Coronavirus Panic Kevin Home Alone

Coronavirus: la guida digitale anti-panico

In questo periodo di ordinaria follia una delle impressioni più nette che ho avuto è che il grande problema – più ancora del coronavirus in sé che sta facendo collassare il sistema sanitario nazionale – sia quello della psicosi da informazioni parziali, sommarie, se non del tutto errate. Avete presente gli audio del carabiniere, del vigile o dell’infermiera che vi inoltra la zia Guerina su Whatsapp? Ecco.

Una delle bellezze dell’internet è che è fonte prodigiosa di informazioni ben fatte, al punto da non riuscire a pensare a un me stesso del passato che resta sano di mente nelle stesse condizioni di isolamento ma senza tutto questo ben di Dio informativo per capire cosa diavolo sta succedendo, perché, e qual è il vero problema (spoiler: non è la pericolosità del coronavirus in sé, che di per sé avrebbe effettivamente un tasso di mortalità simile a quello dell’influenza normale a livello globale).

Ho deciso quindi di selezionare qualche fonte per creare una breve guida anti-panico da somministrare allo zio Berengario o alla zia Brunilde di turno, magari facendo loro da traduttori della fonte originale – spesso in inglese.

Cominciamo.

Il problema narrativo sul Coronavirus – la forma è sostanza

Ok, vi ricordate quando il problema era lontano e cinese quanto meglio si stava al mondo? Potevamo uscire a fare aperitivo, godere dei primi weekend tiepidi grigliando con gli amici e ammazzandoci di birrette, uscire di continuo a chiacchierare con chiunque ci capitasse a tiro, andare alla macchinetta del caffè per vedere se – mentre facevamo la nostra sacrosanta pausa – ci fosse qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere e due risate. Tanto il pericolo era lontano, no? Chissenefrega se prima di stringere la mano al cliente mi sono starnutito sulla mano senza poi lavarla accuratamente, tanto mica siamo nel terzo mondo, siamo gente sana e pulita. Quella realtà non ci appartiene.

Sbagliato. Ci appartiene fin dall’inizio per il semplice fatto che è l’essere umano a non avere l’anticorpo per questa mutazione del coronavirus, non il cinese, il coreano o chi per lui.

Ma intanto i decision-maker di tutto il mondo facevano spallucce, dicendo una cosa simile al vero – sì – ovvero che non era molto più grave dell’influenza standard, ma fallendo l’analisi che sarebbe spettata proprio a loro. Laddove la psicosi da 2% di tasso di mortalità ci fa da una parte andare nel panico dimenticando che vuol dire 98% di persone sopravvissute, guarite e immunizzate, nella testa di decision-maker tipo il presidente degli Stati Uniti porta a non fare l’analisi per cui il 2% di mortalità si ottiene a sistema sanitario non saturo.

Coronavirus medici collasso sistema sanitario

Il coronavirus si ridimensiona con l’amministrazione prima, e con la medicina poi; non è una condanna a morte di per sé, è una condanna a morte (e anche là, niente a che vedere con SARS o MERS) se fa fuori prima la capacità gestionale del sistema sanitario. Il problema non è la mortalità – molto molto contenuta di questo coronavirus in sé e per sé – il problema è la contagiosità incredibile che esso ha – si parla di 6 volte quella dell’influenza stagionale.

In termini di narrazione del rischio e meccanismi di elaborazione dei fenomeni, vi rimando a questa analisi incredibilmente ben fatta. Ma tornando a noi e al punto centrale del problema, ora che il problema è qui ed è vero pare che continuiamo a mancare la visione della luna e a guardare il dito – tanto in termini di mondo dei media e dell’informazione quanto in termini di comuni cittadini appostati al balcone per cecchinare chiunque stia facendo semplicemente jogging da solo in ottemperanza al decreto del presidente del consiglio (salvo poi fermarci a chiacchierare una mezz’ora buona quando siamo al banco frigo del supermercato – tanto quello si può fare, no?).

Il Coronavirus ci trasformerà in elettori assennati?

Il problema adesso non sono le gambe, ma la bocca della gente, e se le gambe son tenute in isolamento impedendoci di andare in giro, lo sono proprio perché si tengono a casa con sé anche la bocca. La campagna, semplificata, è “io resto a casa” perché non siamo in grado di stare distanti dal prossimo, di evitare di chiaccherarci mezz’ora, di darci pacche sulle spalle e due baci, di toccare qualunque cosa con manacce che non si sa bene cosa diavolo abbiano toccato dall’ultima volta che son state accuratamente lavate con acqua e sapone. E infatti il problema adesso non è tanto morire di coronavirus, quanto prenderlo e basta, perché il sistema sanitario non ci sta più dentro.

Ma è pur vero, viene da dire adesso, che per anni e anni e anni abbiamo eletto chi dava la mancetta migliore, fosse una pensione a quota 100, fosse un reddito di cittadinanza, fossero 80€ mensili in più in busta paga. Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo domandato alla nostra offerta politica più spese in sanità? 

Siamo colpevoli come domanda politica e come domanda mediatica, per un’offerta politica e mediatica che hanno semplicemente risposto a ciò che sembrava la più grande richiesta del popolo italiano: mancette elettorali e spettacolo; panem et circenses al posto di amministrazione lungimirante, welfare vero e informazione di prima qualità. Qui ne parla Ernesto Galli della Loggia, pur sempre però facendo parte di quel mondo di offerta mediatica che ha assecondato una domanda mediatica così idiota. 

Coronavirus: il problema del social distancing e degli esponenziali

Ok, ma torniamo a noi. Perché ci stanno domandando di starci lontano, di isolarci in casa, di non uscire se non per necessità? Perché siamo animali sociali, ed essere animali sociali quando un nuovo virus minaccia la comunità mondiale nella sua interezza non è una gran posizione nella scacchiera. Come italiani poi, per la socialità estremamente fisica che abbiamo, questo è un grande sacrificio, ma un sacrificio ancor più necessario.

Il punto della questione e della scelta di come arginarla viene infatti spiegato in maniera tanto magistrale quanto semplice da questo articolo del Washington Post. Leggetelo e fatelo leggere, contiene anche degli schemini di contagio animati. Una cosa fikissima.

Il problema di ‘sto coronavirus è la contagiosità, si è detto. Ma che vuol dire? Vuol dire che il problema è matematico e matematica quindi dev’essere la primissima parte di soluzione. Il virus segue una curva di contagio esponenziale, ovvero non lineare. Non è che uno infetta uno, ma uno infetta almeno due/tre persone – e forse anche di più, se asintomatico a piede libero. La crescita della curva di contagio è quindi esponenziale e non lineare: vuol dire che cresce sempre di più fino a un teorico infinito con una crescita ogni giorno più alta, se non vengono prese misure.

E quindi che misure si devono prendere? Abbastanza evidente: quelle che riducono in mille piccoli insiemi il grande insieme che l’esponenziale è pronta a saturare. In parole povere, tutti chiusi in casa propria senza contatti con altri luoghi o persone, o comunque con i minori contatti possibili, per arginare ogni rischio di contagio tra piccoli sottoinsiemi meglio controllabili. O così o ci ammaliamo tutti. Anche il video qui sotto lo spiega bene, con giustificazioni e spiegazioni matematiche annesse, e ha i sottotitoli in italiano se dovesse essere necessario.

Ci sta sfuggendo qualcosa, però

Il problema del social distancing non assoluto che gioco forza stiamo adottando, però, è che non tiene conto della contagiosità degli asintomatici. Un asintomatico spessissimo non ha modo di sapere di essere positivo, e quindi contagioso se non in quarantena. E spesso sono asintomatiche proprio quelle componenti demografiche che – viene da dire – sono giovani, forti e in salute e anche se si beccano questo coronavirus molto probabilmente restano indenni. Ma intanto vanno in giro a fare involontariamente da untori, proprio per questo.

Per questo, da italiani, stiamo continuando a sbagliare una cosa nella gestione del contagio. Non facciamo abbastanza tamponi random – e a dire il vero non li facciamo nemmeno abbastanza a fondo nella catena di sanitari che stanno gestendo l’emergenza, quelli che rischiano in prima linea. Insomma, le idee di Zaia (che ora sembra seguire anche Bonaccini) non sono così sbagliate in questo senso: il modello coreano è effettivamente un buon modo di provare a cavarsela riducendo i danni al minimo. Qui è spiegato bene in inglese, qui in italiano.

Coronavirus: il problema dell’orizzonte temporale e della statistica

Ok tutto spaventosamente chiaro, ma per quanto ne avremo? Ecco il punto che non è chiaro né può esserlo così facilmente, perché è la variabile dipendente, l’output di quanto siamo bravi ad arginare il contagio. 

Certo, statistica e data analysis possono fornire delle previsioni sommarie sia a livello di durata dell’epidemia sia a livello di totale dei morti, leggendo i dati. Ma nulla è certo, perché siamo nel campo della probabilità e perché i dati purtroppo sono molto più “sporchi” e sommari di quanto ci piacerebbe che fossero.

Per chi ama dilettarsi nella comprensione di grafici strani e nella previsione suffragata da dati sulla durata della pandemia in termini statistici, consiglio di seguire il gruppo Facebook “physicists against sars-cov-2”, e in particolare, tra i componenti del gruppo, le pagine social di Peter W. Kruger di gran lunga il più fruibile tra essi – che rilascia una sorta di bollettino giornaliero.

Non dimenticatevi di non impazzire

A margine di qualsiasi discorso su contagio e scelte amministrative per far fronte a esso, c’è sempre un elefante nella stanza. Abbiamo detto che siamo animali sociali, e tutto questo isolamento, soprattutto per chi è isolato da solo, può creare grossi problemi psicologici a lungo andare – e in ogni caso ne avremo gli strascichi anche a pandemia conclusa.

In questo senso, mi sento di segnalare le numerose iniziative di supporto psicologico online che son nate, da questa – gratuita, di cui conosco personalmente i promotori – a un altro paio che trovate nel sito di solidarietà digitale garantito dal governo.

E, a proposito di solidarietà, la solidarietà è un ottimo modo per riprendere contatto con la realtà e sentirsi meno soli e persi. Social Up stessa supporta le raccolte fondi a favore degli ospedali che stanno facendo fronte all’emergenza – ogni aiuto è qualcosa in più, qualcosa che ci ricorda di essere umani e animali sociali per un motivo molto semplice: cooperare, aiutare, farsi aiutare e unirci nei momenti difficili è la cosa che più ci fa stare meglio.

O ancora, questo momento di isolamento è un’ottima occasione per migliorarsi personalmente o professionalmente: fioccano le iniziative che rendono gratuite applicazioni che insegnano lo yoga, ci guidano nell’allenamento in casa o nella meditazione. Per non parlare delle opportunità formative online che son diventate gratuite! Per esempio, qui trovate più di 450 corsi online gratuiti offerti dalle università della Ivy League americana sui campi del sapere più disparati – ma sicuramente anche altrove su internet c’è ciò che fa al caso vostro.

Insomma, don’t panic, nella difficoltà sta l’opportunità, di diventare migliori, di imparare qualcosa su se stessi e sul mondo, o semplicemente di riposare dopo anni in cui non ci siamo mai fermati un attimo.

E no, la mascherina non vi serve sempre e comunque. Niente panico. Razionalità ragazzi.

Per il resto, che Bobby Burioni sia con voi!

Hai qualcosa da dirmi o contenuti interessanti da segnalarmi? Contattami sui miei profili social!

Thomas Siface