Raul e Monica “matrimonio di guerra”, mentre combattono in corsia l’emergenza coronavirus

La guerra al coronavirus porta anche a questo, un matrimonio definito di guerra, per sancire una promessa eterna e per garantire i diritti della famiglia.
Chi lavora in corsia durante questi giorni, comprende più di tanti altri la lotta alla vita che stiamo combattendo. Il mostro invisibile, circola impunito tra di noi, mietendo vite in maniera subdola, nessuno è escluso, non sappiamo quello che ci attende e che ci può succedere da un momento all’altro.
Raul Polo e Monica Balugani, entrambi camici bianchi, 48 anni lui, 35 lei, sono stati chiamati nella battaglia contro il covid.19. 
Raul lavora all’Ospedale Maggiore di Parma mentre Monica in quello di Reggio Emilia, entrambi all’interno di un reparto Covid-19. La richiesta dei due medici di convolare a nozze nasce dall’esigenza di tutelare i figli, i piccoli Niccolò e Martina, a fronte di una battaglia che li espone continuamente al rischio di contrarre l’infezione: “È un matrimonio in tempo di guerra“, hanno commentato i due sposi.

Le nozze si sono celebrate nel municipio di Parma, a porte chiuse e senza nessun invitato, come da disposizioni ministeriali. “Viviamo settimane drammatiche, – ha spiegato il sindaco Federico Pizzarotti che li ha uniti in matrimonio – in lotta contro un nemico invisibile. Oltre al pragmatismo delle azioni e al lavoro di tutti i giorni per battere il virus, dobbiamo vivere anche di speranza e di amore. La loro è una storia di speranza e amore, e abbiamo bisogno di sentire anche questo, oggi: speranza. Auguro ai futuri sposi tutta la felicità di questo mondo“.

Ho un matrimonio alle spalle con due bimbe di 12 e 10 anni, Arianna e Irene, – racconta Raul ai microfoni dell’Adnkronos – la convivenza con Monica ci ha portato altri 2 bimbi, Niccolò e Martina, di 3 e 2 anni. Fino ad oggi non ci siamo mai spostati, presi da mille cose. Oggi, nel momento in cui entrambi, su base volontaria, siamo stati chiamati a lavorare in un reparto o in un ospedale Covid, il rischio che uno dei due avesse qualcosa, come in un matrimonio di guerra, è aumentato molto e per tutelare noi (per avere in caso di malattia di uno dei due il diritto a sapere le condizioni dell’altro, essendo coniuge) e i bambini abbiamo deciso di sposarci“.

La scelta di unirsi in matrimonio durante questi giorni di dolore, rappresenta un forte senso di altruismo nei confronti della famiglia: “Sono giorni sofferti – spiegano – il tricolore che non abbiamo mai ammainato se non per ricordare i nostri morti, è oggi composto dal verde delle mascherine, dal bianco delle lenzuola e dal rosso del sangue versato. La malparata l’abbiam vista e il pericolo è diventato reale, molti colleghi si sono ammalati e stanno morendo. Eppure siamo qui, a coronare un sogno, abbiamo deciso di fare un passo avanti. La festa grande la faremo quando tutto questo sarà finito“.

redazione