Civil War recensione

Civil War: l’assuefazione alla violenza secondo Alex Garland

Dal 18 Aprile al cinema Civil War è l’ultima pellicola di Alex Garland, già regista di Man (2022); Annientamento(2018), Ex Machina (2014), di cui vi presentiamo la recensione in questo articolo. 

Una nuova guerra civile americana

Nella sua opera di fantascienza distopica Garland immagina il contesto di un paese (gli Stati Uniti) messo a ferro e fuoco, in cui nessun area è del tutto sicura o al riparo da potenziali attacchi o azioni di guerrigilia urbana. Si tratta dello  scoppio di una nuova guerra civile americana, ambientata in un futuro prossimo.. Il casus belli è solamente tratteggiato dal regista: un eccesso di potere da parte del Presidente degli Stati Uniti, il cui mandato presidenziale ha assunto caratteristiche dittatoriali innesca la ribellione di alcuni degli Stati Confederati.. Una delle due fazioni è proprio quella filogovernativa, fedele al Presidente, che deve scontrarsi con l’avanzata delle Forze Occidentali, ormai sempre più vicine ad assaltare la Casa BiancaE’ proprio in questo momento cruciale che i protagonisti del film, quattro foto reporter di guerra, costituiscono un team per seguire da vicino l’esito dell’attacco finale, con l’obiettivo di intervistare il Presidente nei suoi ultimi giorni al potere. Civil War recensione

La squadra è costituita da Lee Smith (Krinsten Dunst) una esperta e indurita fotografa di guerra; Joel (Wagner Moura), un ambizioso e temerario fotoreporter, pronto a tutto pur di andare a caccia della notizia che scotta; cui si affiancano  l’anziano ed esperto Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la novellina Jessie (Cailee Spaeney) in cerca di un’esperienza forte che possa forgiarla come fotoreporter.  

Fotografare ad ogni costo

Il loro viaggio attraverso il paese devastato è il tema portante di Civil War. La pellicola è un road movie di guerra, più che un film bellico vero e proprio, in cui i protagonisti non sono armati di fucili, ma di una fotocamera. E’ attraverso il loro sguardo che Garland ci porta a immortale paesaggi popolati da rottami, ruderi, da esseri umani abbrutiti capaci di aberranti atti di violenza compiuti con naturalezza, sciacquati via da ogni moralità… 

L’’accurata fotografia e la scenografia verosimile e ispirata degli scenari bellici danno fin dai primi minuti un’identità visiva potentissima a questo film, che risulta a noi tremendamente vicino.

CIvil war recensione

Ogni tappa del viaggio dei fotoreporter li porta a confrontarsi con equilibri trasmutati dalla guerra civile in corso: si tratta di immagini crude, di atti sadici fini a se stessi,  bizzarrie immaginabili solo in contesti fuori da ogni legge (come la scena del camion con Jessie Plemons) che però attirano i protagonisti come mosche. Nel corso della pellicola lo scopo dei fotoreporter  di denunciare e documentare la realtà si evolve in qualcos’altro, un’attenzione spasmodica per la violenza e per quello scatto fotografico che possa immortalarla a dovere, una pulsione a suo modo mortifera, quasi più importante della vita stessa dei soggetti fotografati: fotografare ad ogni costo.

Una scena di Annientamento

Come in Annientamento, thriller-horror metafisico,  il regista descrive l’attrazione oscura per “ciò che muta”. Lì la protagonista (Natalie Portman) è attratta dalla zona radioattiva che ha mutato il Dna e la personalità di suo marito (Oscar Isaac); in Civil War i fotoreporter sono ammaliati ed esaltati dalla realtà trasfigurata della guerra, in un shooting forsennato, che diventa eccitante come una droga, ma che allo stesso tempo, come tutte le sostanze psicotrope, produce assuefazione alla violenza ritratta.

Immagini, pulsione, violenza, assuefazione 

Qui sta probabilmente il messaggio più potente del film di Garland: farci riflettere criticamente sulla nostra assuefazione alla violenza. Il regista ci provoca immaginando una guerra civile contemporanea in un paese come gli Stati Uniti D’america , lo fa non tanto ponendo l’attenzione sui retroscena politici, quanto concentrandosi  sulla desensibilizazzione progressiva che l’esposizione  violenza può produrre su chi vi assiste. Il discorso non è di tipo emulativo (se guardiamo ripetiamo ciò che vediamo) ma incentrato sull’immagine, su come la fotografia ossessiva di contenuti estremi possa fare perdere il loro sconvolgente significato iniziale. La metafora è pienamente incarcanta dal personaggio di Jessie, una giovane reporter che da novellina, sensibile alla crudezza delle immagini da fotografare, si immerge in una spirale di violenza talmente assurda, al punto da estraniarsi totalmente da questa e perdere ogni senso del limite. Si fonde con la fotocamera, diventando essa stessa un mezzo , e non più una persona.

Civil War recensione

 Ognuno dei fotoreporter intraprende il suo viaggio personale. Lee, la fotografa veterana, ben interpretata da Kirsten Dunst compie un percorso opposto rispetto a quello della più giovane Jessie. Pur nella sua ricca esperienza di guerre e conflitti, riscopre una vulnerabilità alla violenza che credeva perduta. 

Fino a che punto l’esposizione a contenuti forti può saturare questi ultimi e renderci “cacciatori” di immagini dello stesso tipo? Il regista sembra porsi questo interrogativo.  A cosa siamo in grado di abituarci?

È una chiara provocazione registica, anche politica, che di certo rievoca l’assalto a Capitol Hill del 2021 dei seguaci di Trump, quando venne eletto presidente Joe Biden. Immagini sconcertanti, segnali di un vero e proprio attacco alla democrazia, per alcuni un tentativo di colpo di stato. Ma cosa succederebbe se ci abituassimo a scene di questo tipo o anche più forti?

Civil war recensione

Mettendosi dal punto di vista dei fotoreporter Garland assimila i cacciatori di immagini ai guerriglieri veri e propri, come se non ci fosse più distinzione tra chi guarda e chi agisce: una perdita pericolosa del confine. 

Più che un film sulla guerra civile è un film di viaggio sui sentieri generati dal conflitto, raccontando tappa per tappa, il percorso dei fotoreporter. Ne deriva che l’approfondimento sociologico del fenomeno della guerra civile sia per lo più assente, così come si mantenga sul vago la descrizione delle forze in gioco. 

Nella sua struttura di road movie il film è simile in alcune scelte registiche a Perfect day (2015), con protagonisti degli operatori di pace durante la guerra civile nei Balcani. Lì si tratta di una commedia amara, ma è comune il contesto di guerra civile nel quale il team muove i suoi passi, nonché la struttura episodica del road movie.

Una scena di Perfect Day

Per la sua potenza evocativa e l’originalità della prospettiva del racconto Civil War, curatissimo al livello scenico, con attenzione peculiare per la fotografia, la scelta delle inquadrature e la scenografia dei panorami bellici, rimane ben impresso nella mente dello spettatore. Non è escluso che possa essere protagonista agli Oscar 2025.

Un road movie di guerra incetrato sulle immagini e sulla desensibilizzazione che ognuno di noi può provare dinnanzi alla violenza    Voto 8 su 10

Francesco Bellia