Gente di Dublino: l’Irlanda rifiutata dagli irlandesi

Esiste un numero a dir poco spropositato di libri poco apprezzati, contrastati dalla critica, censurati o addirittura destinati alle fiamme. Le ragioni che hanno spinto da secoli personaggi influenti a ostacolare la diffusione di un testo, anche se difficilmente condivisibili, sono in ogni caso facili da comprendere, ed è proprio grazie all’analisi di questi importanti fattori culturali e sociali che possiamo effettivamente renderci conto della grandezza di un libro e del messaggio che esso indirizza al mondo.

A distanza di più di un secolo dalla sua pubblicazione, si fa non poca fatica a credere che uno dei testi più significativi dello scrittore irlandese James Joyce, Gente di Dublino, venne rifiutato ben 18 volte da 15 case editrici differenti, prima della pubblicazione definitiva avvenuta nel 1914.

La vicenda editoriale di questa raccolta di brevi racconti appare molto curiosa. Dagli irlandesi, da sempre orgogliosi della propria cultura e della morigeratezza dei propri costumi, Joyce fu sempre guardato con sospetto, ed è anche per questa ragione che egli, costretto ad allontanarsi dall’Irlanda, venne accolto a braccia aperte dai triestini, che non smisero mai di considerarlo come uno di loro. L’esilio non fece altro che alimentare la consapevolezza artistica dello scrittore: l’indipendenza e la libertà di pensiero furono da sempre le sue priorità, ed è anche per questa ragione che attirò più volte su di sé accuse di arroganza o addirittura di tradimento. Ma cosa contiene di così scandaloso questo libro? Ben poco, diremmo sicuramente oggi.

Con questa raccolta di racconti ambientati a Dublino, Joyce dimostra che la comprensione delle piccole cose, anche quelle che passerebbero inosservate agli occhi di un lettore distratto o di un dubliner inconsapevole, paradossalmente anche per libera scelta, nascondono in realtà il segreto dell’esistenza, o, come amano dire i critici a proposito di Joyce, niente di meno che la verità.

Con Gente di Dublino lo scrittore denuncia lo stato paralitico della popolazione, soffocata da un lato da una Chiesa che vive a spese del popolo assicurando soltanto ricchezze ultraterrene, dall’altro da uno Stato interessato soltanto a preservare i propri interessi e incurante delle difficoltà effettive di un popolo completamente in balia dei “potenti”.

Joyce ha raccontato la realtà di Dublino in modo impersonale, senza mai esprimere giudizi di valore. L’enorme quantità di particolari descritti, in modo solo apparentemente casuale, serve a dimostrare che le virtù e le debolezze degli esseri umani non emergono soltanto nei momenti di grande importanza storica, negli eventi memorabili che passano alla storia come azioni grandiose compiute da uomini valorosi, ma emergono soprattutto nelle piccole cose, negli avvenimenti che riguardano la gente comune e che non vale la pena ricordare, i soli eventi che nascondono al loro interno meglio di ogni altra pagina di storia l’essenza della Dublino di inizio secolo.

Per queste ragioni gli irlandesi chiesero a Joyce in un primo momento di modificare alcuni termini considerati troppo scandalosi, successivamente di eliminare i racconti contenenti riferimenti diretti a luoghi e persone realmente esistite, allusioni offensive al re Edoardo VII, o semplicemente contenuti troppo espliciti e immorali. Ma la determinazione di Joyce oltrepassò di gran lunga lo sdegno degli irlandesi. Nonostante i vari tentativi di distruzione delle matrici del libro e di eliminazione delle copie già stampate, Joyce riuscì a salvare una sola copia dei suoi racconti, con la quale fuggì dall’Irlanda senza farvi ritorno mai più.

Dunque Gente di Dublino può essere considerato sotto tutti i punti di vista il ritratto più onesto mai realizzato dell’Irlanda e degli irlandesi. L’indiscutibile bravura di Joyce nel descrivere e analizzare un presente condannato alla paralisi da un numero spropositato di eroi altrettanto passivi, ha trovato conferma proprio nella vicenda editoriale che ha ostacolato per molti anni la diffusione di un testo diventato con il tempo uno dei libri più importanti della letteratura occidentale.

Roberta Latorre