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Le donne spendono più degli uomini, anche se non vogliono

Le donne devono spendere più degli uomini. No, non ci riferiamo allo shopping compulsivo che ci prende quando compriamo quei completini intimi che non metteremo mai  e nemmeno all’acquisto dell’ennesimo paio di jeans strappato uguale agli altri tredici che abbiamo già in armadio.

Stiamo parlando di due macro problematiche rosa: la prima è che le donne hanno necessità di acquistare prodotti di cui un uomo può fare a meno. Dall’alba dei tempi, la donna deve fare del suo meglio per ”piacere” e per questo è maggiormente predisposta a spendere per raggiungere questo obiettivo. Stiamo parlando ad esempio del make up per essere sempre in ordine in ufficio, del balsamo per rendere i capelli profumati e sensuali, delle strisce depilatorie per eliminare la peluria e delle creme viso ”ringiovanenti” anti- rughe.

Non è che un uomo non debba comprare prodotti di bellezza, ma per un uomo è più che altro una moda, una scelta. Per l’80% degli uomini vale invece la regola (sacra) per cui se possiede uno di quei bagnodoccia ”for men”, si laverà capelli, corpo, parti intime, il cane, la macchina e se avanza lo versa anche nel secchio per lavare il pavimento.

Le donne solo per uscire alla mattina per andare al lavoro, si stima che utilizzi almeno quindici prodotti ”beauty” tra trucchi, deodoranti, profumi, crema viso, crema mani, piastra per capelli e tutto ciò che ne concerne.

Ma non è tutta colpa nostra.

Se l’uomo che non si depila, può vantare la sua mascolinità risparmiando denaro e dolore, una donna che non si depila o è vagamente hippy o ha degli evidenti problemi mentali. Le più econome si devono attrezzare in casa con un kit ”fai da te”, le più fortunate pagano fior di quattrini per l’estetista. La spesa media mensile per la depilazione femminile va dai 15 ai 60 euro.

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Se una donna, per essere perlomeno “in ordine”, va dal parrucchiere all’incirca ogni 3 mesi, anche solo per la famosa “spuntatina” si ritroverà a spendere dai 4o ai 60 euro per una piega che non ha domandato, per una crema per le doppie punte che non ha richiesto, per un massaggio alla cute che non aveva previsto ma che gradisce molto. Risultato? Pressoché uguale a prima, ma con il portafoglio più vuoto e le punte dei capelli più piene (ma tanto lo saprai solo tu perché lui non se ne accorgerà mai).

Se un uomo va dal parrucchiere, raramente spenderà più di 20 euro, e stenterà a riconoscerlo persino sua madre.

Veniamo al secondo fattore, assolutamente oggettivo: tutti abbiamo sentito parlare di quella che in Italia è conosciuta come Tassa Rosa e che nel resto del mondo la chiamano Pink Tax o gender pricing: ovunque denota la tassa che costringe le donne a pagare più degli uomini per l’acquisto di beni o servizi, alla luce di una retribuzione inferiore nel lavoro.

Se la tanto millantata parità dei sessi resta ancora un’illusione, si aggiunge allo scoraggiante panorama che compone la quotidianità una tassa subdola, mascherata dietro una costruita e assodata strategia di marketing che è diventata tanto scontata che si fatica a percepirne il reale peso economico e socio-culturale.

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L’america, sempre un passo avanti, ci riporta alla realtà con dati inconfutabili: il Department of Consumers Affairs di New York nel  2015 ha pubblicato lo studio From Cradle to Cane: The Cost of Being a Female Consumer.

Analizzando 800 beni di largo consumo, in versione sia maschile che femminile, è emerso che questi ultimi costano mediamente il 7% in più rispetto al loro equivalente per il sesso opposto, arrivando a toccare il 13% per i prodotti per la cura e l’igiene personale.

Di base, tutto ciò che è connotato dal colore rosa o da un packaging femminile, costa di più rispetto alla confezione blu. Dai rasoi per la depilazione ai deodoranti, dagli shampi ai bagnoschiuma: secondo una ricerca del 2016 svolta in Inghilterra studiando i prodotti di grandi magazzini come Tesco o Mark&Spencer, il Times ha fatto emergere dei dati che fanno riflettere. Basta solo che questi prodotti abbiano una confezione “femminile” per costare fino al  il doppio rispetto alla versione “maschile”. Ad esempio, Tesco vende le canottiere bianche di cotone per lei a 6 sterline l’una, lui invece se ne porta a casa ben tre a 12,50.  Persino le famose penne Bic “per lei” costano 2,99 sterline, contro alle classiche Bic da 1,99 sterline.

Ma la maledizione del rosa comincia fin da appena nate;  le comparazioni dei prezzi di due monopattini è più eloquente di molte parole. Quello rosa corre più veloce? Ha le rotelle più resistenti? Profuma di rose appena sbocciate? No. E’ solo per bambine.

Ed ora veniamo all’Italia: la situazione di casa nostra tocca il fondo con l’annosa questione relativa agli assorbenti igienici femminili.

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Gli assorbenti sono considerati dal fisco italiano un bene di lusso tassati con iva al 22% a differenza dei rasoi da barba, che invece costituiscono un bene di prima necessità, dunque tassati con  un’iva ridotta del 4%, come i prodotti alimentari pari al pane e il latte.

Era gennaio 2016 quando il leader di Possibile Pippo Civati depositò in Parlamento una proposta di legge per la riduzione dell’aliquota sugli assorbenti igienici al 4%. Mentre in molti  Paesi la questione della Tampon Tax è stata affrontata e risolta, nel nostro paese non si è mai discussa la questione, anzi, generò ilarità e derisone nel mondo del web e anche tra i politici. Così, mentre in paesi europei come Francia, Paesi Bassi e Spagna l’iva è stata ridotta fino al 5,5% e in Irlanda e in Canada è stata del tutto abolita, oggi nel nostro Paese, una donna spende ogni mese un minimo di 4 euro per una confezione di assorbenti per circa quarant’anni.

Da domani, possiamo sentirci tutte autorizzate a comprare rasoi maschili nella confezione gialla dividendoli con il nostro partner o a farci offrire il gelato: in fondo loro non hanno bisogno ne di assorbenti ne del deodorante al profumo di rosa selvatica, giusto?

Lucrezia Vardanega