Umberto Eco viene definito su Wikipedia un semiologo, filosofo, scrittore, traduttore, accademico, bibliofilo e medievalista italiano. Un uomo di cultura che non ha bisogno di ulteriori presentazioni, scrittore di libri che hanno fatto la storia e il cui pensiero politico e filosofico ha dato vita a una vera e propria scuola di pensiero. La stessa pagina di Wikipedia a lui dedicata è stata corretta da Umberto Eco in persona, quando si accorse che la pagina di consultazione on line lo definì (erroneamente) sposato con la figlia del suo editore. Tutto questo lo sappiamo perché nel 2009 Umberto Eco pubblicò su La Bustina di Minerva un pezzo dedicato proprio all’affidabilità delle fonti su Wikipedia, intitolato ”Ho sposato Wikipedia?”.
La Bustina di Minerva: Umberto Eco per l’Espresso
La Bustina di Minerva era una rubrica curata da Umberto Eco per l’Espresso. La rubrica veniva pubblicata sull’ultima pagina del giornale negli anni che vanno dal 1985 al 2016. L’ultimo pezzo pubblicato risale proprio a pochi giorni prima della scomparsa dello scrittore, avvenuta il 19 febbraio 2016.
La rubrica culturale, trattata con il tono satirico e ironico tipico di Umberto Eco, trattava di argomenti diversissimi tra loro. Ciò che accomunava i pezzi era lo scopo: un invito alla riflessione sull’attualità, sulla storia, sul futuro e sul modo di stare al mondo, anche attraverso piccoli racconti e storielle allegoriche.
Il titolo della rubrica vuole sottolineare la natura effimera, schietta, immediata e irriverente degli scritti; infatti la bustina di Minerva si riferisce alla nota bustina di fiammiferi dove spesso di prendevano appunti, si fermavano idee o ispirazioni del momento. La casa editrice Bompiani nel 1999 pubblicò una raccolta dei migliori scritti dell’autore tratti proprio dall’omonima rubrica.
Le 40 regole per scrivere bene secondo Umberto Eco
In una di queste bustine Umberto Eco stillò un elenco puntato diventato famosissimo su come scrivere bene in italiano: una raccolta irriverente di ben 40 regole sul buon costume dell’italiano scritto, trattando l’argomento con l’ironia che lo contraddistinse in tutta la sua vita. Nell’introduzione, disse esplicitamente di aver trovato questa lista su Google e che se ne appropriò facendole sue, per essere utile a coloro che stanno studiando letteratura. Oggi sappiamo che le regole da cui l’autore aveva preso spunto per la sua rubrica furono inventate dal giornalista William Safire del New York Times, nella sua rubrica “On Language”.
Ora non vi resta che mettervi comodi e prendere appunti (se ci riuscite!)
Le 40 regole per scrivere bene
Ho trovato in internet una serie di istruzioni su come scrivere bene.
Le faccio mie, con qualche variazione, perché penso che possano essere utili a molti, specie a coloro che frequentano le scuole di scrittura.
- Le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
- Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
- Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
- Esprimiti siccome ti nutri.
- Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
- Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
- Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
- Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
- Non generalizzare mai.
- Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
- Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
- I paragoni sono come le frasi fatte.
- Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
- Solo gli stronzi usano parole volgari.
- Sii sempre più o meno specifico.
- L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
- Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
- Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
- Metti, le virgole, al posto giusto.
- Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
- Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
- Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
- C’è davvero bisogno di domande retoriche?
- Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
- Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
- Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
- Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
- Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
- Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
- Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
- All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
- Cura puntiliosamente l’ortograffia.
- Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
- Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve.
- Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
- Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
- Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
- Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
- Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
- Una frase compiuta deve avere.