Tavola Ouija: è davvero possibile comunicare con l’aldilà?

Nel febbraio 1891, i primi annunci pubblicitari cominciarono ad apparire sui giornali con il titolo “Ouija, la meravigliosa tavola parlante” per descriver un dispositivo magico in grado di rispondere alle domande “sul passato, presente e futuro con mirabile precisione”. Un collegamento “tra il noto e l’ignoto, il materiale e l’immateriale” al prezzo di $1,50.

Questa misteriosa tavola parlante è una tavola piana con le lettere dell’alfabeto disposte in due semicerchi sopra ai numeri da 0 a 9, le parole “” e “no” negli angoli più alti e la parola “arrivederci” nella parte inferiore; accompagnata da un cursore a forma di goccia, utilizzato per spostarsi da una parte all’altra della tavola. L’idea è che due o più persone si siedano intorno alla tavola Ouija, con le punte delle dita sul cursore, e che pongano delle domande alle quali la tavola sarebbe in grado di rispondere facendo spostare il cursore tra le lettere, tale da formare una frase.

Tramite le lettere e i numeri incisi sulla tavola Ouija gli spiriti invocati potrebbero comunicare con il mondo terreno.

Come questo possa accadere non è il solo mistero che accompagna la tavola Ouija in quanto la sua vera storia è rimasta all’oscuro per molto tempo, fino a quando nel 1992 lo storico Robert Murch decise di tracciare le origini di tale invenzione. La tavola Ouija nasce dall’ossessione per lo spiritismo e dalla convinzione che i morti siano in grado di comunicare con i vivi, che nel 19° secolo dilagava in Europa e che stava approdando anche in America. Diffondere tali credenze mistiche era semplice in un’epoca in cui  la vita media era inferiore ai 50 anni, le donne non sopravvivevano al parto, i bambini erano affetti da malattie non curabili sin dalla tenera età, e gli uomini morivano in guerra. Persone disperate di connettersi con i propri cari erano pronte a sperimentare ogni forma di misticismo pur di parlare ancora una volta con chi non abitava più il mondo terreno.

Su questo forte desiderio la Novelty Company Kennard, nata dall’intuizione di Charles Kennard di Baltimora, fondò la propria fortuna costruendo la prima tavola parlante. Nel 1890, il Signor Kennard mise insieme un gruppo di altri quattro investitori, tra cui Elijah Bond, un avvocato locale, e il colonnello Washington Bowie, un geometra per avviare un vero e proprio business. Nessuno degli uomini era spiritualista, ma tutti erano uomini d’affari e avevano identificato una nicchia di successo.

Alla nuova tavola parlante però mancava ancora il nome. Contrariamente alla credenza popolare, “Ouija” non è una combinazione del francese “oui” e il tedesco “ja” che traducono entrambe la parola “sì”. Secondo le ricerche svolte da Murch, sarebbe stata Helen Peters, cognata del Signor Bond a fornire il nome che oggi tutti conosciamo. Seduti intorno al tavolo, gli inventori avrebbero chiesto direttamente alla tavola come avrebbero dovuto chiamarla e le lettere che si susseguivano una dopo l’altra sulla tavola avrebbero suggerito il nome “Ouija” che secondo la tavola significava “Buona fortuna”. Nelle lettere scritte dai fondatori di Ouija emergono altri dettagli secondo cui Helen quel giorno indossava un medaglione che ritraeva una famosa attivista per i diritti delle donne, il cui nome era Ouida, e che Ouija potrebbe essere un fraintendimento di questo nome.

La tavola Ouija divenne presto famosa tra tutti le classi sociali, tra persone di ogni età ed educazione e veniva considerata sia come oracolo mistico che come intrattenimento per la famiglia. “La gente vuole credere. Il bisogno di credere che ci sia qualcosa aldilà è molto forte“ afferma Murch e la tavola era l’oggetto che permetteva di esprimere questa convinzione.

Gli anni che seguirono segnarono la massima popolarità della tavola Ouija quando le devastazioni delle guerre mondiali, la Grande Depressione, la guerra in Vietnam, spinsero la gente a cercare risposte ovunque, anche in oracoli casalinghi, a pochi dollari.

La tavola Ouija era ormai diventata protagonista di numerose storie di giornale, dal caso dell’omicidio di un giocatore d’azzardo di New York risolto grazie agli indizi forniti dalla tavola, all’episodio di una donna che all’ospedale psichiatrico di Chicago cercò di spiegare ai medici che non era affetta da mania, ma che gli spiriti Ouija le avevano detto di lasciare il cadavere di sua madre in salotto per 15 giorni prima di seppellirla nel cortile di casa.

La tavola Ouija ha anche offerto ispirazione letteraria a molti scrittori e direttori cinematografici. Eclatante è stato il caso del L’esorcista, il film basato sulla storia della dodicenne Regan, che era posseduta da un demone dopo aver giocato con la tavola Ouija. Il terrore che il film innescò nel pubblico cambiò il modo in cui la tavola veniva percepita. Da un giorno all’altro, Ouija diventò uno strumento del diavolo: uno strumento in grado di aprire la porta a spiriti maligni

Ma la vera domanda, quella che tutti vogliono sapere, è: come funziona la tavola Ouija? E’ davvero alimentata da spiriti o demoni?

Secondo gli scienziati non sono gli spiriti invocati a fornire le risposte alle domande poste, bensì sono le persone stesse che inconsciamente indicano le lettere sulla tavola a comporre vere e proprie frasi. La Tavola Ouija si basa su un principio noto a coloro che studiano la mente da più di 160 anni: l’effetto ideomotorio o effetto Carpenter, dal nome del medico e fisiologo William Benjamin Carpenter, che per primo studiò questi movimenti muscolari automatici che si svolgono senza la volontà cosciente dell’individuo (si pensi a piangere in reazione a un film triste, per esempio). Quasi immediatamente, altri ricercatori hanno visto applicazioni dell’effetto Carpenter durante l’utilizzo della tavola Ouija o in sedute spiritiche simili.

Il medico William Benjamin Carpenter fu il primo a definire il fenomeno scientifico che si cela dietro ai movimenti inconsci esercitati sulla tavola Ouija

L’effetto è particolarmente suggestivo in quanto, come spiega il dottor Chris French, professore di psicologia e psicologia anomalistico al Goldsmiths, University of London “è in grado di generare l’impressione che il movimento sia causato da qualche agente esterno, anche se non lo è”, impressione che diventa reale se si ha la suggestione che la tavola sia magica.

Ma l’aspetto davvero suggestivo di tale scoperta è che pur non essendo in grado di darci risposte dall’aldilà, Ouija potrebbe rivelarsi un ottimo modo per esaminare come la mente elabora informazioni su diversi livelli. L’idea che la mente abbia più livelli di elaborazione dell’informazione non è affatto nuovo e termini come cosciente, incosciente, subcosciente e pre-cosciente sono ormai di uso comune.  Di fronte alla tavola parlante la mente inconscia fornirebbe risposte a questioni che pensavamo di non sapere e Ouija aiuterebbe semplicemente ad esternarle fornendo lettere, numeri e brevi risposte, che noi scegliamo mediante una successione di movimenti involontari.

La tavola Ouija potrebbe essere uno strumento molto utile nelle indagini sui processi di pensiero non cosciente o per analizzare questioni come la capacità della mente di memorizzare, ricordare, imparare. Questo aprirebbe altri percorsi di esplorazione potenzialmente utili nello studio di malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer.

Sembrerebbe quindi che gli annunci pubblicitari di più di un secolo fa non fossero del tutto menzogneri: la tavola offrirebbe davvero un collegamento tra il noto e l’ignoto, ma non l’ignoto che tutti volevano credere che fosse.

Stefano Zampieri