Marcello Mastroianni: gli strani amori di un antidivo di successo

Era un bello non impossibile, un bello con l’anima: a volte tormentato come il Bell’Antonio, altre disinvolto come il Rodolfo Valentino della commedia musicale Ciao Rudy. Insomma un autentico bello delle donne, ma anche un uomo serio e ironico, candido e sagace, colto e umile, curioso e svagato e di conseguenza un attore di rara qualità capace di convivere con estrema eleganza al ruolo, suo malgrado, impostogli dal suo ragguardevole physique du role. Con addosso appiccicata l’etichetta di latin lover, che sulle prime lo agevolò nella professione, impose poco alla volta un altro e ben più significativo risvolto a quella figura gradevole accoppiata a una voce dalla stupenda inflessione nasale: un carattere duttile a prima vista semplice ma complicato nella sua normalità, connotava un modo d’essere perfino seducente allorché s’intravedevano tracce della sua soffusa fragilità.

L’immagine in copertina che forse più di tante altre lo rappresenta, mostra la sua espressività primaria: uno stupefacente ritratto umano di inaudita leggerezza che però mostra il ghigno fatalistico di chi si abbandona alla voluttà del vizio e tra uno sbuffo e l’altro sembra metterlo assieme a tutti gli altri che hanno costituito la sua vita amorosa a volte spericolata altre meno, per molti versi e per certi aspetti parallela e simmetrica al suo impeccabile senso della professione: con lui il cinema italiano ha coniugato per quasi sessanta anni tutte le declinazioni al maschile quasi sempre soavemente inframezzate da cospicue e ben rappresentate presenze al femminile.

Roma 1960: “Marcello, come here”, la splendida Anita Ekberg che interpreta una famosa diva del cinema, lo vuole accanto per condividere la magica atmosfera di un incantevole notte romana e lui vincendo la sua naturale ritrosia s’immerge nell’acqua della fontana di Trevi e rapito da cotanta bellezza si dichiara: “Tu sei tutto, Sylvia! Ma lo sai che sei tutto? You are everything, everything! Tu sei la prima donna del primo giorno della creazione, sei la madre, la sorella, l’amante, l’amica, l’angelo, il diavolo, la terra, la casa…”. È la scena madre de La dolce vita, un capolavoro assoluto del cinema italiano e mondiale che lascia una traccia decisa disegnando lo spartiacque di un diverso confine cinematografico. Un film epocale che illustra nei particolari la rapida metamorfosi sociale del nostro costume.

In quel set Marcello Mastroianni incontra professionalmente per la prima volta Federico Fellini. Per la verità Il produttore Dino De Laurentis avrebbe voluto un nome più altisonante per la parte di quel moderno antieroe con un concetto del tutto personale della moralità, ma Giulietta Masina donna molto intelligente e attrice assai valente, aveva già suggerito al marito il nome di questo suo vecchio compagno d’università. Costui, reduce di una lunga gavetta, pur nelle pieghe di certe commedie nostrane, si era poi peraltro ben disimpegnato in alcuni ruoli a metà tra neorealismo e commedia rivelandosi particolarmente adatto a una delicata recitazione introspettiva. Oltre il suo inconfondibile fascino, serafico e paziente, Marcello lasciava già intravedere lampeggianti sprazzi di una virtù fondamentale per un attore: la naturalezza. Eccolo dunque ameno, imbronciato, ironico o scalcagnato che sia, impegnato in alcune prestigiose collaborazioni con registi del calibro di Emmer, Blasetti, Visconti e Monicelli, rispettivamente nei film: Domenica d’ agosto (1950) e Le ragazze di piazza di Spagna (1952)  a firma dell’attento Luciano; Peccato che sia una canaglia (1954) col sigillo del pioniere Alessandro, dove per la prima volta lavora con Sofia Loren; Le notti bianche (1957) diretto dal raffinato esteta Luchino, e infine I soliti Ignoti (1958), un’azzardata ma riuscita improvvisazione del geniale toscanaccio Mario.

Nasce così come una poesia tra lavoro, talento e allegria una delle più rigogliose e creative collaborazioni di tutto il nostro cinema che diventerà un’eterna amicizia ribattezzata per sempre da due nomignoli fumettistici e futuristici bastevoli a identificarli: Snaporaz (Mastroianni) e Callaghan(Fellini).  Per quest’ultimo il lavoro è una dolce ossessione piantato nella vita come senso assoluto di esistenza per cui Marcello rappresenta l’incarnazione prediletta della sua anima, l’alter ego su cui riflettere le sue oniriche visioni: è lui Marcello Rubini, l’inquieto giornalista, curioso, frivolo e tormentato, assoluto protagonista delle notti romane, ed è ancora lui Guido Anselmi, il regista in crisi ossessionato e ossessionante che tra bugie sogni e desideri si erge ad assoluto protagonista  di Otto e mezzo (1963), un altro film frutto della  delicata quasi intima intesa fra i due che raggiunge l’apice nel vortice parossistico di La città delle donne (1980)  in cui Mastroianni si infila nel tortuoso labirinto del mondo femminile per riemergere tempo dopo nel falso scintillio di Ginger e Fred (1985), dove tra frac e lustrini lo spelacchiato Pippo e la sua partner di un tempo, la sublime Giulietta Masina, si rendono patetici e ridicoli tentando un triste revival che dia colore e tono a una vita ormai ai titoli di coda. I due vengono invece così ignobilmente sfruttati dalla tv: il mostro a due teste che riflette il delirio di una società priva di ogni senso morale. Il cerchio magico tra il grande autore e il magnifico attore si chiude con la struggente riproposizione di un lontano passato contenuta nel film L’intervista (1987): quasi trenta anni dopo il maestro riminese affida a Marcello e ad Anita il loro ultimo ruolo. Un degno commiato al bene effimero della bellezza e uno sgradito benvenuto alla difficoltà del vivere.

Peraltro il personale e gradito gioco delle coppie di quel ciociaro, nato a Fontana di Liri il 28 settembre del 1924, era cominciato tempo addietro nella metà anni 50 quando Alessandro Blasetti, navigato uomo di cinema, con una brillante intuizione lo ripropose nel film La fortuna di essere donna (1956) a fianco di quella che sarebbe diventata la ciociara per antonomasia: l’avvenente ed esuberante maggiorata Sophia Loren. I due, come se avessero bevuto l’elisir della felicità artistica gireranno assieme la bellezza di dodici pellicole e in ognuna di esse traspare autentica una pulizia di sentimenti che li rende amanti per sublimazione e dunque complici di fini sottigliezze sentimentali che rinsaldano la loro amicizia sul set in un meraviglioso incastro lavorativo. Diretti dal grande Vittorio De Sica sono i protagonisti unici del romanzo popolare italiano con il trittico: Ieri, oggi e domani (1963); seguito a un anno di distanza da Matrimonio all’italiana (1964), e diluito nel tempo: I girasoli (1970); mentre sempre più avviluppati nel cercare altre dimensioni artistiche Marcello e Sophia sveleranno le sotterranee ragioni del cuore, patiranno il coraggio della diversità e dimostreranno la forza d’animo del vivere nel manifesto di un incontro di solitudini diretto dall’intimistico Ettore Scola Una giornata particolare (1977). Qui nel ruolo rispettivamente di Antonietta e Gabriele, la coppia vincente del cinema italiano, sfodera una superba interpretazione dipingendo con i tratti di una delicata e poetica recitazione la rassegnata frustrazione femminile e la rabbiosa sensibilità di un omosessuale destinato per questo al confino, sul tetro sfondo di un’epoca di posticce ambizioni e di violenta sopraffazione. Con quell’amabile e garbato dicitore, l’attore laziale girerà altri otto film, confermando appieno la sua ricerca di stimolanti collaborazioni ben adeguandosi alle difficili tematiche dei controversi rapporti generazionali.

Il suo straordinario percorso artistico viene nel frattempo intervallato dagli strani amori più per caso che per vocazione, come quelli del suo film  Casanova 70, nella cui vita privata irromperanno con fragore le bellissime e inquietanti prossime partner: prima la statunitense Faye Dunaway di Amanti (1968) e dopo la francese Catherine Deneuve di La cagna (1972), per citare le più famose e di sicuro le più pretenziose, animano  e incidono sulle contrastanti vicende umane di un uomo che alla fine non si è preso quasi mai sul serio e forse per questo è riuscito mirabilmente ad essere un attore di riconosciuto impegno: uno di quelli che riesce a impersonare con estrema disinvoltura e naturale propensione personaggi non solo antitetici ma tra loro diametralmente opposti legandoli al suo personale filo logico e abbellendoli con perfette caratterizzazioni: Il falso seduttore e amante platonico di Mauro Bolognini; il languido e scettico barone Cefalù di Pietro Germi e lo stralunato ricco industriale con addosso una paradossale vacuità consumistica di Marco Ferreri, sono alcuni dei suoi personaggi  più emblematici.

Dopo la bellezza di 160 film, conditi, soprattutto nel finale di carriera, da tutta una serie di apprezzabilissime recite teatrali, ormai stanco e malato Marcello,  che vive per ragioni di salute stabilmente sulla rotta Roma- Parigi, il 19 dicembre del 1996 lascia in quest’ultima città le sue spoglie mortali: corpo, voce e gesti, sono ricordi che brillano oggi come ieri e di sicuro domani, alla luce del tempo, come un’intangibile polvere di stelle spruzzata ogni qualvolta egli appare sullo schermo. Il manifesto iconografico della sua presenza cinematografica diventerà non per caso metafora di una vita dolceamara nella significativa e sfaccettata interpretazione del suo film cult, quello che racconta nei minimi particolari la Roma by night del tempo: nella scena finale, dove sulla spiaggia di Passo Oscuro incontra di nuovo la fresca Paola(un’angelica Valeria Ciangottini), il novello Snaporaz disincantato più che mai oppone alle speranzose aspettative della giovane un tacito e rassegnato saluto aprendo le mani. Quel gesticolio mentre il vento gli scompiglia i capelli e fa svolazzare il suo vezzoso foulard, sembra dire: “C’est la vie”. Con questo ritorno al futuro ci piace celebrare Marcello Mastroianni: lieti d’aver goduto della sua terrena essenza che compensa appena il rimpianto per la sua eterna assenza.

Vincenzo Filippo Bumbica