Intervista a Emanuele di Marino e Arjola Dedaj, una coppia d’oro

La cecità, una malformazione muscolare e l’atletica leggera. In un primo momento le tre cose mal si incastrano ma in realtà non è così. Lo sanno bene Emanuele di Marino e Arjola Dedaj campioni paralimpici e compagni nella vita, denominati “la coppia dei sogni”.

Emanuele, classe 1989 e salentino d’origine, nasce con una malformazione congenita che prende il nome di piede torto di III grado con malformazione ossea che gli impedisce un corretto funzionamento degli arti inferiori. Ai Mondiali 2017 di Londra vince un Bronzo nei 400m e un argento nella staffetta 4X100m. Attualmente detiene il record italiano indoor nei 60mt, insieme alla compagna.

Arjola, ha avuto una vita molto diversa da quella di Emanuele, ma questo non ha impedito ad entrambi di diventare uno il sostegno dell’altro.

Nata in Albania, ha sempre praticato varie attività sportive, dalla danza caraibica al softball, sua prima specialità appena giunta in Italia. Dopo averle diagnosticato, a soli tre anni, una retinite pigmentosa, la sua vista è peggiorato di un anno in anno fino a portarla alla cecità.

Ai Mondiali 2017 di Londra vince un oro nel Salto in Lungo, ricevendo così il Collare d’oro al merito sportivo dal CONI.

Li abbiamo intervistati entrambi per farci raccontare i loro traguardi e i loro sogni.

Di cosa si tratta nello specifico il progetto “La coppia dei sogni”?

Arjola: Eravamo già una coppia con la passione dello sport, unita dalla forza dell’amore l’uno per l’altro e per l’atletica, quando con l’obiettivo comune di Rio nel 2016 è nata la Coppia dei Sogni che ha coronato appunto il nostro sogno. Da allora siamo andati avanti e grazie al supporto reciproco abbiamo messo a segno il primo traguardo. Adesso il progetto ci accompagnerà fino a Tokyo con l’ulteriore obiettivo di far conoscere la disabilità parlando nelle scuole e diffondendo il messaggio che la diversità consiste solo nelle nostre caratteristiche ma non dobbiamo dimenticare che siamo tutti uguali. Il nostro motto è che “tutto è possibile, basta crederci. Non bisogna arrendersi ma lottare per i propri sogni”. Ci piace portare in giro la nostra esperienza e la nostra testimonianza così da divulgare un messaggio positivo e ispirare gli altri a realizzare i propri obiettivi, qualsiasi essi siano, anche non sportivi o legati alla disabilità.

Emanuele:  Il progetto è nato in occasione di Rio 2016 con l’obiettivo di partecipare insieme alla nostra prima paralimpiade che è il traguardo più grande di ogni atleta. Ci siamo riusciti anche se con molta fatica perché i posti sono pochi e la competitività è molto alta. La Coppia dei Sogni oltre al valore sportivo ha anche un valore sociale ossia far conoscere lo sport paralimpico nelle scuole e nelle aziende quindi sensibilizzare sul tema della disabilità in modo da farci conoscere ad un pubblico sempre più ampio.

Quando avete iniziato con l’atletica?

A: Mi sono avvicinata all’atletica nel 2012. Nel 2001 facevo danza, nel 2005 invece ho conosciuto il baseball per non vedenti fino a quando non mi hanno proposto di provare a fare atletica.
Si trattava di una sfida difficile, come d’altronde è tuttora con le guide, ma l’ho raccolta e mi sono innamorata di questo sport! Ho esplorato la corsa per capire quale fosse la specialità più adatta a me e in quell’occasione il mio allenatore scoprì che la velocità e il salto in lungo sono le discipline migliori per le mie caratteristiche fisiche. Sono sempre stata una persona competitiva, non ho mai praticato sport solo per benessere, anche perché quando decidi di fare agonismo il benessere fisico diventa anche soddisfazione personale. Ciononostante mi sento viva quando pratico sport in generale e atletica in particolare. In tutto questo ho deciso di non abbandonare la danza e il baseball che ho continuato a praticare in contemporanea. Solo nel 2016 in occasione di Rio mi sono dedicata principalmente all’atletica anche perché queste discipline sono antagoniste fra loro!

E: Ho iniziato a fare atletica da piccolo intorno ai 17 anni. Mi sono innamorato di questo sport accompagnando mio fratello Stefano al campo per convincerlo a smettere di fumare. Vedendo gli altri allenarsi però è scattato qualcosa e nonostante mi fu stato detto che fosse molto difficile che io potessi correre, sono tornato a casa e ne ho subito parlato ai mei, il loro appoggio per me è stato decisivo nella scelta di intraprendere questo percorso. All’inizio cadevo spesso, non riuscivo a correre e neanche a fare gli esercizi più semplici, ecco perché posso dire che la strada è stata piena di ostacoli e pregiudizi da parte di chi mi consigliava di cambiare sport ma per me è stato solo uno stimolo a fare meglio.

Lo sport vi ha fatto incontrare e unire. In che occasione vi siete conosciuti?

A: È stata l’atleta a farmi conoscere Emanuele, è stata il nostro cupido! È avvenuto durante la nostra prima competizione a livello nazionale, il Campionato indoor del 2013 ad Ancona, complice anche la società sportiva che era la stessa sia per lui che per me. Al termine delle prime gare della mattinata a bordo campo dopo due chiacchiere mi ha offerto il cioccolatino galeotto e da lì è nato tutto. Mi ha colpito da subito la sua dolcezza anche se c’è voluta un’altra competizione, a Grosseto, per avvicinarci davvero, da lì il primo bacio ed il resto è storia!

E: È stato lo sport a farmi conoscere Arjola in occasione dei campionati indoor di Ancona nel 2013. Eravamo nella stessa società civile e – come avrà già detto Arj – le ho offerto quel famoso cioccolatino. Da lì poi ci siamo incontrati di nuovo al Gran Prix di Grosseto nello stesso anno.

Come si pone l’opinione pubblica nei confronti degli sport paralimpici? Avete riscontrato qualche forma di discriminazione?

A: Il mondo paralimpico è in evoluzione anche se c’è ancora molta disparità rispetto allo sport normodotato, per questo motivo è tuttora visto un gradino sotto. Purtroppo a differenza di altri paesi, in Italia chi ci guarda da fuori non ci vede come atleti ma come persone con disabilità che apparentemente si dedicano allo sport per occupare il tempo. Il messaggio che vorrei che passasse invece è che ci dedichiamo allo sport per passione e siamo identici a qualsiasi atleta. I sacrifici in termini di tempo e dedizione sono gli stessi di un normodotato e per questo vorremmo essere valorizzati allo stesso modo. Molti di noi, ad esempio, non sono remunerati, anche se molte aziende hanno iniziato ad investire sulla nostra categoria; vorremmo che ci fosse più fiducia e più coraggio. Lo sport per noi è un grande stimolo a vivere la quotidianità senza subire il giudizio altrui e anche se è vero che abbiamo bisogno di più tempo e degli aggiustamenti necessari per raggiungere i nostri obiettivi, se avessimo gli stessi strumenti di cui dispongono gli atleti normodotati sarebbe più facile esprimere le nostre potenzialità.

E: L’opinione pubblica rispetto allo sport paralimpico è molto cambiata negli ultimi anni ma purtroppo vive ancora di pregiudizi. Nonostante tanto sia stato fatto, molto ancora bisogna fare per raggiungere altri paesi già educati allo sport paralimpico come l’Inghilterra, la Germania e l’America.

Com’è essere coppia nella vita sentimentale e professionale? Più lati positivi o negativi? Dite la verità!

A: L’essere coppia nella vita pubblica e privata per me è un vantaggio! La complicità nello sport ti aiuta a comprendere molti aspetti della vita quotidiana e privata dell’altro, ad esempio l’impegno e la dedizione anche nel weekend e lontano da casa; per non parlare dell’alimentazione e del riposo, se non condividessimo l’amore per lo sport sarebbe più difficile come coppia! Se uno di noi non fosse un atleta correrebbe il rischio di soffrire delle mancanze dell’altro, nel nostro caso questo non succede. Anche condividere l’allenatore non ci pesa, è ovvio che abbiamo degli spazi liberi dalla coppia ma condividere a noi piace.

E: Essere entrambi atleti fa sì che l’uno comprenda le esigenze dell’altro, per esempio la necessità di riposo dopo un duro periodo di allenamento o la condivisione di un regime, anche alimentare, molto severo. Questo agevola anche la vita sentimentale, per il resto non ci sono differenze – come è ovvio – rispetto ad una coppia di normodotati.

Com’è stato vestire insieme i panni azzurri nei Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro?

A: Vestire la maglia della nazionale è stato bellissimo, un sogno! La prima volta in azzurro insieme è stato per gli Europei nel 2014, poi per i Mondiali nel 2015 e a Rio. Era il traguardo più grande per il quale abbiamo lavorato quattro anni, il coronamento di un sogno comune. Per me è stato importantissimo condividere con Emanuele questa  esperienza, ho con lui un legame molto forte quindi ogni gioia si raddoppia! Passiamo molto tempo mano nella mano, a volte le parole non bastano per descriverci!

E: Vestire la maglia azzurra insieme è stata una emozione unica; già raggiungere le paralimpiadi è stato un sogno molto sudato, viverlo insieme quindi è stato il massimo. Anche nella condivisione dei momenti meno belli poter contare sulla vicinanza e sulla comprensione dell’altro è stato fondamentale.

Come vi state preparando per le Paralimpiadi di Tokyo 2020? In cosa consiste l’allenamento? E quante ore al giorno?

A: Dopo Rio la preparazione per Tokyo inizialmente mi sembrava lunghissima, in realtà due anni sono volati. Lavoriamo molto duramente pensando intanto all’anno in corso. Nel  2017 è stata la volta dei Mondiali a Londra che ci hanno portato le medaglie, colorando così il nostro sogno di luce! Salire sul podio è un grande riconoscimento del lavoro svolto. Per me questa medaglia è stata molto più che importante, anche alla luce dei problemi avuti con la mia guida. Emanuele è stato fondamentale in questo, ho dedicato a lui questo traguardo per tutto il supporto che mi ha dato. Ci alleniamo sei giorni a settimana, dalle tre alle cinque ore, a volte anche due volte a giorno. Spesso non è facile tra gli studi di Emanuele e il mio lavoro part time, la vita nella quotidianità è una sfida anche per le spese considerando quanto poco remunerato sia il nostro sport.

E: Ci stiamo preparando per le Olimpiadi di Tokyo 2020 in modo molto intenso ma il prossimo obiettivo a breve termine per me è quello degli Europei di Berlino che saranno una tappa di passaggio anche se comunque importante. Le nostre sessioni di  allenamento sono tutti i giorni tranne la domenica dalle tre alle cinque ore. Dalla corsa in pista alla palestra in funzione alle disabilità, nel mio caso ho bisogno di molto esercizio sulla simmetria. Questo è il terzo anno che ci alleniamo da soli, vediamo i nostri allenatori solo due/tre volte l’anno. Questo in parte inficia il margine di miglioramento che potremmo avere.

Quali sono i vostri prossimi obiettivi, individuali e di coppia?

A: Dopo Londra abbiamo pensato che fosse il momento migliore per completare la nostra famiglia con un bimbo e adesso sono in maternità. Perciò questo è il mio anno tranquillo, se così si può dire, mi dispiace non essere a Berlino per gli Europei ma l’idea di diventare mamma a breve compensa ogni rammarico. Ciononostante mi sono allenata fino all’ottavo mese e conto di tornare in forma appena dopo il parto. Ho preferito continuare a lavorare fino ad ora per far si che la ripresa dell’allenamento non sia troppo dura, dopo ho in programma di tornare in pista il prima possibile in vista di Tokyo. Mi devo conquistare il posto! So che quando saremo in tre l’organizzazione sarà ancora più difficile ma non vogliamo rinunciare né ad essere genitori né ai nostri sogni sportivi. Sono certa che avremo bisogno di supporto ma come recita il nostro motto “non ci arrenderemo!

E: Sicuramente Berlino anche se non è stato facile riprendermi dall’infortunio al gluteo avuto a Nembro che mi ha lasciato un po’ di infiammazione al nervo sciatico. Poi ovviamente ci sarà Tokyo 2020. Per quanto riguarda gli obiettivi di coppia c’è un figlio in arrivo e quello ovviamente è la cosa principale!

Alice Spoto