Di ritorno dal suo viaggio in India con la compagnia “Viaggi e Avventure nel mondo” Luca ci racconta il suo interessante viaggio, compiuto insieme alla sua fidanzata Agnese.
Ciao Luca, prima di parlare più nel dettaglio della tua esperienza è d’obbligo una domanda: cosa ti ha spinto ad intraprendere questo viaggio in India?
Diciamo che, visto che sono partito in coppia con la mia ragazza, per il suo post-lauream, probabilmente si deve soprattutto a lei la scelta della meta. Sicuramente il confronto iniziale tra noi sulla destinazione è stato lungo ed è durato anche qualche mese, ma alla fine l’India è prevalsa sulle altre mete.
Perché abbiamo optato per l’India? Perché è un posto che nell’immaginario globale ispira un fascino mistico, quasi “metafisico”. Un altro motivo è legato alle sue tradizioni, che sono rimaste intatte nonostante la globalizzazione ed eravamo molto curiosi di conoscerle dal vivo. Infine, il fatto che io e Agnese studiamo ingegneria edile- architettura a Catania e quindi l’idea di visitare meraviglie architettoniche come il Taj Mahal ci intrigava parecchio.
Quali sono state le tappe fondamentali del vostro percorso?
Le mete principali sono state Nuova Dheli, Jaipur, Agra e Vharanasi: queste le città principali; oltre a queste destinazioni sono stati inseriti in itinerario altri luoghi di interesse come Galta, Orchha dove abbiamo passato il Capodanno, Satna e tante altre piccole città.
Quale luogo ti ha colpito di più?
Assolutamente Varhanasi. Perché tra quelle che ho visto mi è sembrata la città che è stata meno travolta dalla globalizzazione. Quella in cui si può cogliere meglio lo spirito dell’India. E’ stupefacente, infatti, come Varhanasi, la città sacra sul fiume Gange, pur essendo molto povera, mantenga una dignità e una sacralità che anche uno straniero può percepire, nonostante la distanza culturale che ci separa. Secondo me è una città che è in grado di trasmetterti la vera natura dell’India e i suoi valori. Mi ha colpito soprattutto il fatto che a differenza delle altre città, decisamente più ricche, essa continui a mantenere uno stile di vita ancorato a determinate tradizioni povere, umili e incredibilmente autentiche, che danno importanza al contatto con la natura, più che al rapporto con i beni materiali.
Viaggi e Avventure nel mondo, l’organizzazione con cui siete partiti, molto spesso propone itinerari non solo culturali, ma anche percorsi paesaggistici, di tracking ed esperienze che portano a visitare anche luoghi meno conosciuti. Qual è stata l’esperienza più estrema o difficile che tu e Agnese avete vissuto?
Se dobbiamo parlare di una difficoltà fisica, sicuramente devo fare riferimento ai lunghi tragitti a piedi o in pulman, viaggi di almeno 4 ore e mezza, 5 ore al giorno, a volte anche sei. Potrei parlare anche della traversata da Satna a Varahanasi, tutta la notte con il treno notturno locale; ma a parte la fatica fisica ci sono state altre esperienze che mi hanno coinvolto tantissimo al livello emotivo.
Una di queste è senz’altro la visita in uno dei templi induisti dove praticavano esorcismi nel villaggio di Balaji. Abbiamo avuto la possibilità di assistere ad uno di questi rituali, circondati dagli induisti in preghiera. Insieme a loro abbiamo dato inizio a questa cerimonia preparatoria agli esorcismi. Le scene sono state veramente forti: anziani condotti nel tempio in catene da una guardia; genitori che tenevano in braccio le loro figlie che si dimenavano, muovevano la testa per liberarsi dagli spiriti maligni tramite l’esorcismo che veniva praticato.
Un’altra esperienza molto forte, di valenza religiosa, è stata assistere ai roghi crematori sulle rive del Gange. L’ usanza religiosa indiana, infatti, è quella di cremare i cadaveri, che vengono portati lungo il fiume sacro, i quali vengono disposti su lettighe di legno e poi bruciati. Abbiamo partecipato alla cerimonia funebre e siamo stati accanto ai genitori del defunto durante il lutto. Il loro modo di viverlo è completamente diverso dal nostro. Per me è stato molto toccante, un momento di profonda riflessione.
Infine vorrei raccontare l’esperienza che abbiamo avuto ad Agra. Con il gruppo abbiamo deciso tutti insieme di mangiare nel Ristorante delle donne sfregiate dagli acidi. Non è stata una decisione facile, perché ha significato entrare a casa di donne che hanno provato terribili esperienze sulla propria pelle e confrontarsi con loro. Abbiamo mangiato molto bene. Tra un cibo e l’altro venivano proiettati dei video in cui ciascuna di queste ragazze raccontava la propria storia. Racconti davvero toccanti che ci hanno scossi un po’ tutti, anche perché le ragazze erano lì con noi e il loro corpo era mostra della crudeltà umana e di pratiche che dimostrano come sia svalutata la figura della donna. Racconto quella che mi ha toccato di più. Oltre a casi di gelosia, vendetta, infatti, c’è stato il caso di una madre che in maniera premeditata ha gettato dell’acido in faccia alla propria figlia di 5 anni perché la figlia faceva i capricci per andare a dormire. Tutti i motivi sono assurdi, ma questo mi è parso davvero sconcertante per la sua futilità.
Qual è stato il cibo più strano che avete mangiato? E invece quello più buono?
Gran parte degli indiani segue il vegetarianesimo. Il loro cibo è semplice, ma davvero buono. Si basa su verdure, frutta e soprattutto spezie: il curry regna sovrano (ride). Per quanto riguarda i piatti tipici: spesso abbiamo mangiato le lenticchie, il dhal, in tutte le forme e in tutte le salse; un’altra cosa molto particolare è il nhan: non sono altro che delle piadine – loro le utilizzano al posto del pane – che gli indiani impastano e arrostiscono. Le fanno semplici, col burro o con il formaggio (quelle al formaggio erano fenomenali). Tra gli altri cibi ovviamente il riso, che fa parte dell’abc della cucina indiana. Davvero fantastico poi lo street food indiano. La cucina di strada è molto diffusa lì. Noi ci siamo imbattuti in varie bancarelle dove facevano tutto fritto: dal peperoncino, alla verdura, alle cipolle, fino alle lenticchie. Mentre cammini per le strade senti questi profumi forti e intensi che attirano moltissimo. Le pietanze poi vengono servite in scodelle fatte con foglie essiccate e intrecciate, esteticamente molto belle. Abbiamo provato anche a conservarle per portarle a casa, ma non ci siamo riusciti purtroppo (si sono rotte).
Un’altra specialità che abbiamo assaggiato è stato il pollo tandori, che viene cotto in un tipico forno indiano (il tandori appunto). Le spezie e l’aroma della legna gli danno un profumo e un sapore davvero particolare. Molto buono. Per quanto riguarda il lhassi, invece, si tratta di uno yogurt fatto in casa, venduto da piccole bottegucce, sulle strade. Lo fanno con vari tipi di frutta: quelle principali sono banana, cocco, melograno e papaya. Dopo un’intera giornata di cammino, di umido e di caldo era l’ideale. Un ultima cosa è la bevanda tipica indiana, il masala tea: un mix di spezie servito con acqua calda e latte. Ha un colorito simile al thè servito con latte, marroncino chiaro. Per strada trovi sempre un venditore di masalaty che ha un enorme thermos e delle piccole coppette in cotto, come se fossero i nostri bicchieri in plastica. Prezzo davvero irrisorio, 10 rupie, in euro 1 o 2 centesimi.
Come vi siete trovati all’interno del gruppo con cui viaggiavate?
Siamo partiti in 16 più il coordinatore. Quindi in totale eravamo 17 persone. Ora, partecipando alla classe discovery, quella dedicata ai giovani, mi aspettavo un target di età più simile al mio, quindi dai 25- 30. In realtà mi sono reso conto che non è così: la classe discovery va dai 30-40 anni. Tra 16 persone noi eravamo i più piccoli. La fascia dominante erano i 37, 38 anni. Ho incontrato persone di una simpatia unica, molto esperte come viaggiatori. Molti di loro sono stati fondamentali ad esempio nella scelta del percorso – perché essendo in gruppo le decisioni le si prendono tutte insieme – e la loro esperienza è stata determinante. Al livello personale, oltre alla loro amicizia, mi hanno dato consigli molto utili. Mi hanno fatto capire ad esempio come approcciarmi a determinate situazioni che io non conoscevo. Ad oggi direi che potrei rifarlo, perché a mio parere la formula di Viaggi e Avventure nel mondo funziona.
Per quanto riguarda le caste, dal tuo punto di vista di viaggiatore estraneo alla cultura indiana, hai avvertito la suddivisione gerarchica della società?
Sì, anche se non era sempre facile comprenderla. Una cosa che si percepisce molto bene è la differenza che c’è tra tutte le altre caste e quella dei paria, gli intoccabili, la casta sociale più bassa. Presso i crematori, ad esempio ci è stato spiegato come un intoccabile non possa mai esse arso come un bramino. Loro vengono bruciati in un’altra parte del Gange e le loro ceneri non possono mischiarsi con quelle delle altre caste. Quando muore una delle quattro caste principali le ceneri vengono gettate nel Gange insieme a tutti i gioielli o i soldi che i familiari hanno scelto di donare al corpo. Nessuno può setacciare le ceneri dei morti per prendere tali oggetti:è permesso solo agli Intoccabili. Per loro non è considerato rubare, proprio per la loro condizione.
L’aneddoto più divertente del viaggio?
Una cosa che gli indiani fanno spesso è masticare foglie di Betel, una palma che cresce in India. Dopo averle messe a bagno e depurate, mettono sopra un colorante rosso, della pasta di calce e delle foglie di tabacco fresco. Poi piegano il betel, lo chiudono e lo masticano. Masticano e sputano a terra. E’ risaputo che la pasta di calce è velenosa. Tutti in India masticano il betel: sono convinti infatti che sia una sostanza genuina e purificante. Un bramino ci ha spiegato che noi sbagliavamo fumando sigarette perché queste sono tossiche, mentre il betel, calce pura, per lui non lo era. Incuriosito anche io l’ho provato. Un’esperienza a dir poco strana. Ti lascia la bocca impastata e la gola completamente asciutta, anche se a me hanno fatto una versione più commerciale con delle foglie di menta e dei zuccherini per stemperare il tutto.
Un altro episodio divertente è stato quando eravamo a Cajurao al tempio del Kamasutra, un posto molto bello architettonicamente parlando. Molti indiani ci hanno fermato per farsi delle foto con noi: era quasi come se fossimo noi l’attrazione del luogo, le vere star. Ad un certo punto abbiamo dovuto insistere perché ci lasciassero proseguire la nostra visita.