Premonitions: un serial killer che prevede il futuro

Una serie di inquietanti omicidi spinge il detective John Merriweather (Jeaffrey Dean Morgan) a rivolgersi ad un suo vecchio amico, il dottor John Clancy (Antony Hopkins), che è dotato di straordinarie capacità premonitorie. Con il suo aiuto spera di poter catturare il serial killer, che sembra essere sempre un passo avanti a tutti loro, come se potesse prevedere le loro azioni. Dopo alcune resistenze iniziali l’uomo accetta. Affiancato nell’indagine dalla psichiatra-poliziotta Katherine Cowels (Abbie Cornish), il dottore sensitivo (che sconta un triste passato dovuto alla morte della figlia) si reca sulle diverse scene del delitto in cerca di indizi che possano portare all’identità dell’assassino. Esiste un filo conduttore tra gli omicidi? Qual è il vero obiettivo del misterioso serial killer?

Il thriller fantascientifico del regista brasiliano Alfonso Poyart inizia con buone premesse. Ciò che cattura fin da subito è il ritmo della pellicola: serrato e incalzante. Le indagini del detective sensitivo vengono seguite passo passo e le sue abilità (molte notizie le apprende attraverso le sue visioni) sono svelate progressivamente allo spettatore con una tecnica registica efficace, che spesso si avvale di immagini riflesse e scene istantanee che servono a mantenere viva la suspance. Il film non è noioso e nemmeno incoerente, almeno finché non sopraggiunge la parte finale.

La conclusione di Premonitions, infatti, sebbene sia effettivamente un finale a sorpresa (che non riveleremo) senza dubbio intrigante, non è in realtà ben collegata con il resto del film. Nel momento in cui vi assiste lo spettatore ne rimane colpito, ma appena ripensa con attenzione a tutto ciò che ha visto prima, comprende che in effetti al livello di trama non può funzionare. Si ha la sensazione, infatti, che nella  sceneggiatura il finale sia stato inserito frettolosamente senza preoccuparsi di amalgamarlo con il resto del film, che invece era ben costruito. E’ un peccato, perché il soggetto dell’opera era molto interessante  e una maggiore attenzione nella scrittura avrebbe potuto renderla ancora più convincente.

Originale l’idea di un serial killer in grado di prevedere il futuro (l’assassino infatti ha le stesse doti del dottore), ma soprattutto il fatto che egli non sia “malvagio”: non uccide, infatti, per istinto omicida, ma lo fa per evitare le sofferenze altrui. Una sorta di eutanasia che semina dubbi nella mente del dottor Clancy, che non ha mai superato il trauma della morte della figlia (malata di leucemia), si interroga se l’agire dell’uomo sia lecito.

Nonostante le osservazioni sul finale, il film scorre bene ed è impreziosito dalla interpretazioni degli attori: tra cui spiccano l’eccellente Hopkins  (qui in veste di detective e non di “Hannibal Lecter” come nel “Silenzio degli innocenti“), la sua nemesi Colin Farrel (che appare poco, ma dimostra ancora una volta una bravura non comune nella recitazione), Dean Morgan e Abbie Cornish. Non mancano momenti di tensione emotiva e dramma. Non sono scontati né patetici. Bella per esempio la scena in cui il dottor Clancy, da sensitivo qual è, confessa di aver visto accanto a sua figlia, ancora bambina, l’ombra della morte che poi l’avrebbe colpita. Così come quella in cui Farrel cerca di convincere il dottore della legittimità dei suoi crimini, realizzati per strappare gli uomini alla sofferenza, prima ancora che essi possano sperimentare il dolore che li attende.

Hopkins riesce bene a rendere il “peso della prescienza” (la capacità di vedere il futuro). Tra l’altro l’aveva già fatto in “Cuori in Atlantide”, bel film tratto dal romanzo di Sthephen King, meno incline al thriller, che racconta la storia di amicizia tra un bambino e un anziano dotato di poteri paranormali. Il tema è un classico e vede importanti precedenti come la “Zona morta” di D.Cronemberg (ancora da un romanzo di King) e il più recente “Hereafter” di Clint Eastwood , in cui due uomini (Christopher Walken nel primo film e Matt Damon nel secondo) devono fare i conti con il “pesante” dono che hanno ricevuto. Altro film su questo tema è Next con Nicholas Cage, che veste i panni di un ladro che ha il dono di prevedere il futuro prossimo che lo riguarda solo due minuti in avanti.

Infine la memoria va ai precog di “Minority Report” di Spielberg, capaci di prevedere i delitti prima che essi accadano e per questo inadatti a vivere nel mondo normale, in quanto troppo sensibili ed esposti nel percepire la crudeltà e l’efferatezza umana. Ritornando a Premonitions, il cui titolo originale “Solace” (che vuol dire “conforto”) è forse più intelligente e appropriato, possiamo dire che il potenziale del soggetto era elevato. Probabilmente non è stato sfruttato come avrebbe dovuto, ma questo non significa che il film sia sconsigliato. Nel complesso è coinvolgente e gradevole, in alcune parti anche inquietante, rispecchiando il genere thriller a cui appartiene, a cui si associano interessanti riflessioni sulla morte e il dolore.

Francesco Bellia