Per un figlio: al via gli incontri di cinema d’autore di Artemadia a Milano

Con la proiezione di Per un figlio del regista Suranga D. Katugampala di giorno 28 novembre ha avuto inizio la rassegna cinematografica Cinemadia Immagini dietro lo specchio, una serie di incontri cinematografici  promossi dall’associazione Artemadia.

Si tratta di una associazione culturale di nuova formazione a Milano: un collettivo dedicato all’organizzazione ed alla promozione di eventi artistici nella cornice verde del Giardino della Madia, in via Pimentel 5.

Il fine di Artemadia è quello di creare un luogo di reale condivisione e fruizione dell’arte, come ribadito dagli organizzatori in apertura dell’incontro.

 

Il confronto effettivamente c’è stato. Tramite la moderazione dello sceneggiatore Emanuele Milasi, curatore degli eventi cinematografici di Artemadia, infatti, il pubblico ha potuto dialogare con il regista Suranga D. Katugampala, presente in sala.

Per un figlio è una pellicola d’autore, un film indipendente di genere drammatico: un’opera prima in coproduzione tra Italia e Sri Lanka che nel 2016 ha ricevuto una menzione speciale al Festival del cinema di Pesaro.

Il film ha come tema principale quello del rapporto tra madre e figlio, che viene trattato con intelligenza dal regista italo cingalese Suranga D. Katugampala, il quale gioca in sottrazione, sfrutta il silenzio, piuttosto che i dialoghi e punta il suo sguardo registico sull’essenzialità e sulla claustrofobia degli ambienti, in una rappresentazione del quotidiano che descrive una situazione di stallo non lontana dal poter essere definita come un’angosciante prigione per i protagonisti; come una quotidianità ripetitiva in cui è stata smarrita l’essenzialità del contatto umano, anche quello che si direbbe basilare, nel rapporto tra un genitore e il figlio.

La storia raccontata è quella di Sunita (interpretata dall’attrice cingalese Kaushalya Fernando), una donna originaria dello Sri Lanka, che, trasferitasi inel nord Italia, svolge il lavoro di badante, accudendo una signora anziana (Nella Pozzerle).

Sunita vive col figlio in una casa molto piccola e angusta ed è costretta a spostarsi continuamente da casa sua a quella della donna da lei accudita. E’ in questi spostamenti che consiste la sua vita: il regista Suranga D. Katugampala riesce bene a descrivere questa routine, in scene funzionali alla narrazione filmica. Lo fa con grande verosimiglianza, facendo immedesimare con tono asciutto e affatto edulcorato lo spettatore nelle sensazioni giornaliere che la  protagonista prova nello svolgere i suoi compiti tra fatica, noia e una solitudine immersa nel silenzio.

Ciò che emerge da questa descrizione è, soprattutto, il ritratto di una donna che risulta non padrona del suo tempo né dei suoi spazi: il primo è pressoché assorbito dall’accudimento dell’anziana; i secondi non le appartengono davvero, perché, di fatto, nessuna stanza è interamente sua, né quando è da sola; né quando è in presenza di qualcun altro, sia questi il figlio o l’anziana da accudire, visto che l’interazione che ha con il prossimo è quasi inesistente e avviene in non luoghi percepiti non come una casa o una dimora, ma come ambienti alienanti e asettici.

Il figlio adolescente di Sunita non le rivolge quasi mai la parola parola ed è anche lui impegnato nella ripetizione di abitudini, per lo più vacue, prive di reale divertimento, anche quando svolte insieme ad amici, e cariche più che altro di un ozio rabbioso, figlio della necessità di avere di più, di essere di più e dalla difficoltà adolescenziale dell’incontro con l’altro sesso.

A parere di chi scrive l’elemento più originale di Per un figlio è l’accostamento tra la figura della madre badante (Sunita) e quella della “madre accudita“, l’anziana signora di cui Sunita si prende cura: le due sono incredibilmente simili nella loro solitudine e nel loro essere distanti e non riconosciute dai propri figli. Anche l’anziana, infatti, è del tutto ignorata dal figlio che evita di vederla e la va a trovare quando lei dorme o non è in grado di parlare con lui.

Emblematica in tal senso la scena in cui è la protagonista a  sedersi esausta sulla carrozzina con una immedesimazione non solo data dal racconto ma resa anche visimamente.

In questo parallelismo si colloca poi un confronto-scontro silenzioso tra madre e figlio che colpisce perché narrato con grande verosimiglianza, senza le crisi isteriche spesso recitate con troppa enfasi (a volte anche con poca professionalità attoriale) le quali sono ampiamente presenti nel nostro cinema.

Facendo leva sul silenzioso dolore di queste madri, in qualche modo abbandonate e trascurate dai figli, soprattutto non comprese nel loro sacrificio, il regista racconta anche tra le righe la differenza tra generazioni di emigrati cingalesi: la prima, quella di Sunnita, per la quale anche una casa e un tetto proprio sotto cui stare rappresentano una sudata conquista e la seconda generazione, quella del figlio, che in qualche modo non ha vissuto il processo di emigrazione, ma ha goduto dei suoi effetti, positivamente nel vivere una vita più agiata, ma anche negativamente, nella necessità di integrarsi non senza incontrare ostacoli e incomprensioni.

Come ribadito dal regista quella di Per un figlio è una storia singola, che di certo non va sfruttata ingenuamente come “un vetrino” per leggere tutte le altre storie di immigrazione: ne risulterebbe una banalizzazione.

Tuttavia nella verosimiglianza del racconto la vicenda racconta dei fenomeni che possono rievocare nella mente degli spettatori situazioni analoghe conosciute più o meno direttamente.

Lo stesso regista ha spiegato che l’ispirazione della storia è venuta dal vissuto di persone da lui conosciute, dai racconti di situazioni reali, riplasmate nella finzione cinematografica. Tra l’altro Suranga D. Katugampala ha anche descritto come è avvenuta la realizzazione del film: una vera e propria condivisione, anche abitativa, tra attori, registi e autori. Agli interpreti è stato dato un canovaccio al quale  aggiungere ciascuno il proprio apporto fondamentale per arricchire ancora di più la narrazione e renderla il più verosimile possibile, caratteristica che come ribadito più volte è un pregio indiscusso del film.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Francesco Bellia