Intervista a Dr. Wesh: rap, trap e psichiatria nel disco “Pazienti”

“Pazienti” è il titolo del nuovo album del produttore e beatkmaker romano Dr. Wesh, da venerdì 25 settembre in tutte le piattaforme digitali pubblicato da La Grande Onda.
“Pazienti” è un’esperienza diversa e innovativa rispetto ai numerosi dischi collaborativi di producer presenti sul mercato. L’album prende la forma di un racconto in cui le tracce sono collegate da una storia che gradualmente si rivela durante l’ascolto del disco.
Il disco, arricchito da interludi recitati sotto forma di “annotazioni mediche”, si suddivide in quattro stagioni, nelle quali piano piano assistiamo alla discesa nella spirale psicologica che porterà il “dottore” sempre più in basso, fino ad un inaspettato colpo di scena e ad un finale toccante cantato e interpretato dallo stesso Dr. Wesh.

“Pazienti” è il nuovo album. Com’è nata l’idea?
L’idea era quella di fare un album che raccogliesse le persone che in quel periodo frequentavo come produttore. Dato che mi chiamo Dr. Wesh, in studio tutti mi chiamano “doc”, e per scherzare io li chiamavo “pazienti”, quindi l’idea del titolo è nata da sola.
Ho sempre lavorato dietro le quinte come produttore per altri artisti, e pur accumulando qualche bel risultato (ho mixato e prodotto ormai quasi oltre 50 milioni di streams e un disco d’oro), non ero mai pienamente soddisfatto. Avevo l’esigenza di esprimermi mettendomi al centro, quindi come artista, ma non volevo fare un producer album classico come tutti, e non mi piace fare il rapper. Volevo fare qualcosa di diverso, che lasciasse un segno e che non fosse la classica raccolta di feat. E volevo mettere al centro una storia.


Qual è il messaggio del disco?
Il disco è come un film, quindi ha una “sceneggiatura” e una “trama” che in primis servono ad intrattenere, ma che poi danno un messaggio. Il disco Pazienti è strutturato come un mistero che si risolve piano piano. Non viene mai svelato fino alla fine chi sono io, e cosa ci faccio all’interno della clinica. Passando attraverso i disagi degli altri, l’ascoltatore è spettatore, così come me, in quanto entrambi siamo osservatori delle vite di altre persone. Piano piano, tra un paziente e l’altro, l’ascoltatore diventa spettatore del disagio del dottore, il mio, e comincia sempre più ad empatizzare, fino al finale, nel quale si scopre chi sono e cosa faccio, e si evince il messaggio. [Spoiler alert, non leggere se non vuoi rovinarti il finale] Alla fine il matto che si è immaginato tutto sono io. E sono consapevole di essermi immaginato tutto, perché cerco di scappare da questa clinica… Ma continuo ad immaginare tutto perché credo fortemente (e questo è il messaggio del disco) che se sei in grado di immaginare una cosa, per quanto pazza sia, in realtà questa cosa può avverarsi. Cerco di eliminare la catena mentale del “non puoi”. Se puoi pensarlo, si può fare, anche se adesso non sai come. E’ una fede cosmica, ma si avvera. Mi sono immaginato di essere un dottore all’interno di una clinica, e voi ci avete creduto, e vengo intervistato per parlare di questa cosa…. quindi si è realizzato. Così come sono stato male e, sempre perché ho avuto fede, mi sono immaginato un futuro migliore anche se non ne vedevo uno, e piano piano ho acquisito questa consapevolezza. Se tutti sapessero che se immagini una cosa, si può fare, probabilmente saremmo mille anni avanti.

Perché ha sentito l’esigenza di parlare di salute mentale ricollegandosi a fatti della sua vita personale?
Ho avuto a che fare nella mia vita con tante persone che soffrono di questo, e anche io, essendo artista, soffro e vivo di continuo in tensione, forse perché sono molto ricettivo e sensibile.
Avevo letto da uno studio statistico che circa un italiano su quattro soffre di una qualche patologia mentale, più o meno lieve, ma non sono diagnosticate. Ma al di là della statistica, vera o falsa che sia, il problema secondo me è che questo tema è molto sottovalutato.
Solitamente, nella vita quotidiana, il tema viene toccato solo dai fatti di cronaca. I media ogni giorno ci fanno vedere persone “svitate”, che fanno gesti folli, che impazziscono, ma non ci fanno mai vedere la prospettiva loro, ovvero come è vivere così. Ma questo perché i media sono strutturati non per informarci, ma per confermare le nostre idee politiche, sociali ed economiche, e quindi sono scritti per farci sentire che abbiamo ragione, che siamo migliori dei “matti”, ci fanno ergere a giudici, ci fanno vedere quello che si butta da un balcone e ci inducono a pensare che noi siamo quelli normali.
Non ci fanno empatizzare con la sofferenza che prova una persona, perchè richiederebbe uno sforzo molto difficile da sostenere. E’ più facile confermare le nostre idee che metterle in discussione. Dovremmo invece provare a metterci nei panni del matto, e parlare della sofferenza in modo più libero, senza doverci omologare tra “normali” e “matti”. Cosa si prova a non vedere mai una via d’uscita dalla propria sofferenza, che non sia togliendosi di mezzo? Cosa significa avere paura nel chiedere aiuto, o non venire ascoltato, soffrire e non sapere bene come farlo sapere, oppure peggio ancora quando stai male, lo dici e a nessuno frega niente? Se ti metti nell’altra parte ed empatizzi, secondo me, cominci anche ad essere più profondo con te stesso, e cominci ad essere più compassionevole e tollerante con tutti, cominci ad ascoltare le persone a cui vuoi bene.


Secondo lei quanto c’è ancora da fare in questo ambito? Quali le soluzioni da adottare?
Io sono molto pessimista. Penso che alla società e alle persone non freghi nulla perché è più conveniente che le cose continuino a rimanere tali. Pensaci, la gente spende soldi sulla base dell’emozione e della paura. La maggioranza delle persone riempie le palestre perché si sente inadatta (con tutto che fa bene alla salute, quindi in realtà il beneficio è apprezzabile, ma la motivazione non è quasi mai la salute quanto il sentirsi inadatti), compra vestiti per apparire più bella, frequenta e sceglie migliaia di cose sulla base di sensazioni negative. La società vuole che tu sia insicuro, che tu stia male (non troppo ovviamente, devi sempre essere produttivo e comprare), vuole che tu sia fuori moda, che tu veda la casa di quel personaggio famoso più bella della tua, perché sennò saresti un monaco buddista che non compra nulla e tutto si sgretolerebbe.
Io passo spesso il mio tempo su Instagram, perché molti miei fan sono lì, e faccio fatica a non uscire depresso ogni volta che vedo i contenuti che vengono postati. Io, come i miei coetanei, passo il tempo guardando foto di gente che fa vedere una vita perfetta, ma che non spiegano mai come ci sono arrivati. Vedi una persona perfetta, con una ragazza perfetta, che viaggia in posti bellissimi, con una casa perfetta e pensi che sei un idiota che non ha combinato niente nella vita.
Ci sono dei rapper che nemmeno sono maggiorenni e hanno già hit e dischi di platino, e i commenti dei fan sotto sono “pensa che fallito che sono io che manco mi riesco a diplomare, e questo/questa già stanno facendo successo”. Questo è disagio mentale che viene installato da subito, e che ti porti appresso per tutta la vita se non lo combatti. Invece di spiegarvi che quella persona di 15 anni non è un genio, perché c’è dietro un team di seicentomila persone che lo rende un fenomeno, e che solo un incastrarsi di situazioni, perché di Michael Jackson o di Freddie Mercury, ovvero gente con un talento sceso dal cielo, non ce ne sono molti ora, ti fanno pensare che sei un idiota. Invece di insegnarti che c’è un tempo per tutto, e che il tuo tempo per fiorire potrebbe essere anni dopo, c’è sempre un contrappasso per qualsiasi scelta che tu fai, ti lasciano lì a pensare che sei un buono a nulla. C’è una metafora molto bella che spiega questo: un albero di limoni non si sente sbagliato se fiorisce in una stagione differente dal pesco o dalla quercia. La natura ha i propri tempi e noi siamo nati per seguirli, tutto il resto è rumore che fa ammalare la mente.
Le persone che lottano contro tutti, che vedono una luce anche quando il cielo è oscurato, che credono ad una cosa a prescindere sono pochissime, e vengono presi per matti. Se a livello di società siamo messi così, partiamo molto male. Penso che però quello che puoi fare è scegliere di dare retta alla tua realtà, e renderti conto che la realtà non esiste, ma è solo una fabbricazione e un’elaborazione. I fatti sono tutti interpretabili, quindi interpretali come vuoi tu, e vivi secondo te stesso, non secondo ciò che ti piazzano davanti.

Come sono stati scelti i nomi per i featuring nell’album?
I featuring sono tutti “pazienti” che hanno lavorato con me. Sono contentissimo di avere messo una realtà di Roma che secondo me farà parlare molto di sé. Sono tutti artisti validi, bravissimi, e che secondo me faranno un grande successo. Ho messo quelli che secondo me davano più varietà, e ho cercato di farli uscire dal seminato, in modo da non fare “il solito pezzo di”.

Di quale featuring va più fiero?
Quello che ancora non ho fatto.

Cosa c’è in agenda per i prossimi mesi?
Stamperò le copie fisiche in tiratura iper-limitata, sto curando il design e sto facendo cose folli, come una mascherina con la radiografia personalizzata, delle lettere battute a macchina, delle provette, insomma voglio dare all’ascoltatore un qualcosa che possa ammirare e dire “wow”. In realtà se mi seguite su Instagram, vedrete che sarà possibile preordinare le copie fisiche.

Sandy Sciuto