Donne violate: l’Italia in Tagikistan contro la violenza domestica

Foreste rigogliose che si alternano agli arbusti tipici della steppa; alte montagne, intervallate da bacini lacustri e corsi d’acqua a regime torrentizio alimentati dai ghiacciai; e ancora capre selvatiche, orsi, lupi, cammelli, pecore, yak, oltre a una grande varietà di uccelli, tra cui l’aquila reale: è questo il paesaggio che vedrete in Tagikistan, la più piccola e povera delle ex Repubbliche Sovietiche, il luogo prescelto per la realizzazione del progetto “Vivere con dignità” dell’onlus Cesvi, volto a sostenere le donne tagike vittime di violenza domestica.

Situato nel cuore del continente asiatico, il Tagikistan è un Paese dalle forti individualità etniche, costrette a trovare una quasi impossibile convivenza entro i confini artificiali risultanti dagli interessi imperialistici del colosso sovietico. Cuore persiano confinato dentro un’area a netta prevalenza turca, il Paese è stato protagonista di un drammatico sfaldamento all’indomani della disgregazione dell’URSS, costellato da un alto numero di vittime, causate da una guerra civile dall’esito disastroso, e da centinaia di profughi. Squassato dagli interessi stranieri e dalle rivendicazioni dei diversi gruppi etnici arroccati tra le valli impervie, oggi il Paese, nonostante la riconquistata autonomia politica, non si è ancora definitivamente risollevato dalla condizione di povertà diffusa, dalla dipendenza economica dai Paesi esteri e dai prestiti monetari del governo russo. Ad aggravare ulteriormente la centralità che il Paese riveste nei traffici clandestini di droga a livello mondiale. Inoltre, manca una solida identità tagika, nonostante il florido passato legato agli splendori dell’antica Persia costituisca motivo di orgoglio e terreno comune su cui provare a rifondare un’identità sia culturale sia nazionale.

Il Tagikistan consta 7 milioni di abitanti e, la mancanza di lavoro, spinge molti degli uomini ad emigrare in Russia, mentre le donne restano sole, in condizioni di grande povertà, ad accudire i figli. Le donne in Tagikistan si sposano molto giovani, spesso contro la loro volontà e raramente lavorano. Sottomesse al marito, si stima che il 19% delle donne tra i 15 e i 49 anni abbia subito violenze fisiche almeno una volta nella vita. All’origine di tutto questo c’è la povertà diffusa e anche, soprattutto nel caso degli uomini, l’abuso di alcol. Inoltre, la violenza di genere è anche una pesante eredità della guerra civile che tra 1992 e 1997 ha tormentato il paese. Le donne, oggi come allora, sono esposte al rischio di violenze e soltanto attraverso il lavoro, che consente loro di guadagnare un ruolo attivo nella società, riescono a riscattarsi, possibilità che, però, viene loro negata. Quello della violenza domestica, dunque, è un problema drammatico in Tagikistan, dove oltre un terzo della popolazione femminile è sottoposto a maltrattamenti da parte dei mariti e di altri membri della famiglia e dove soltanto una donna su cinque fa ricorso all’assistenza legale per fermare molestie o abusi.

E’ questo il contesto in cui opera l’Onlus Cesvi che, grazie al suo progetto, ha permesso a oltre 80 donne a spezzare la spirale di prevaricazione. Si parte da incontri assieme ai mariti e ai loro famigliari, spesso coinvolti negli abusi, per arrivare alla creazione di micro-imprese a conduzione femminile. Caso simbolo del progetto è quello di Katerina, colpevole di aver messo al mondo 4 figlie dopo il matrimonio con Arseniy. Un disonore per suo marito e per la sua famiglia, i quali etichettarono Katerina come donna inutile. Da qui, la spirale di violenza causata da suo marito, il quale non si limita a colpire solo lei. Vittima della sua rabbia cieca è anche sua figlia maggiore, la quale, stanca della violenza, si toglie la vita. È in quel momento che Katerina reagisce e si unisce agli incontri promossi dalla Cesvi, portando con sé anche suo marito. Grazie al sostegno del Cesvi, oggi ha una nuova macchina da cucire, più moderna, che le consente di produrre velocemente e guadagnare di più. È un lieto fine conosciuto anche da Sokina e Farista, passate da nozze combinate e abusi da parte delle suocere ad avere piccole imprese che producono latte, yogurt e formaggi. A trarre beneficio non sono solo le donne ma anche i mariti: ad esempio, con l’aiuto della Cesvi, anche Bogdan, marito di Farista, svolge piccoli lavoretti che gli consentono di portare a casa i soldi necessari al mantenimento della famiglia e ha accettato l’indipendenza di sua moglie.

Katerina, Sokina, Farista sono solo alcune delle 81 donne che il progetto “Vivere con dignità” ha aiutato, perchè, come sostiene Daniela Bernacchi, General Manager di Cesvi, “L’autonomia lavorativa è importante quanto l’assistenza psicologica perché pone le basi per una maggiore autotutela e, indirettamente, anche per il benessere dei figli”.