Padre Dante: cosa ci ha insegnato il Sommo Poeta

Una storia che dura 700 anni quella di Dante Alighieri. Padre Dante, insomma: prima di Cavour e di Manzoni, c’è stato lui. Dante, il padre della lingua e della letteratura italiana, un’etichetta certamente riduttiva per l’importanza di questo personaggio non solo nella cultura italiana ma anche nella cultura europea. Dante ha contribuito alla creazione di un pensiero comune, unitario, a uno spirito patriottico, in un epoca in cui le lotte fra i partiti erano all’ordine del giorno. Insomma: farebbe molto comodo oggi…

Ma andiamo con ordine. Dall’anno scorso, il 25 marzo è il Dantedì, il giorno di Padre Dante. Il 25 marzo è una delle possibili date in cui Dante avrebbe iniziato il suo viaggio nell’oltretomba accompagnato da Virgilio, Beatrice e San Bernardo. Universitari, studenti e associazioni culturali si prodigano a realizzare le più disparate attività per commemorare Dante Alighieri. Quest’anno, un anno ancora segnato dalla pandemia, il Dantedì è un giorno ancora più speciale perché cade nel 700° anniversario dalla morte del Sommo Poeta.

Ma cosa ci ha insegnato Padre Dante in tutti questi anni? Cosa c’è ancora di lui in quello che leggiamo, in quello che facciamo e in quello che diciamo?

UNA VITA MOVIMENTATA E IL LAVORO DI UNA VITA

Dante nasce nel 1265 (se volete un approfondimento sulla sua vita cliccate qui) sotto il segno dei gemelli a Firenze, che è costretto a lasciare nel 1302 quando viene decretato ufficialmente l’esilio della sua fazione politica: i guelfi bianchi.

Si può dire che gran parte delle sue opere risalgono agli anni dell’esilio, salvo la “Vita nuova” e le rime giovanili. Durante le sue peregrinazioni in Italia, Dante trova asilo a Ravenna, a Verona e in Lunigiana presso i signori locali.

Il progetto della Commedia e delle opere della maturità nasce qui, nelle corti, luoghi in cui Dante percepisce le diversità e le somiglianze della penisola frantumata politicamente, linguisticamente e culturalmente.

Se pensiamo alla leggenda secondo la quale gli ultimi canti del Paradiso sarebbero stati ritrovati dai figli dopo l’apparizione in sogno del padre, desta un po’ di raccapriccio sapere che avremmo potuto avere la Commedia incompleta.

PARTIAMO DA QUI: LA COMMEDIA

La “Divina Commedia” non è solo un testo scolastico. Siamo sempre abituati a pensare a questi grandi autori come all’incubo dell’interrogazione di italiano: chi non ha iniziato l’interrogazione di italiano con “Dante è il padre della lingua italiana”? Una formula, come abbiamo già accennato, trita e ritrita a cui non crede più nessuno. In che senso quindi “Padre Dante”?

È indubbio il ruolo importante che Dante ha avuto per la lingua italiana, ma tutti si dimenticano che Dante è entrato prepotentemente nella nostra memoria scolastica soltanto recentemente. Certo: anche in passato nessuno metteva in dubbio la grandezza del Sommo (non a caso, è lui il Sommo per eccellenza…). Ma a partire dal 1500 e almeno fino al Romanticismo il modello della poesia era Francesco Petrarca. Fu merito di un altro Francesco, il De Sanctis, che Dante venne riportato in auge come poeta nazionale. Grazie al Romanticismo, oggi le antologie delle scuole inseriscono Paolo e Francesca, Ugolino e Farinata, forse i tre personaggi più famosi di tutto l’inferno. Non parliamo del canto di Ulisse, reso immortale dal famoso capitolo di “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

La “Divina Commedia” è stata per anni, e soprattutto l’inferno, un serbatoio di ispirazione per gli autori contemporanei. Molti poeti, pittori e cantautori non hanno potuto che confrontarsi con il Sommo Poeta. Pensiamo a tre canzoni moderne, una per cantica: Caparezza si è ispirato al canto VIII dell’inferno per la canzone “Argenti vive“, Gianna Nannini si è ispirata al canto V del Purgatorio per un inno contro la violenza sulle donne con “Dolente Pia” (qui nella versione di Sanremo 2007), Angelo Branduardi ha musicato alcune terzine del canto XI del Paradiso (appunto in Divina Commedia, Paradiso, Canto XI) nella raccolta “L’infinitamente piccolo” dedicata a Francesco d’Assisi.

Un caso, un caso famosissimo per capire quanto Dante sia entrato nell’immaginario collettivo. Il conte Ugolino è per tutti quello che ha mangiato i figli e spesso noi lo associamo al peccato di cannibalismo più che al tradimento della sua città Pisa. Per molti, il famoso verso “Poscia più che il dolor poté il digiuno” significa proprio che il conte dovette nutrirsi della carne dei suoi figli (fra l’altro: figli e nipoti, ma qui è Dante ad ingannarci) per sopravvivere negli ultimi attimi di vita, rinchiuso nella maledetta torre.

Ma facciamo un altro esempio: quanti di voi sanno cosa vuol dire “Amor che a nullo amato amar perdona“? Una frase, diciamolo pure, che molti reputano da Bacio Perugina. Persino Jovanotti l’ha inserita nella sua “Serenata Rap“. “Amore che non viene amato da nessuno, l’amare stesso perdona”: il sentimento amoroso, insomma, non risparmia nessuno, neanche il sentimento non corrisposto.

Un ultimo esempio. “Essere senza infamia e senza lode” è un conio dantesco, come “non ragionar di loro ma guarda e passa”, in tutte le storpiature possibili e immaginabili. Dante si riferisce agli ignavi dell’antinferno, ovvero a coloro che non sono riusciti a prendere una decisione. Per tale ragione, designa persone inutili, che non riescono a prendere una posizione decisiva.

COS’ALTRO CI INSEGNA “PADRE DANTE”?

Dante ci ha insegnato molto altro, senza che noi ce ne accorgiamo. Dante non è solo “Commedia” ovviamente: Dante ha scritto anche in latino ed è proprio in latino che stende il trattato sull’eloquenza della lingua volgare. Un paradosso, si potrebbe pensare: eppure è l’inizio della riflessione linguistica sulla nostra lingua.

Bisogna fare però le dovute distinzioni: la lingua di Dante, checché ne possano dire i fanatici, non è la nostra lingua. Per questo, bisogna dare forse più merito a Manzoni, ma non entriamo nei cavilli: oggi è la giornata di Dante. Eppure, nonostante non sia la nostra lingua, salvo qualche artificio retorico, noi Dante riusciamo ancora a leggerlo senza difficoltà.

Evidentemente, Dante piace. Dante è originale. Dante fornisce materia da cui trarre ispirazione.

E c’è di più: noi siamo soliti associare Dante all’Inferno della Commedia, riducendo notevolmente l’importanza delle altre due cantiche, su cui pesa un pregiudizio dettato dalla fortuna della prima. Il Purgatorio non lo conosce nessuno e il Paradiso sono solo Madonne: niente di più falso. Non si può né leggere né conoscere tutto a scuola, questo è certo, ma ridurre così l’importanza è un vero spreco… Pensiamo alla bellissima preghiera alla Vergine del canto XXXIII del Paradiso. Non possiamo non consigliarvi l’ascolto della lettura di uno dei migliori interpreti della Commedia, Vittorio Gassman (basta cliccare qui). “Siamo di fronte al mistero”: Gassman ha già detto tutto con queste cinque parole.

Dante è questo: mistero. E come ogni mistero, spetta a noi scoprirlo. E la scoperta lascerà in bocca un dolce sapore di soddisfazione. Infondo ognuno di noi deve considerare la propria natura perché non siamo fatti per vivere come delle bestie, ma per seguire virtù e conoscenza. Si: siamo tutti come Ulisse, l’Ulisse di Dante, che come il canto delle sirene ci attrae a qualcosa di pericoloso, di difficile, di ineffabile.

Ma alla fine, ne sarà valsa la pena…