l'importanza di chiamarsi ernesto

L’importanza di chiamarsi Ernesto torna al Teatro Elfo Puccini di Milano

Dal 12 dicembre al 12 gennaio torna al Teatro Elfo Puccini di Milano l’Importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde, per la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Si tratta di un grande successo dell’Elfo, inserito nel progetto Go Wilde: due spettacoli  sull’ opera e sulla vita dell’autore irlandese. Assieme all’Importanza di chiamarsi Ernesto, infatti, è in rassegna anche Atti Osceni (dal 13 g3nnaio al 4 febbraio), incentrato sui tre processi che videro coinvolto Oscar Wilde.

Giocoso, irriverente, critico e divertente L’importanza di chiamarsi Ernesto è uno spettacolo in cui Wilde deride con finezza l’ipocrisia della borghesia della sua epoca.

La storia è quella di Ernest Worthing, il quale, incalzato dall’amico Algernon rivela che il suo vero nome è Jack, nome usato da lui in campagna, mentre, quando si trova in città utilizza lo pseudonimo di Ernesto, così da mantenere una falsa identità che possa garantirgli una condotta meno irreprensibile e seria di quella cui è costretto in campagna.

Questo doppio profilo, incredibilmente comodo per Worthing, finora abilmente celato, è destinato a scontrarsi con il suo desiderio di sposare Miss Gwendolen Fairfax, cugina di Algernon, un unione fortemente osteggiata dalla madre di quest’ultima.I nodi purtroppo vengono al pettine e  l’intrusione di Algernon nella faccenda non farà che peggiorare la situazione. Oltretutto Gwendolen è decisamente ossessionata dal nome Ernesto, al punto da ritenerlo motivo fondante del suo amore per Worthing. Come fare per rivelarle la verità?

Commedia baldanzosa, caratterizzata da una sottile ironia, L’importanza di Chiamarsi Ernesto gioca con i fraintendimenti e con il perbenismo vittoriano, basato spesso su preconcetti di facciata, che mascherano l’ottusità, il nonsense e la superficialità della borghesia inglese.

Nell’adattamento di Bruni/Frongia la regia allestisce il palco come un salotto pop-art  in cui si muovono i personaggi,  macchiette giocose, quasi dei cartoon, in balia del gioco degli equivoci causato dal doppio nome del protagonista e dall’importanza di chiamarsi Ernesto (in inglese gioco di parole tra Ernest ed Earnest), un nome che ispira fiducia alla borghesia da salotto ed è simbolo di agognata sfrenatezza nella periferia di campagna, un nome, falso, che sembra un passepartout per ogni situazione, un salvacondotto per ogni piccola menzogna.

Buona la prova degli attori, allineati sui toni della commedia e sullo stile registico: dall’ironia prorompente di Algernon (Riccardo Buffonini), in cerca di continui divertimenti, allo spassoso dilemma identitario di Ernest Worthing (Giuseppe Lanino);  dalle assolute convinzioni aristocratiche (ben poco fondate) di  Gwendolen Fairfax  (Elena Russo Arman), ai questionari indagatori di sua madre Lady Bracknell (Ida Marinelli), fino al “duo intellettuale” e comico costituito dal reverendo Chasuble (Luca Toracca) e la governante Miss Prism (Cinzia Spanò).

 

Francesco Bellia