dei binari che segnano da un percorso all’altro, come una sorte di incisione di un vecchio 33 giri, dove ogni solco è una traccia. La sensazione di questi cavi colorati diventa una traccia di vita che segna il cammino di ognuno di noi.
Cerco di utilizzare gran parte dei materiali sperimentali e non. L’utilizzo di nuove Materie, mai utilizzate prima, mi affascina, e non sapere dove questi materiali mi porteranno mi rende molto esuberante, ovviamente cerco di adattarle alle mie esigenze per creare evocazioni nuove.