C’è un momento, all’Università Statale di Milano, in cui il teatro riesce a parlarci. Non sempre è facile riuscire a “far parlare” qualcosa di inanimato che tuttavia nasce proprio con lo scopo di far suscitare in noi emozioni uniche. Negli ultimi anni, a fronte di un boom della tecnologia, spesso ci si dimentica delle piccole perle che città come Milano, come un’ostrica dal guscio grigio, contiene. L’abitudine ci costringe (si: è l’abitudine a costringerci) a passare sotto al Duomo, meravigliarci e volgergli le spalle, dirigendoci magari alla Rinascente o al Castello Sforzesco. In questo modo pensiamo di conoscere bene la nostra città. Ma ci sbagliamo… Spesso siamo come turisti per le nostre città.
Ma cosa offre una città come Milano “dietro le quinte”? La rivalutazione della cultura nell’età moderna è una delle sfide più ardue. Cosa ci insegnano il teatro, la musica (quella seria), la letteratura, l’arte e lo spettacolo oggi nel XXI secolo? E’ vero che quest’ambito di studio, di ricerca e di lavoro è destinato a perire per far posto alla più comoda e schietta tecnologia? Forse è meglio fermarsi, prendere un bel respiro e ripensarci un po’…
Social Up ha avuto il piacere di intervistare Alberto Bentoglio, professore ordinario di storia del teatro e dello spettacolo e storia della danza per i corsi magistrali presso il Dipartimento di Beni Culturali della Statale di Milano. Un momento di confronto, con un esperto di teatro, su come rivalutare quelle che poco fa abbiamo chiamato “perle nascoste di Milano”. Un momento, insomma, per farci dire qualcosa che spesso o diamo per scontato o non sappiamo affatto: oltre alla Scala c’è molto altro.
1) Come nasce la sua passione per il teatro e lo spettacolo?
Teatro, musica e spettacolo hanno sempre fatto parte della mia vita da quando ero piccolo. I miei genitori si sono incontrati studiando canto lirico (anche se poi hanno fatto tutt’altro). Forse qualcosa mi è arrivato direttamente da loro. E poi durante gli anni della Statale, da studente di Lettere e Filosofia, ho fatto la comparsa alla Scala, la maschera al Teatro dell’Arte, il figurante in RAI… Insomma, mi sono anche mantenuto agli studi con questa passione che via via è cresciuta con me. Anche se, a dire il vero, non ho mai amato stare in palcoscenico. Mi piace studiare e insegnare il teatro, non farlo.
2) Come è arrivato ad insegnare alla Statale?
Mi sono laureato in Letteratura italiana, poi ho vinto un dottorato in Cattolica, poi una borsa post dottorato (più o meno quelle che ora si chiamano assegni di ricerca). Nel frattempo, ho scritto, studiato, fatto esperienze didattiche (in Italia e all’estero), ascoltato sempre chi ne sapeva più di me – ed erano tanti! Così è arrivato il posto di ricercatore in Discipline dello spettacolo e poi quello di professore.
3) Quali sono gli ambiti di ricerca che predilige?
Nei gusti sono un po’ antico. Lo devo ammettere: se fosse per me, studierei solo l’Ottocento. Il secolo di Foscolo, Victor Hugo, della Compagnia Reale Sarda, dei Grandi Attori, dalla Ristori alla Duse a Sarah Bernhardt… Amo molto il teatro romantico e poi andare per archivi e biblioteche… Leggere documenti, trascrivere manoscritti… Però mi sono occupato anche di altro. Ci mancherebbe! Ho studiato la regia nell’opera lirica, l’organizzazione teatrale fino ai nostri giorni, il teatro dialettale milanese, la drammaturgia europea…
4) Il suo curriculum è molto ricco: vuole spiegarci quali sono i principali progetti con cui collabora?
Ho fatto e faccio molte cose (o almeno ci provo). Ma come tutti quelli che hanno voglia di lavorare e credono nella loro professione, non faccio più degli altri. Credo nell’intellettuale organico (come lo definiva Gramsci) o nell’operatore culturale (come lo definiva Paolo Grassi).
Partecipo in prima persona alle molte iniziative del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali che dirigo e la maggior parte delle volte imparo un sacco di cose che non sapevo e più imparo, più sono contento. Forse anche per questo il curriculum è ricco. Ci sono poi i rapporti con la comunità scientifica italiana, i progetti internazionali. Per fare tutto ci vorrebbero giornate di almeno 48 ore. Ma ci provo.
5) In che modo riesce a conciliare la sua attività di ricerca con le lezioni universitarie? Ha mai proposto ai suoi studenti corsi universitari particolari?
Il tempo è tiranno. È vero. Ma le lezioni sono sempre al primo posto nella mia agenda. Gli studenti sono per me come l’acqua per i pesci. Se non ci fossero, andrei a fare un altro mestiere. Alla fine, studio perché mi piace raccontare e discutere le cose che penso di avere capito. Con gli studenti il confronto è costante. A volte le lezioni sono l’occasione anche per me di imparare, approfondire, a volte anche per rivedere le mie opinioni. La didattica è quindi una parte importante della mia attività. L’Università degli Studi di Milano ci ha sempre creduto e ha sempre investito e investe tante risorse per incentivarla.
Il corso di storia del teatro un po’ particolare già lo è: si va insieme a vedere gli spettacoli, si incontrano gli attori in aula, si partecipa alla prove. Ma è la materia che lo richiede: mica si può pensare di studiare il teatro leggendo solo i libri! Sarebbe come tentate di conoscere La Traviata di Verdi o la musica dei Beatles leggendo solo uno spartito… Non si può! Se leggo Pirandello spesso mi annoio, ma se lo vedo in scena mi emoziono sempre tantissimo. Perché Pirandello, come Shakespeare e tutti gli altri autori di teatro hanno scritto per essere “rappresentati” non per essere “letti”.
6) Come è tenuto in considerazione il teatro dai cittadini milanesi?
Milano è la capitale italiana dello spettacolo. Lo dicono i dati, le statistiche. Le sale sono numerosissime e sempre affollate. La proposta è eccellente e multiforme. Ce n’è per tutti i gusti. Si va dagli happening negli spazi alternativi ai repertori tradizionali nelle sale del centro città, mantenendo un livello alto. Poi a Milano ci sono il Piccolo Teatro, la Scala, l’Elfo Puccini, il Franco Parenti, e tutti gli altri. Come si fa a non amare il teatro?
7) Quali sono i punti forti dello spettacolo e della cultura milanese?
Mi limito al teatro perché lo conosco meglio. Credo che Milano abbia uno dei suoi punti di forza nella capacità organizzativa e nell’attenzione che le istituzioni pubbliche, penso in particolare all’assessorato alla cultura del Comune, hanno sempre riservato allo spettacolo dal vivo. Faccio solo l’esempio del sistema delle convenzioni teatrali che da anni è in grado di aiutare economicamente e coordinare l’attività di ben venti teatri milanesi molto differenti fra loro, ma tutte eccellenze della nostra città e del nostro panorama nazionale. Un sistema che ci è invidiato da tutta Italia. E poi è la politica dei prezzi che permette a tutti coloro che lo desiderano di assistere a spettacoli di prosa, danza, musica con pochi euro. Basta sapersi organizzare. I miei studenti vanno alla Scala con 10 euro (e sempre alle recite con il primo cast!). Certo, siamo seduti nelle gallerie, ma non è lì che vanno i veri intenditori?
8) Quali sono invece, secondo lei, le principali difficoltà che arte e spettacolo possono incontrare nella strada nella loro affermazione fra noi giovani?
Ahimè, molte sono le difficoltà! Economiche anzitutto. È una strada in salita, pochi soldi, poche possibilità di mostrare le proprie capacità, di farsi conoscere, di crescere. E poi una concorrenza spietata! Se uno si tira indietro, dieci prendono il suo posto! Ci vuole grinta, coraggio, determinazione e un po’ – un bel po’! – di fortuna.
E poi le professioni artistiche richiedono qualcosa in più…
9) Di cosa avrebbe veramente bisogno, secondo lei, la cultura italiana (e nella fattispecie milanese) per essere un solido punto di riferimento?
Ah, ma questo io proprio non lo so! Posso dirti però una cosa che mi piacerebbe avvenisse e che forse potrebbe aiutare la cultura e, più in generale, la società: vorrei che tutti parlassero un po’ di più con gli altri, si relazionassero con gli altri in maniera più efficace. Credo che un confronto vero, costruttivo e, soprattutto, umano potrebbe essere di aiuto a tutti (anche alla cultura). Lo diceva anche Giorgio Strehler.
Confronto, grinta, voglia di fare e, perché no, anche voglia di divertirsi. La cultura teatrale ha bisogno di questo, in sostanza: non è forse vero, come suggeriva il professore, che le discipline artistiche hanno una marcia in più? E solo l’osservatore attento sa come mettersi in gioco veramente.
Ringraziamo il professor Bentoglio per queste informazioni preziose – e se possiamo dirlo: anche incoraggianti, per un certo senso -, dal sapore di una piacevole chiacchierata. Cosa aspettate? Il teatro è lì che vi aspetta.