DUE GRANDI ARTISTI A FIRENZE
Forse non tutti lo sanno, o spesso non ci si fa caso, ma due delle più grandi menti della Storia erano coetanei: Dante e Giotto. Medioevo, Firenze, cultura e da qui costa poca fatica passare a due simili personaggi. Molti studi hanno cercato di mettere in evidenza la poetica dei due artisti, focalizzandosi in particolar modo sull’umanità dei loro personaggi. La rappresentazione degli uomini e del mondo attraverso un occhio umano e non divino è evidente nelle loro opere: pensiamo alla famosa Cappella degli Scrovegni oppure a un Manfredi del Purgatorio. Tutto insomma richiama ad una realtà espressiva mai vista prima.
Molte sono le convergenze fra i due autori, ma altrettante sono le divergenze. Tuttavia, forse per un po’ di sano “complottismo”, c’è chi ha pensato che i due si conobbero veramente. Sarebbe bello pensare che i nostri due amici si trovassero in qualche taverna fuori Firenze a bere un boccale di birra, oppure facessero parte si un qualche circolo artistico di nicchia. Non ci è dato saperlo: che i due si fossero stretti la mano è dato incerto e molto vago. L’unica cosa certa è che uno conosceva la fama dell’altro. Da cosa lo capiamo?
UN RAPPORTO DI STIMA RECIPROCA
A Giotto è attribuito il più antico ritratto di Dante, conservato nella Cappella del Podestà all’interno del Museo del Bargello di Firenze. Essendo datato come il più antico, si può presupporre che sia anche il più veritiero (il che tradirebbe la diffusa credenza sul famoso “naso aquilino” del poeta, messa in giro da Boccaccio). Quando Giotto affrescò la cappella, negli anni ’30 del XIV secolo, Dante era già morto da una decina di anni. Dante, invece, cita espressamente Giotto nel canto XI del Purgatorio, riconoscendogli il merito di aver superato le capacità del suo maestro Cimabue: “Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura” (Pg., XI, 94-96).
Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, Giotto avrebbe ritratto se stesso accanto a Dante, vestito con un manto dorato. La cappella sarebbe stata realizzata fra il 1303 e il 1305, ancora vivente Dante e, per di più, avrebbe soggiornato presso gli Scaligeri di Verona, praticamente a meno di 100 km da Padova, sede fra l’altro di una famosa università! L’autoritratto sarebbe solo presunto e non ci sono le certezze matematica che sia il volto di Giotto. Figurarsi quindi il ritratto di Dante…
E c’è di più: i due ritratti sono collocati fra le schiere dei beati, contrapposti a quelle dei dannati. Evidentemente, al tempo della realizzazione della cappella, già circolava l’Inferno di Dante (Lucifero, nel Giudizio Universale, che occupa la parete di fondo, è tale e quale alla descrizione alla descrizione del canto XXXIV dell’Inferno).
Tuttavia, altrettanto certo è che a questa altezza cronologica il Paradiso non circolasse, in quanto molto più tardo (la famosa lettera con la dedica a Cangrande Della Scala non è precedente al 1316). Cosa giustificherebbe la presenza del Poeta fra i beati? Il mistero si infittisce…
E’ anche vero che molte città italiane furono visitate da entrambi, come Padova, Bologna o Roma, senza contare che negli anni fiorentini Dante era stato anche un politico importante e di certo Giotto non avrebbe potuto non conoscerlo! Ma dire che due persone abbiano visitato Padova (ut supra) o Bologna o Roma nel Medioevo è come pretendere, oggi, di conoscere un tizio solo per aver visitato il duomo di Milano oppure aver fatto la stessa scuola superiore: allora, quelle città erano sede di prestigiosissime università ed era ovvio che persone del calibro dei nostri due artisti avessero visitato quelle città almeno una volta nella vita!
LA VITA DI SAN FRANCESCO: UN DENOMINATORE COMUNE
Comunque sia, i due non potevano che conoscersi almeno di nome. Ma un particolare ha stimolato la curiosità dei medievisti, dei critici letterari e artistici. Un terzo personaggio italiano accomunerebbe i due artisti: San Francesco d’Assisi, vissuto almeno un secolo prima dei nostri due artisti. E’ il terzo personaggio che completa questa triade perfetta e fu fonte di ispirazione per il famoso circolo di affreschi nella Basilica Superiore di Assisi e per il canto XI del Paradiso (un caso che sia l’undicesimo pure questo? Il dubbio rimane, seppure un po’ forzato).
Il canto XI è elaborato con grande maestria da Dante, attraverso una complessa struttura che si intreccia con quello seguente. In questo canto, San Tommaso d’Aquino, il frate domenicano per eccellenza, tesse le lodi del Santo ricostruendo passo passo la sua vita. Dalla nascita ad Assisi (Ascesi, nel canto), al riconoscimento della regola dell’ordine da parte dei Papi, le stigmate e infine l’umile morte.
Pur con qualche aggiunta e rimaneggiamento, la narrazione della Commedia è del tutto parallela a quella del ciclo degli affreschi. A riguardo, Massimo Cacciari ha scritto un libro, edito Adelphi, nel 2011, intitolato “Doppio ritratto“: qui si evidenziano le differenze fra i due diversi modi di percepire (e tradire) la figura di Francesco dietro alla finzione artistica. Un libro erudito, la cui analisi non depaupera la grandezza e bellezza artistica dei due toscani.
E QUINDI?
E quindi… niente. L’idea che le due più grandi menti del Medioevo artistico-letterario si siano potute incontrare e avessero voluto proporre la loro figura di San Francesco è certamente affascinante. Venire a conoscenza di un’amicizia del genere sarebbe una svolta a dir poco epocale nel panorama culturale del Basso Medioevo. Ma troppe sono le incertezze, troppi sono gli interrogativi: per evitare di forzare le interpretazioni, non si fa mai in tempo a esprimere una propria opinione a riguardo che subito c’è da fare i conti con mille confutazioni.
Una cosa è certa: ciascuno sapeva chi l’altro fosse. Come dire oggi che Stephen King “conosce” Bob Dylan: magari non hanno mai mangiato alla stessa mensa, ma non per questo uno non può conoscere la fama dell’altro!